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Giorni di pioggia

Creato il 18 settembre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Non dico che a noi non succeda. Succede, succede. Ma non con la regolare cadenza del rubinetto allentato, con la costanza di un orologio carico, con la precisione e la prevedibilità dei giorni della settimana. Noi siamo la tubatura che esplode, la molla che inceppa.

Non dico che a noi non succeda, non posso dirlo. Anche a me è capitato di.

Piangere. Pensarci. Immaginare. Fermarmi, poi.

Quanti si fermano prima di alzare la mano, la voce, un’arma, quanti si fermano a?

Piangere. Pensarci. Immaginare. Girare le spalle, poi. Accettare. O non accettare mai. Mai, ma altrove.

Parlarne –dopo tanto discutere, proteste, commissioni, leggi- è diventato a questo punto superfluo, quasi ridicolo, come fermarsi a contare le gocce mentre cadono, mentre gli orologi ticchettano numeri infiniti, i giorni si ammucchiano negli angoli. Quello che è accaduto ieri è stato già superato da un oggi altrettanto funesto. Qui vicino o molto lontano. Ti odio oggi più di ieri e meno di domani: non era così la frase nei cioccolatini?

Ogni giorno una goccia, dieci, pioggia.

Si parla, si dibatte, si cercano soluzioni: è la volpe a cercare un rimedio alla rabbia del cacciatore. Disarmata. Comunque si discute.

Basta con le violenze, io sono mia, mai più. Serve rispetto. Serve autocoscienza. Serve educazione. Slogan senza effetto.

Lo scroscio continua senza tregua, senza flettere. Senza pudore o freno.

E nessuno insegna agli uomini a soffrire.

A soffrire assumendosi il peso del dolore, del distacco, accettando la lacerazione e la lontananza. La vergogna, la macchia del fallimento, l’umiliazione del non essere scelti.

A soffrire più per la possibile felicità di chi va via che per la propria infelicità.

A soffrire da soli, in silenzio o gridando, a soffrire strappando lettere e foto, e a piangere, perché anche un uomo può piangere, e piangere serve.

A soffrire senza trovare riposo la notte, sapore di ferro e fiele sulla lingua, i ricordi sparsi per la stanza insieme ai calzini sporchi. E di giorno, quando i gesti normali pesano come piombo, soffrire guidando, lavorando, parlando. Mangiando poco, che viene da vomitare.

A soffrire stringendo i denti, i pugni, gli occhi. Stringendo una sigaretta di troppo. Stringendo un bicchiere, un cuscino, un amico.

A soffrire in pigiama, nascosti in una stanza dall’aria consumata, dicendo per sempre, senza accorgersi che qualcosa di diverso è già a pochi passi da lì. Accumulando tazzine di caffè e mal di testa.

Non dico che a noi non succeda. Succede, succede.


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