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Giornalismo, non è un lavoro per donne

Creato il 26 maggio 2015 da Pedroelrey

Nuova pun­tata del nostro filone d’inchiesta su genere e gior­na­li­smo. Dopo aver uti­liz­zato i dati ADS per vedere quante sono le diret­trici di quo­ti­diani, men­sili e set­ti­ma­nali, oggi vi pro­po­niamo un’analisi della que­stione di genere sulla base dei dati Inpgi al dicem­bre 2013 (gli ultimi disponibili).

Secondo i dati dei rap­porti di lavoro dell’Istituto di pre­vi­denza di cate­go­ria, i gior­na­li­sti supe­rano le gior­na­li­ste (10.030 vs 6.687) in tutte le aziende edi­to­riali ad ecce­zione dei perio­dici, dove le donne com­piono, sep­pur di poco, il sor­passo. In par­ti­co­lare, il diva­rio è schiac­ciante nei quo­ti­diani: 4.018 uomini con­tro 1.741 donne.

Gen­der gap per azienda edi­to­riale | Create info­gra­phics

Que­sto diva­rio si riper­cuote anche sulle qua­li­fi­che pro­fes­sio­nali. Di quelle regi­strate dall’Inpgi abbiamo con­fron­tato i dati di genere rela­tivi a diret­tore, vice direttore/condirettore, capo redat­tore e vice, capo ser­vi­zio e vice, redat­tore ordi­na­rio, col­la­bo­ra­tore, cor­ri­spon­dente e inviato. La parità è ben lungi dall’essere rag­giunta in que­ste qua­li­fi­che. In alcuni casi, come diret­tore ed inviato, il diva­rio è molto ampio.

Gen­der gap per qua­li­fica pro­fes­sio­nale | Create info­gra­phics

Sil­via Garam­bois, gior­na­li­sta, vice pre­si­dente della rete GiU­LiA e com­po­nente del cda dell’Inpgi, com­menta così que­sti dati: «Nel 2010 nei quo­ti­diani c’erano 1.902 donne e 4.621 uomini: alla fine del 2013 sono rispet­ti­va­mente 1.741 e 4.018. Sono i numeri della crisi: sta uscendo di scena in modo for­zoso una gene­ra­zione – con i pre­pen­sio­na­menti, gli incen­tivi, anche la chiu­sura dei gior­nali – in cui la pre­senza maschile era asso­lu­ta­mente pre­pon­de­rante in reda­zione. Eppure il gap uomini/donne non solo resta molto alto (le donne sono assai meno della metà), ma la for­bice si sta ria­prendo con gli accessi delle nuove gene­ra­zioni: prova ne sia che tra gli iscritti alla gestione prin­ci­pale dell’Inpgi – in tutti i set­tori – le donne sotto i 30 anni sono 416 e gli uomini 533. Al con­tra­rio anche in recenti ses­sioni di esami pro­fes­sio­nali il numero delle donne supe­rava quello maschile».

La Rai merita un pic­colo appro­fon­di­mento. Nella tv pub­blica, dove pure la forte pre­senza di con­dut­trici dà un’idea pari­ta­ria secondo Garam­bois, gli uomini sono 1.077 con­tro le 781 donne (erano 781 anche nel 2010, con­tro 1.233 col­le­ghi maschi). Il diva­rio di genere a viale Maz­zini riguarda anche le qua­li­fi­che pro­fes­sio­nali. A dicem­bre 2013 l’Inpgi ha regi­strato 3 diret­tori con­tro una, 17 vice­di­ret­tori o con­di­ret­tori e nes­suna donna, 200 capi­re­dat­tori con­tro 79 capo­re­dat­trici. Su 83 cineo­pe­ra­tori sol­tanto una è donna.

Gen­der gap che la cate­go­ria ritrova anche in busta paga. Le gior­na­li­ste gua­da­gnano meno dei col­le­ghi e la for­bice sala­riale aumenta all’aumentare dell’età con­tri­bu­tiva: nella fascia d’età fino a 60 anni le donne gua­da­gnano fino a meno 16.242 euro.

Retri­bu­zione media nel 2013 | Create info­gra­phics

«Quello che addi­rit­tura sor­prende — con­clude Garam­bois — guar­dando soprat­tutto alle nuove gene­ra­zioni, è il gap eco­no­mico, a prima vista inspie­ga­bile: nella fascia sotto i 30 anni c’è un dif­fe­ren­ziale di 200 euro in busta paga (20.636 euro di retri­bu­zione media per le donne, 20.836 per gli uomini), che si allarga pro­gres­si­va­mente con l’età (diventa di 5.300 euro nella fascia dei qua­ran­tenni, di 9mila in quella dei cin­quan­tenni). Signi­fica che da subito, dall’ingresso in reda­zione, inci­dono for­te­mente sulle car­riere fem­mi­nili discri­mi­na­zioni di fatto; del resto basta vedere i dati: nelle reda­zioni dei quo­ti­diani, a fronte di 381 capo­re­dat­tori, ci sono solo 61 capo­re­dat­trici (e anche alla Rai sono 200 uomini con­tro 79 donne).

Nell’analisi del dato medio la con­tra­zione delle buste paga, che col­pi­sce uomini e donne, è dovuta all’abnorme numero di stati di crisi e all’esplosione del ricorso alla cosid­detta “soli­da­rietà”: non è affatto da esclu­dere che la pena­liz­za­zione ulte­riore della busta paga delle gior­na­li­ste, rispetto ai col­le­ghi maschi, sia anche dovuta ad un mag­giore rica­rico di quote di “soli­da­rietà” e comun­que a pena­liz­za­zioni legate agli stati di crisi del giornale.

Ele­menti aggiun­tivi che por­tano all’abbattimento del red­dito fem­mi­nile, inol­tre, insieme ai periodi di aspet­ta­tive per mater­nità, deri­vano poi — anche nel set­tore pro­fes­sio­nale dell’informazione – dalla neces­sità di per­messi per il lavoro di cura fami­liare: anche qui, però, a inci­dere è ancora una volta la discri­mi­na­zione nelle car­riere più che le assenze. Se que­sta è la situa­zione degli “attivi”, quella dei pen­sio­nati è ovvia­mente spe­cu­lare: una pen­sione media annua di circa 66mila euro per gli uomini, di poco più di 50 e 500 euro per le donne. È anche vero, però, che la pira­mide dei pen­sio­na­menti è asso­lu­ta­mente sbi­lan­ciata: quasi mille uomini tra 66 e 70 anni e solo 181 donne (e, nono­stante si con­si­deri nei cal­coli attua­riali che le donne abbiano vita più lunga degli uomini, sono 214 i pen­sio­nati uomini tra gli 86 e i 90 anni, con­tro solo 24 donne)».

La situa­zione ita­liana non è un caso iso­lato, ma rispec­chia quello che anche i dati inter­na­zio­nali ci ricordano:

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