La possibilità che le nuove tecnologie hanno di catturare informazioni potenziano il giornalismo, ma con nuovi dubbi etici e deontologici.
Nell’anteguerra erano la microcamere, oggi cellulari, droni e Google Glass cambiano il modo di scoprire i fatti e di fare giornalismo. Con più di una perplessità.
Non solo: la informazioni raccolte in forme e modi non convenzionali da un non-professionista possono arrivare al pubblico come e meglio di un giornale stampato. Come dire: free sharing online contro redazioni e professionisti. Come di fronte ad una nuova generazione di armi letali in un nuovo scenario bellico (web, Facebook, Twitter ecc.), nascono dubbi etici e deontologici.
L’argomento è stato trattato nella prima delle due tappe dei Dialoghi dell’Espresso ospitata dall’Università di Pisa (11 aprile). Nell’incontro, il caporedattore dell’Espresso, Marco Pratellesi ha ricordato come «già nel 1998 internet incrina uno dei meccanismi su cui si fonda il sistema dell’informazione. Succede infatti che lo scoop relativo allo scandalo sessuale del presidente americano Bill Clinton viene annunciato da un sito internet gestito da un singolo utente, anziché da un’autorevole testata come Newsweek che, pur in possesso della notizia, si riserva di trovare nuove conferme prima di pubblicarla.
È qui che si rompe in modo sostanziale un modello etico e deontologico in cui l’informazione passa da essere di “proprietà” del giornalista e del giornale per essere comunicata al pubblico solo dopo le dovute conferme, a oggetto conteso che lo stesso pubblico è in grado di far circolare, spesso senza passare dalle dovute verifiche».
Social network e giornalismo
Secondo Pratellesi, è con la nascita dei social network che il ruolo del giornalista subisce una nuova mutazione: «Se in precedenza la pubblicazione del servizio sanciva la fine del lavoro, adesso diventa esso stesso un nuovo punto di partenza.
Il pubblico interagisce, critica, commenta in tempo reale, attraverso un sistema che costringe il giornalista a mettere in discussione continuamente il proprio operato. Oggi siamo testimoni come giornalisti di una trasformazione che sta cambiando il nostro modo di lavorare, ma che sul lungo periodo produrrà profondi cambiamenti anche nell’uomo. Se non ricordiamo più i numeri di telefono è perché ci hanno dotato di memorie esterne che lo fanno per noi (telefoni, tablet) questo probabilmente libererà spazio nei nostri cervelli che avranno modo, in futuro, di evolversi riuscendo a mettere in connessione più argomenti».
Fonte: Dialoghi dell’Espresso, tappa a Pisa “Così la tecnologia cambia l’etica”.
Recensione a c. di Nicola Longo