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Gino Paoli racconta Beppe Grillo nella sua autobiografia: “Il Masaniello puro…”

Creato il 30 maggio 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

“Beppe è preparato e in buona fede, ma la satira gli ha un po’ preso la mano. E’ un Masaniello”: Gino Paoli, 80 anni a settembre, racconta il ‘suo’ Grillo nel libro-intervista di Lucio Palazzo ‘I semafori rossi non sono Dio’ (Rai Eri), con prefazione di Antonello Piroso, in uscita il 3 giugno.

Gino Paoli insieme a Beppe Grillo (genova.repubblica.it)

Gino Paoli insieme a Beppe Grillo (genova.repubblica.it)

“Ha iniziato un processo che gli è un po’ sfuggito dal controllo. Ha cominciato a parlarmi del blog – racconta Paoli – tanti anni fa. Era affascinato dal potere che ha internet nel mettere in connessione le idee. Lui legge tutto, ha contatti con tutto il mondo, prende informazioni, non è un superficiale. Beppe è una spugna. La cosa importante è che lui ci crede ed è in buona fede, solo per questo non lo mando ancora a cagare… E’ un puro – spiega ancora il cantautore – e questo è il suo pregio per me. Parla in pubblico e ai media, utilizzando la forma retorica dello sberleffo, anche giustificato, il più delle volte. Pezzi da mettere in scena in uno spettacolo satirico, ma che non hanno niente a che fare con altro”.

L’amico Gino Paoli racconta anche di quando, “ad un certo punto, a metà degli anni Ottanta, Grillo fu estromesso dalla televisione, si narra in seguito ad alcune battute sui socialisti e su Craxi. Io credo – aggiunge Paoli – che abbia smesso non perché ce l’aveva con i politici o perché i politici ce l’avessero con lui. Chi fa politica in fondo in fondo è refrattario a queste cose. Nella maggior parte dei casi, le critiche scivolano addosso a molti, senza conseguenze. Anche allora, nella Prima repubblica, c’erano personaggi con la pelle dura. Non credo che sia stato Craxi di sua sponte a farlo fuori o almeno non solo lui. Piuttosto penso sia stato cacciato dalla televisione per volontà degli sponsor. In Italia comandano gli sponsor non i politici, le aziende, quelli che hanno i soldi. Gli sponsor pagano i giornali, la tv, pagano tutto. Non si possono toccare e lui li ha toccati”.

Alle cene genovesi di Renzo Piano sempre la stessa combriccola di invitati: Paoli, Grillo e Antonio Ricci. “Ci scambiamo consigli, diciamo belinate. Parliamo di tutto e di niente. Le cene dell’ormai più volte citata ‘mafia genovese’ hanno avuto, nel corso dei decenni, a che fare spesso con la politica. Ogni volta che qualcuno voleva fare qualcosa in politica, c’era tutto il tavolo, Arnaldo, io, Renzo e Beppe e tutti gli altri che iniziavano a convincerlo del contrario. Il più acceso era Renzo Piano. Ha sempre sostenuto che non bisognasse fare politica entrando in politica, ma facendo il proprio mestiere. ‘Io – diceva – faccio politica progettando, tu fai politica cantando e scrivendo canzoni nel modo migliore che ci possa essere’. Ricordo che nel 1987 Renzo e gli altri amici, durante una cena che durò tutta la notte, cercarono di convincermi a non candidarmi alla Camera, rifiutando l’offerta ricevuta a Roma nella sede di Botteghe Oscure da D’Alema e Occhetto. Io, ovviamente, dopo ore e ore a parlarne, non li ho ascoltati e mi sono fatto cinque anni in Parlamento. Qualche anno fa è successo ancora, in una cena organizzata da Parvin (la moglie di Grillo ndr), preoccupata che suo marito potesse pagare un prezzo troppo caro alla nuova avventura politica. Eravamo sempre io, Renzo ed Arnaldo Bagnasco, impegnati a convincere Grillo a non intraprendere quella strada che poi oggi lo ha portato a guidare il Movimento 5 Stelle. Alla fine proprio Renzo Piano, che era il più convinto dell’inutilità di scendere in campo e che ha passato anni a toglierci i grilli dalla testa, oggi è l’unico nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano”. Oggi “il Presidente della Repubblica è, comunque la si pensi, l’unico punto di riferimento certo ed affidabile”, sostiene ancora Paoli, ma il suo amico Grillo non la pensa esattamente così.

(ansa.it)

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