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Gianfranco Palmery

Creato il 09 giugno 2011 da Fabry2010

Gianfranco Palmery

Gianfranco Palmery, Compassioni della mente, Passigli 2011.

di Domenico Vuoto

Bisognerebbe stabilire una volta per tutte che l’organo infido per eccellenza del corpo umano non è certo il cuore, da sempre fatto responsabile di slanci e devozioni e però anche – e soprattutto – di inganni, abiure e catastrofi sentimentali. È il cervello. Del resto, non è necessario un suo studio approfondito (in riproduzione o dal vivo) per accertarsi della sua inaffidabilità: un intrico di circonvoluzioni che i solchi cerebrali rendono più nette nella loro impressionante morfologia labirintica. La mente è qui, qui sono il pensiero e gli impulsi che si irradiano in un organismo determinandone stabilità o vacillamenti, effimere ricomposizioni o definitive disfatte.

E non è privo di significato che un poeta di rango come Gianfranco Palmery ne faccia l’oggetto delle sue sentenze e perorazioni e invettive in versi. Senza contare che, fin dagli inizi della sua attività poetica che annovera molti titoli, Palmery è stato un frequentatore assiduo dei labirinti cerebrali ( e non solo) e delle loro collusioni – e collisioni – col corpo. Di essi, ha reso gli sperdimenti, gli enigmi, le oscurità, i fili per i ritrovati sbocchi alla luce: poco o niente consolatori, anzi maggiormente evocativi di quella materia viscosa e temibile – quei minotauri – di cui è intriso l’animo umano e il mondo, con la vocazione al male, al fragore dissennato, a una semina di morte per stupidità e usura dell’attività pensante.

Ora è appunto sugli inquieti e impervi colloqui tra mente e corpo che verte l’ultimo libro in versi di Gianfranco Palmery, e magari con una più accentuata insistenza – e urgenza – che in altre raccolte poetiche (di queste, per affinità tematica e intensità, ricordo Medusa, pubblicata nel 2001 per Il Labirinto), e il cui titolo Compassioni della mente, di rara efficacia e bellezza, adombra già la sostanza di cui sono intessuti i suoi versi. Il libro è uscito quest’anno per Passigli, nell’essenziale ed elegante formato dell’editore fiorentino, con una prefazione di Sauro Albisani.

Se la mente viene nel titolo della raccolta esplicitamente richiamata, non meno importante è il suo (nominalmente implicito) interlocutore, il corpo. Il corpo è un topos della poesia di Palmery. Non il corpo levigato, incorporeo, di convenzionale sanità, ma quello scarnito, desertificato di linfa, organismo deperito e insano, eppure presente a se stesso. Emblema di altri deperimenti, di altri mali che inducono il poeta a farsi osservatore lucido e dolente della realtà. Quale compassione può offrire il pensiero a un corpo simile, destinato cioè a una progressiva irriducibile consunzione? Nella prima sezione del libro, Vulnerario, sorta di breviario poetico dei conflitti, dei timori e tremori che assediano il poeta; in Vulnerario, dicevo, e precisamente nella composizione iniziale che ha il respiro di un poema, Gianfranco Palmery disegna una condizione umana con versi che, in forma di interrogazione, sembrano evocare lo stato tremendamente afflittivo di un Giobbe: Braccato da Dio o dalla morte? O solo/ dalla mia mente – dal vuoto, dal niente/ con cui mi tendo agguati – o qualche demone/ acquattato, paziente, mi sta intorno/ sempre, mi strema col silenzio e aspetta/ il suo turno?/. E più in là in una folgorante sestina: Spenga il pensiero un pentotal celeste/ dalle vene o dal cielo, un’anestesia/ angelica mi addormenti […]

Della mente, dunque, compagna vigile ossessiva intransigente il poeta registra (o si figura di poter registrare) il trasloco, armi e bagagli, nello spazio astratto che le è congeniale, lasciando che a riparare i danni del corpo sia il corpo stesso […] il povero corpo carpentiere/ rozzo sagace nel suo mestiere/. È la richiesta di una sospensione del giudizio e del pensiero, una sorta di atarassia di derivazione scettica, ma è anche il segno di un dualismo insanabile che condanna l’uomo ad auscultarsi ininterrottamente, e sempre in assenza di un possibile rimedio. Questo il significato della raccolta delle compassioni che sembra scandito nei toni e nel ritmo di quelle precedenti. Sembra, perché a leggere attentamente le sezioni che la compongono, ci si rende conto di cambiamenti sostanziali. Il verso si fa più serrato, il ritmo battente, il gioco di assonanze e allitterazioni, (l’ordito barocco consustanziale alla poesia di Palmery e da lui sapientemente dispiegato) assurge a una tensione estrema ed estremamente dolorosa, precipita e fa precipitare il lettore negli inferi dell’irredimibilità umana […] nostra è la piega/ cattiva della carne…[…] (Orgoglio Gloucester pag. 22). Dalla quale è dato uscire, seppure per breve tempo, con il soffio dell’ironia – e autoironia – di cui è permeato il canto di Gianfranco Palmery, ma ancora più (come nella bellissima Meridiana (pag.27), con uno slancio mistico, di eco baudelairiana: […] allontanati/ tutti i pensieri, via nell’azzurro fluttuanti con/ le nivee lane dei tigli che l’attraversano/ e trascorrono come una bufera/ d’anime […].

Il libro delle Compassioni della mente costituisce un esito fondamentale nella produzione poetica di Palmery. Mi viene di definirlo nell’insieme una confessione laica, la fervida straziata testimonianza di un cuore messo a nudo. Che nessuna via d’uscita concede alla pena del vivere, se non la poesia stessa come luogo ultimo di credibilità.



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