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Giornali, vecchi contenuti e pezzi d’archivio: qualche idea per fare engagement

Creato il 03 marzo 2013 da Leliosimi @leliosimi

I vecchi caporedattori per placare le manie di grandezza dei giovani collaboratori erano soliti ricordare che “anche il migliore dei vostri pezzi dopodomani sarà stampato su un giornale al massimo buono per incartare pesce al mercato”. Il monito, anche se un po’ superato ai tempi dei bit, è ancora da tenere a mente nella sua essenza. Però sappiamo bene che negli archivi dei quotidiani (quelli dei grandi testate nazionali come quelli delle edizioni locali) si sono stratificati negli anni una quantità enorme di dati, documenti, immagini, notizie che possono raccontare una parte essenziale di una comunità.

Certo, la digitalizzazione di tutto quel materiale non è sempre semplicissima (e ha dei costi che in tempo di crisi non sempre è facile affrontare), l’impressione è però che questi materiali siano comunque decisamente sottoutilizzati. Se ne perdono così le grandi potenzialità, ad esempio in termini di community engagement e (perché no?) anche in termini di monetizzazione. Insomma i pezzi d’archivio, i vecchi contenuti possono essere utilizzati molto meglio di quanto fatto finora dai giornali.

Per capire cosa può “nascondere” la memoria documentale di una redazione di un giornale basta leggere questo articolo della Stampa dove Vittorio Sabadin racconta la quantità – e la straordinaria qualità – del materiale scoperto quasi per caso in vecchi faldoni durante il recente trasloco del quotidiano piemontese nella sua nuova sede: appunti, lettere, telegrammi, fotografie, copie dattilografate di articoli raccontano la storia del giornale e delle persone che ci hanno lavorato. La Stampa ha inoltre digitalizzato, primo fra tutti i grandi quotidiani nazionali, il suo archivio dal 1867 a oggi, mettendolo poi online a disposizione dei lettori.

Già ma come utilizzare al meglio questo tipo di materiale? Le idee possono essere molte, un po’ ne propongono due articoli, uno del Poynter, 5 ways journalists can use social media to resurface old content,  e l’altro How publishers are finding new ways to feature old content su Lean Back 2.0 (un blog del gruppo dell’Economist), entrambi incentrati su quanto i social media possano essere oggi, una risorsa per dare nuova vita ai contenuti archiviati. Molti dei consigli e delle buone pratiche segnalate nei due articoli, riguardano l’aggiornamento dei diversi profili social delle testate, dominati perlopiù dai contenuti più recenti e dalle breaking news.

Facebook e Twitter

Utilizzare vecchi contenuti (e il termine “vecchio” può intendere materiali di qualche settimana così come di molti decenni) può invece essere un’idea per animare in modo intelligente e diverso gli account ufficiali di Facebook o Twitter. Ad esempio riproponendo articoli di grandi autori: come curiosità storica, o meglio ancora, per la sua capacità anche a distanza di anni, di parlarci su un tema tornato di attualità.

Oppure un’altra soluzione può essere quella di utilizzare una timeline di Facebook per ricostruire tutto “lo storico” di una vicenda: ad esempio come ha fatto il Wall Street Journal per aggregare in un unico “luogo” tutti gli articoli che hanno seguito la quotazione in borsa della creatura di Mark Zuckerberg (in questo caso una sorta di mise en abyme della vicenda).

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Immagini ritrovate

Le immagini sono indubbiamente uno dei materiali con il maggior potenziale per l’engaging dei lettori attraverso i media sociali: gli archivi dei giornali ne possiedono una grande quantità, spesso dimenticate e poco utilizzate. In questo senso uno dei progetti più interessanti, a mio giudizio, tra quelli segnalati è il bellissimo The Lively Morgue un sito realizzato dal New York Times su piattaforma Tumbrl (particolarmente adatta all’utilizzo delle immagini, ma possono allo stesso fine essere utilizzate altre, Pinterest ad esempio). Il sito viene aggiornato regolarmente ogni settimana (due o tre volte) ridando così vita a quelle immagini storiche di straordinario interesse e fascino.

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Una delle particolarità più interessanti del progetto è che non solo viene pubblicato online il fronte, la fotografia vera e propria, ma anche il retro con le didascalie, i timbri e le varie annotazioni originali poste dal fotografo e dagli archivisti che raccontano la storia di quella foto.

L’obitorio (così era chiamato l’archivio fotografico nel gergo della redazione del NYT perché frequentato, il più delle volte, solo quando era necessario trovare qualche immagine a corredo dei necrologi) è pressoché sterminato, per cui l’aggiornamento del sito è assicurato ancora per parecchi decenni: oltre due milioni di immagini tra stampe, provini e negativi. Molte delle fotografie sono poi reperibili anche nello “store”  del quotidiano americano, dal quale è possibile ordinare e acquistare copie di quasi tutto quel materiale.

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e-book tematici

Fare cura dei contenuti utilizzando e aggregando vari materiali provenienti dai propri archivi, integrandoli con articoli nuovi per realizzarne degli e-book tematici è la strada intrapresa da diverse testate. Ad esempio The Atlantic (rivista fondata nel 1857) che ha curato alcuni ebook, ad esempio questo (disponibile nei formati per Kindle, iPad e Nook) sulla Guerra civile americana aggregando immagini d’epoca, articoli storici (di Mark Twain, Howthorne, Henry James tra gli altri) e nuovi articoli che ne attualizzano i contenuti. Il New Yorker su questa strada ha fatto più o meno lo stesso per commemorare i dieci anni dal 11 settembre con pezzi d’epoca (a firma John Updike, Jonathan Franzen, Susan Sontag, Amitav Ghosh tra i molti) e nuovi contenuti realizzati appositamente.

Open archives project

Non è tra i progetti segnalati dai due articoli ma personalmente non dimenticherei affatto un altro possibile (e auspicabile) utilizzo degli archivi dei giornali: quello realizzato in alcuni progetti di giornalismo “open”, in particolare i progetti di Newsroom Cafè, più in generale le redazioni “aperte” che diventano – nella più ortodossa strategia “digital first” – spazi da condividere con i propri lettori su varie iniziative di community engagement.

Quindi se la testata giornalistica vuol rappresentare davvero un valore per la propria comunità e creare nuove opportunità di dialogo, cosa di meglio di un archivio che raccoglie anni di storia di quella stessa comunità? Così hanno fatto alcuni giornali del gruppo editoriale americano Digital First Media (uno dei principali portabandiera dell’open journalism) in particolare The Register Citizen che ha, in un più ampio progetto di community engagement, aperto al pubblico il proprio archivio – 134 anni di onorata attività sul campo della cronaca locale. Un’area attrezzata a laboratorio comunitario che quotidianamente ospita blogger e citizen journalist locali, uno spazio di incontro della comunità, dove tutto il materiale è facilmente consultabile tramite un visualizzatore per microfilm, postazioni su computer e connessione wi-fi gratutita.


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