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Gin Game: Quando la Vita è Soltanto un Gioco

Creato il 21 dicembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il dicembre 21, 2011 | TEATRO | Autore: Giuseppe Floriano Bonanno

Gin Game: Quando la Vita è Soltanto un GiocoIl periodo che precede il Natale se, da una parte, dipinge di luci ed addobbi multicolori strade e vetrine, dall’altra, offre anche un importante cartellone di spettacoli teatrali d’ogni genere e per tutti i palati. E Bologna, da sempre città attenta all’arte e alla cultura, è in prima fila in questo. La notte umida e gelida non invita certo a passare il tempo, andando di dehors in dehors, a bere Aperol Spritz o Negroni; molto meglio, quindi, prendere la strada del Teatro Duse per assistere ad uno degli spettacoli più attesi ed interessanti della stagione: “Gin Game”. Si tratta di una delle più celebri commedie di Donald Lee Coburn, rappresentata da anni con grande successo in tutto il mondo, che approda sul palcoscenico bolognese per la regia di Francesco Macedonio e l’interpretazione di due autentici mostri sacri del teatro italiano: Valeria Valeri e Paolo Ferrari. Fonsia Dorsey e Weller Martin sono due anziani, ospiti di una casa di riposo, che cercano di vincere la monotonia di giornate sempre troppo lunghe e noiose accanendosi in interminabili partite a Gin, un gioco di carte inventato nel 1909 negli Stati Uniti in cui si utilizza un mazzo standard di carte francesi. Il tempo passato al tavolo finisce per diventare l’occasione per dare inizio ad una sorta di confessionale in cui Weller, ex ricercatore di mercato, amareggiato da tante delusioni sia economiche che personali, e Fonsia, una puritana, divorziata, con alle spalle un’esistenza dominata da abbandoni e solitudine, sfogano tutte le loro frustrazioni. Le partite di Gin si trasformano così in uno spietato teatrino del comune vivere quotidiano dei due protagonisti, tratteggiando un quadro privo di facile sentimentalismo che sconfina in una comicità inizialmente ironica, che si trasforma poi in una, neppure troppo, sottile crudeltà. Sul palco i due arzilli “vecchietti” sono accomunati da una viscerale passione per il gioco, che, quando gli altri ospiti ricevono visite o fanno lezioni di canto e danza, li trascina in interminabili e sempre più accese sfide, dove nulla è mai monotono.

Gin Game: Quando la Vita è Soltanto un Gioco

La partita diviene così specchio della vita, presente e passata, della coppia, portando lentamente in superficie i veri caratteri dei protagonisti. Ecco che Fonsia, all’inizio personcina indifesa ed ingenua, quasi candida, dopo le iniziali vittorie (fortunose?) lascia trapelare il dubbio, ben presto certezza, che si tratti invece di una simpatica bugiarda, abile nel gioco e tutt’altro che sprovveduta; di contro, il povero Weller, al principio sicuro di sé e guascone, mostra il suo vero io che è poi quello di un irascibile, bestemmiatore incallito, incapace di qualsiasi autocontrollo. Il tavolo verde è una vera calamita per i due protagonisti che fingono di volerne stare lontani, quando invece ne sono irrimediabilmente attratti, rivelando la loro anima, che ci ricorda assai da vicino quella de “Il giocatore” di Fëdor Dostoevskij, completamente succube del fascino brutale del gioco. La commedia di Coburn, assai garbata, è così pronta a disvelare con maestria ciò che provano i protagonisti, totalmente pervasa com’è di esilarante comicità, con la Valeri e Ferrari, davvero incredibilmente straordinari, che, grazie alla loro grande presenza scenica, riescono a portare totalmente in luce ogni anfratto dell’animo umano scoprendone anche la più sottile sfumatura. Diviene, dunque, quasi semplice rispecchiarci in quanto rappresentato sul palco: possiamo facilmente trovare qualcosa delle nostre manie e fissazioni, ma soprattutto dei nostri vizi e delle nostre maschere che ci rendono così difficile rapportarci sinceramente con noi stessi e, soprattutto, con gli altri, scoprendo brutalmente il marcio che alberga in ogni essere umano e che, con tanta cura e sollecitudine, cerchiamo di celare. Come dice ad un certo punto Fonsia, «forse saper perdere con dignità è la più grande vittoria!». Gli scroscianti ed interminabili, calorosi, applausi finali sono il sincero e sentito tributo di un pubblico soddisfatto a due grandissimi attori che hanno saputo regalare momenti di profonda riflessione in un contesto di apparente leggiadria. Raggiungiamo l’uscita del teatro, finalmente di buon umore, proprio come dopo aver preso parte ad una sorta di catarsi collettiva.

Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Duse di Bologna – Fotografie di Federico Riva



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