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#GiornidiGiro | Melide-Verbania

Creato il 29 maggio 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

28 maggio, Melide

La mongolfiera e tutti i bambini che girano attorno con in mano i palloncini. Non so perché ma quando ero piccola, da casa mia, passavano spesso le mongolfiere. Ad un certo punto sono sparite, non son più tornate. Non so il perché.
So che oggi ho dimenticato la batteria della macchina fotografica. Prima o poi doveva succedere. Mi ricordo sempre all’ultimo momento, sapevo che una volta o l’altra mi sarei trovata con il corpo macchina troppo leggero. Con l’ordine e la memoria non ci vado troppo d’accordo. Eppure mi sembra quasi un piccolo segno. Sentire l’anima del ciclismo che scorre, questo è l’importante. E poi le parole. Quelle sono il mio negativo, anche se non si usa più. Forse bisogna guardarle controluce, a volte, cercare negli spazi non detti.
Allora resto così. Senza troppe cose in mano, senza troppa fretta di non perdere un momento. Guardo i ragazzi sciamare lentamente verso la linea di partenza. Simone Stortoni e Alan Marangoni parlottano assieme. Gli scatto una foto con il telefono, più da fan che altro, loro sorridono.

friends

Alan scherza e si scusa se quei sorrisi sono un po’ stanchi e anche delusi. Quasi tre settimane compiute e poi quella vittoria sfiorata, già sua. Mi racconta qualcosa di quei momenti. Cose che vedi in diretta ma che non vedi davvero. Perché non ci sei dentro. In qualche modo, molte cose cambiano. L’ho sempre saputo ed è questo, forse, un grande insegnamento di oggi: stare dentro. Da fuori si rischia di sentirsi spettatori competenti. E questo ammazza il ciclismo, la sua spontaneità, anche le sue rabbie giuste. Niente fronzoli per uno sport che non ne ha e a volte è cattivo come pochi. Eppure si ama. Come è possibile? Tutto è più chiaro quando si sta qui in mezzo. Ragazzi che sorridono dopo i chilometri che hanno mandato giù assieme a tutto il resto: sogni, delusioni, stanchezze, fatiche, amarezze. Ragazzi che sopportano questo mondo esterno dove a volte girano squali mangiatutto solo per la passione profonda e inspiegabile che li lega alla bicicletta. Nel silenzio. Devi stare in equilibrio.
Eccoli, i miei negativi invisibili di oggi. Li guardo contro il sole che mette luccichii sul lago che accarezza tranquillo le rive di Verbania.
Gilbert ha vinto, Bongiorno picchia una mano sul manubrio, schizza via deluso e stanco portandosi quel secondo posto fino al pullman, gli altri arrivano e passa ancora del tempo. Qualcuno guarda il palco delle premiazioni per sapere chi ci salirà se ancora non lo sanno. Rotolano due borracce, una va sotto le transenne e un bimbo la raccoglie: sarà felice stasera. Qualcuno chiede se quello è Aru. No, è Landa, nuova star attorniata da dieci microfoni e tre telecamere.
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Poi c’è Rider che non si arrende e riflette sui suoi poc a specchio le sagome di due giornalisti che gli fanno domande per un quarto d’ora.
rider
Ci vorrebbe avere cento occhi per vedere tutto quello che succede qui, ad ogni angolo dove il ciclismo si ferma. Ma forse basta solo essere attenti. Joseph Conrad diceva: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?
Non si può spiegare.
Uno scrittore lo si giudica da quello che scrive. Ma nessuno saprà mai fino in fondo cosa c’è davvero dietro quel racconto. Ed è giusto così. Ognuno ha i suoi segreti e forse, se venissero svelati, non sarebbero capiti. Uno può guardare una finestra e seguire il filo di una trama intera. Uno può guardare una bicicletta e disegnarci sopra il carattere di chi la guida.
Dipende tutto dalla prospettiva con la quale scegliamo di vedere le cose.



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