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Giovanni Papini, La mia campagna

Da Paolorossi

papiniOltre che a’ libri ed a’ morti debbo l’anima mia agli alberi ed a’ monti. La campagna mi educò quanto la biblioteca. Una certa e determinata campagna: tutto quel che c’è di poetico, di malinconico, di grigio e di solitario in me l’ ho avuto dalla campagna di Toscana, dalla campagna ch’è intorno a Firenze.
Mio padre, uomo di poche parole e di curiosità intellettuali superiori al suo stato, mi portava ogni domenica, fin da bambino, fuor di porta. S’andava via soli, dopo mangiato, senza parlare. Il babbo sapeva certe strade solitarie, deserte, fuori di mano, dove si camminava adagio adagio per ore intere e senza incontrare un’anima. Non sempre veramente: qualche volta ci s’ imbatteva in un prete, in un contadino, in una vecchia. Ci salutavano e si tirava di lungo.
Il babbo era quasi sempre soprappensiero — io ruminavo fra me precoci disappunti o ingenui abbozzi d’idee. Ma guardavo. Di sopra ai muri in cui la strada era incassata si spenzolavano i rami convulsionari de’ bigi olivi o sfilavano i rosai nani, poveri, non curati, i rosai colle rose fradicie e sbiancate che cascavano foglia a foglia giù nella zanella a marcire. Quante miglia rasente a quei muri! Muri che vedo ancora; muri bassi, quasi muriccioli che invitavano la gente a sedere ; muri umidi, toppati di licheni bigi e di fungaie verdi, colle scolature nere e luccicanti delle feritoie; muri altissimi, con alberi grossi, neri e fronzuti in alto, quasi a sostenere giardini pensili; muri nuovi, appena fuori di porta, incalcinati da poco e decorati di rustici graffiti da manovale. Ogni tanto un cancello di villa — cancelli chiusi e scuri, contro i quali saltava e rintronava di dentro, il cane abbaiante; cancelli spalancati, con un cipresso per parte, come per guardia, e un viale che andava in su, in pendìo, fra siepi di mortella e di alloro. Ogni tanto i muri si aprivano e succedevano le siepi vive, alte, prunose, bianche di brina e di neve in inverno, bianche di fiori in primavera, nere di more alla fin dell’estate. E più lontano ancora sparivano muri e siepi — e la strada solinga e massicciata (come i viottoli conventuali in montagna) saliva tra i cipressi o gli abeti e avevo là sotto le valli solcate e i prati bagnati e i fondi di nebbia e l’ illusione dell’ infinito.

A me pareva di rinascere. Soltanto lassù, col vento in viso, senza cappello, senza pensiero preciso, sentivo di vivere come avrei voluto sempre. Quando si riscendeva per tornare in città la tristezza mi riagguantava il cuore e il pungente crepuscolo della sera accompagnava la mia nostalgia coi tocchi delle fievoli campane inascoltate. Allora, per non staccarmi da quel mondo libero e fresco, ne portavo con me qualche pezzo: un’oliva nera, grinzosa, lustra, trovata giù tra le foglie ; una ghianda colla sua coppa ruspida; un sasso marmoreo scheggiato e tagliente a mo’ di catena alpestre ; una pina dura e verde ; una coccola di cipresso; un marron d’india; una- ciocca d’aghi d’abete : una gallozzola di cerro… A me piaceva tutto quel che era semplice e rozzo — tutto quel che aveva un non so che di montagnolo e di non curato — quello che dava il senso della durezza, della solitudine, della vita sana e senza giardinieri.

Io non son nato per le campagne ricche, lussureggianti, meridionali e tropicali — non son nato per i fiori vividi e profumati, per i frutti grassi, per il sole. La campagna che sento io, la campagna mia, è quella di Toscana, quella dove ho imparato a respirare e a pensare ; campagna nuda, povera, grigia, triste, chiusa, senza lussi, senza sfoggi di tinte, senza odori e festoni pagani, ma così intima, così familiare, così adatta alla sensibilità delicata, al pensiero dei solitari. Campagna un po’ monacale e francescana, un po’ aspra un po’ nera, ove senti lo scheletro di sasso sotto la buccia erbosa, e i grandi monti bruni spopolati si rizzano a un tratto quasi a minaccia delle valli placide e fruttifere. Campagna sentimentale della mia fanciullezza; campagna eccitante e morale della mia gioventù, campagna toscana magra ed asciutta, fatta di pietra se- rena e di pietra forte, di fiori onesti e popolani, di ci- pressi risoluti, di quercioli e di pruni senza moine, quanto mi sembravi pili bella delle campagne famose del sud, colle palme e gli aranci e i fichi d’ india e la bianca polvere e il furente sole d’estate!

(Giovanni Papini, Un uomo finito)
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