Giovanni Allevi è stato insignito della nomina di Cavaliere al merito della Repubblica italiana, conferita dal presidente Giorgio Napolitano. Allevi ha ottenuto l’onorificenza “per benemerenze acquisite verso il Paese in ambito culturale, economico, sociale, umanitario”.
Si osservi ora la foto, gli sguardi dei protagonisti. Era il Dicembre 2008, non era che l’inizio. Trattenete poi lo stomaco e se volete continuate a leggere.
Ecco l’ennesima esemplare cartolina dell’indicibile abisso culturale, morale e civile d’un paese che da culla di ogni avanguardia e movimento ideologico, spirituale ed artistico è divenuto pascolo desertificato d’ogni parvenza di viva sensibilità per capre, caproni e capibastone; un paese che uccide, isola e ignora i propri intellettuali e artisti più autentici e appassionati e premia i prodotti seriali del deterioramento delle intelligenze a cui ci ha ridotto.
Si dirà: perchè tanta indignazione? Prima di tutto perchè ciò è stato preceduto dalla scelta della RAI di affidargli l’apertura delle celebrazioni di Italia 150 e la direzione dell’Inno di Mameli sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI al Teatro Gobetti di Torino, in occasione della serata Fratelli d’Italia.
Se questo non bastasse, si aggiunga anche che se il fetido tentativo costante di invertire ogni verità ed ogni valore in questo paese è già grave di per sè, ancora più grave è il tentativo ancora più estremo di tradurre in valore la banale immediatezza della stupidità civile (per cui oggi Moccia è stato eletto Sindaco) e della gratuità creativa (ebbene si, la seconda repubblica ha due ossimori come propri pilastri).
Noam Chomski più semplicemente elencava al punto otto delle dieci strategie di manipolazione attraverso i mass media: “Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti”. Questo in Italia è avvenuto fino a pochi anni fa, oggi inizia la fase di svuotamento in partenza di ogni rigurgito vitale di quest’Italia quasi completamente vegetale: non solo forgiare una generazione col vuoto, adesso riempire questo vuoto con un altro vuoto chiamato “pieno”, “arte”, o appunto l’”Allevi” di turno , generando il definitivo scollamento identitario tra una cultura che dovrebbe essere miniera di valori, eperienze e bellezza e un cittadino ormai ridotto a consumatore di slogan, contatti e hobbies, e generando infine l’equivoco che ogni velleità possa costituire arte se con il giusto look, il piglio scanzonato e una feroce campagna di marketing.
In un paese un cui ormai “il vero, al massimo, è un momento del falso”, ogni valore e riferimento per leggere questo squallido presente dentro cui annaspare senza posa appare rovesciato, svuotato, umiliato proprio da coloro che dovrebbero proteggere il decoro delle istituzioni, che invece offendono quotidianamente per poi incaricare una procura a caso di aprire un fascicolo contro ignoti (che sono notissimi: i cittadini) per “offesa all’onore e al prestigio del Capo dello Stato”, insulto che a giudicare dalle azioni intraprese da chi oggi ne recita il ruolo è stata recata alla carica stessa nell’atto della sua ultima nomina.
Ma non ci dovremmo neppure stupire di un’abisso di cui siamo tutti vittime, compresi i carnefici che miopi si godono ancora quel che resta della loro reale opera da tre soldi durata un ventennio e ormai trincerata dietro gli ultimi fortini depravati dell’antistato: uno stato che tradisce i suoi cittadini, che umilia i suoi figli più capaci e che uccide ogni speranza di cambiamento e ogni tentativo di bellezza (quella vera, mica quella di Renzi) e si cela dietro un sorriso fintamente innocente e sincero d’un ragazzo qualsiasi prelevato dalla società per essere l’ennesimo equivoco a peso d’oro dei discografici.
Ecco qual’è il cortocircuito più irritante di questa vicenda: un tempo di queste brutture si macchiavano i discografici, gli editori e i produttori, che comincino ad occuparsene anche le istituzioni più alte della Repubblica, specie in un periodo in cui l’Italia sprofonda nella tragedia e ci sarebbe altro a cui pensare, genera sgomento, rabbia e un profondo senso di alterità, unico margine per chi è restato a testimoniare la bellezza in questo paese, di salvare se stesso e gli altri attraverso l’arte, lo studio e il proprio talento, dalla banalità di questo schifo (si, schifo) che avanza in ogni sua emanazione più fetida, ipocrita e al contempo sorridente.