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Giuliano d’Elena e il vocabolario di Dio

Creato il 15 febbraio 2013 da Cultura Salentina

Giuliano d’Elena e il vocabolario di Dio

15 febbraio 2013 di Augusto Benemeglio

Un’impresa titanica

Giuliano d’Elena e il vocabolario di Dio

Magritte: La lampe philosophique (1936, olio su tela, 50×66 cm, Collezione privata)

Nel momento in cui la gente sembra rifugiarsi nell’esoterico, nel misterioso, nel magico, forse perché la realtà che viviamo sempre più spesso non ci piace e ne vogliamo un’altra; nel momento in cui c’è una grave crisi di fede e quindi non si riconoscono e non si accettano più i propri limiti, la propria finitezza e si fa della  tecnologia  la nuova divinità da adorare; in questi gravi segnali di squilibrio e di insicurezza, perché sono venuti meno i grandi affidamenti, perché viviamo nella precarietà e non abbiamo un’idea chiara e distinta di quello che ci aspetta; nel momento topico in cui si sono dissolti tutti i valori e sono crollate tutte le ideologie  e l’uomo razionale di oggi deve fare un grande sforzo  per ricostruire il suo codice etico, basato su priorità morali ben definite, un artista si cimenta in una impresa titanica: la pubblicazione – dopo anni e anni di ricerche, di ascolto, di accumulazioni, di riflessioni, di appunti, di costruzioni e rifacimenti, di ritessitura, di incastro – di un libro incredibile e pazzesco, di 2380 pagine, dal titolo emblematico e salvifico: Il vocabolario di Dio.

Intendiamoci, Giuliano D’Elena, artista, filosofo, poeta, con alle spalle un lungo travaglio interiore, sempre sull’orlo di uno scoglio e di un naufragio, teso alla ricerca dell’armonia, una regione dell’idealità  che non si trova su questa terra, e con una dolorosa coscienza di sé e del proprio destino, sempre in procinto di naufragare, con l’unico vantaggio però che nel naufragio stesso è garantita l’invisibile esistenza dell’idealità, non è un folle, né un  ingenuo (forse è tutte e due le cose insieme più qualcos’altro, quel quid che ti fa creatore, artista, eletto e dannato allo stesso tempo),  ma è  certamente una creatura straordinaria, una sorta di  rabdomante che scova  sensazioni ed emozioni a getto continuo, dotato di  uno speciale  apparato – radar con cui cattura sensazioni che attraversano l’universo –  ombre, lievi rumori di acque, suoni efflorescenze, epifanie di colori, ricordi accumulati nella mente dei morti, temporali nascosti dietro le nuvole, emanazioni delle cose minime e infinitesimali. E’ un uomo molteplice, un uomo  “invaso”  da figure e voci che provengono da una vasta tenebra ispiratrice che confina con le galassie, e ciò è  facilmente riscontrabile nella sua arte figurativa, ma senza la fede  che lo sorregge, tutto questo non gli sarebbe servito a nulla, se non estendere all’infinito il grido (l’Urscrei) di Munch da una bocca che è una stilizzazione vulvare.

Una cattedrale della fede

In altri tempi  comporre e miniare un libro, in altri tempi, fu lungo e faticoso,  come costruire una cattedrale.”   E Il vocabolario di Dio è come una cattedrale, una cattedrale della fede. “ Fede che  è – disse San Paolo – realtà di cose sperate e convincimento di cose che non si vedono”  ma anche “ una posizione mentale positiva e costruttiva verso l’universale… una disposizione del cuore in pace e commosso … armonia sociale, civiltà,  forza nella preghiera …credere, credere al di là di tutto” (vds. Pag.786)  “ perché credere solo a ciò che è possibile non è fede, ma solo filosofia” (Browne).

La fede, dunque, è il  pilastro fondamentale di questo libro di Giuliano D’Elena.

E la fede può essere talora impalpabile e irreale come un ponte sospeso, quel ponte che – si narra – vide Giuseppe Ungaretti, tanti anni fa, a Venezia.

Un ponte sospeso

Era un giorno d’autunno e il poeta,  giunto a uno dei tanti canali della città  lagunare,  si arrestò  estatico a guardare un ponticello, lungo tre-quattro metri, con tre scalini in salita e tre in discesa e disse una sola parola: “sospeso”, una delle tante folgorazioni del suo vocabolario essenziale.  Infatti, visto in controluce, il riverbero del sole faceva  scintillare le fondamenta marce delle case e smaterializzava i palazzi rinascimentali,  trasformava l’acqua in luce e la luce in acqua , in modo tale che quel ponte sembrava sorretto da due pilastri di luce.

Su quel ponte sospeso, Giuliano D’Elena ha fatto questa  incredibile  operazione di accumulo spirituale, ma anche intellettuale e materiale, durata  dodici anni, ma ad altri  (quorum ego)  non ne sarebbero bastati centoventi  di anni perché quel ponte lo vediamo solo come trasformazione del reale,  pura visione,  mentre per Giuliano quel ponte, – fatto di mille concetti, pensieri, emozioni che come torrentelli, rivoli, rigagnoli, conducono ad un solo fiume che tutti li contiene per poi  gettarsi nell’immenso mare dell’essere,-  esiste davvero, rappresenta la vittoria sul reale:  basta crederci,  basta attraversarlo. Lui  lo ha attraversato per noi e ha scoperto che tutto ciò che noi definiamo bellezza, filosofia, poesia, arte, amore, perfezione assoluta, si riassume in un solo concetto, in una sola parola, Dio, che dà significato alla nostra esistenza di uomini,  altrimenti misere creature sofferenti che   brancolano nel buio   immerse nel magma, nel mistero della creazione.

L’incontro con Dio

C’è un periodo gotico nell’anima umana, fortemente immaginativo, che riposa proprio nella creazione, di cui è parte viva, e che non tanto pensa quanto  “vede” e raffigura le cose che sente: e questo periodo –  che va dall’inizio degli anni ’70 alla fine degli anni 80’,  Giuliano lo ha vissuto con l’arte figurativa in cui ha proiettato fasci di un mondo in decomposizione, una società avvolta nella sua crisi esistenziale, nel disfacimento morale e nell’angoscia; poi c’è un periodo successivo in cui la vita, consumandoti, ti riduce a riflettere e a trasformare  i tuoi sentimenti, le tue passioni,  in pensiero. E Giuliano ha attraversato anche questo periodo, con  profonda religiosità, che è   “ un sentire delicato  e coinvolgente che postula un anelito alto, responsabile e donativo” (Zavoli),  vòlto alla confidenza con Dio. Nel momento più oscuro e doloroso della sua esistenza,  quando anche i suoi minuti sembravano contati, la sua anima ha avuto il suo supremo incontro con Dio e da questa sublime esperienza è scaturito il Vocabolario di Dio. Ne parla egli stesso a pag. 2199:

Se mi avessero avvisato che un giorno sarei stato autore di un’opera letteraria e teologica così complessa e monumentale, sarei andato a nascondermi in qualche sperduta oasi, sia per l’assurda fatica che avrei dovuto affrontare, sia per le incomprensioni a cui sarei andato incontro e sia per gli esili strumenti razionali di cui sono dotato.  Evidentemente Dio si serve e si fida proprio della spontanea fragilità di chi possiede solo la buona volontà e null’altro. Il resto…è opera Sua. Questo lo dico perché per tantissime volte la penna è scivolata da sola lasciando scritto ciò che vedete. Non a caso, Giuliano ha parlato di “opera letteraria, prima ancora che teologica”.  Da parte mia preciserei ancora meglio:  opera  essenzialmente poetica, rivolta a tutti, ma in particolare al fratello cristiano  misero, perdente, povero, sfortunato, debole, malato, emarginato, reietto. Ma anche uomo di passione e volontà, che ha voglia di riscatto della propria dignità, che ha voglia di vivere su questa terra la sua completezza di uomo e cristiano, in armonia con sé stesso, il prossimo e il creato, non certamente l’uomo che cerca l’isolata salvezza della propria anima, anima che tuttavia, come nel “Cantico spirituale” di Giovanni della Croce da sempre  brama l’incontro supremo con il proprio creatore:

Dove ti sei nascosto,/Amato, abbandonando me gemente?

Come il cervo fuggisti,/Dopo avermi ferita;

Uscii invocandoti e te n’eri già andato.

Un dialogo senza fine.

Caro Giuliano, che dirti di più? Continua  tra noi quel dialogo senza fine che tessiamo da oltre vent’anni e che ha trovato, recentemente, un canale, un viadotto pubblico attraverso un’emittente locale, dove abbiamo parlato per cinquanta minuti un po’ di tutto, dall’arte alla famiglia, dalla filosofia alla teologia, alla poesia, accennando quasi di soppiatto a questo tuo “miracoloso” Vocabolario di Dio, che ti procurerà incomprensione e ti sarà motivo di scandalo, come hai già anticipato. Conosco il tuo coraggio, il tuo pensiero e la tua bell’anima di angelo caduto su questa terra non si sa come;  so che spargi ,con una mano,  fiori profumatissimi, ma  hai anche una spada lucentissima e sguainata nell’altra mano. Non a caso ti definii “timido guerriero che cerca un sentiero che abbia un cuore”. E tuttavia riesci sempre a sorprendermi, per la tua straordinaria ingenuità, che è amore puro, poesia. Come mai? Te lo domando.

“Vedi, caro amico, per me il compito dell’amore (poesia e amore si identificano) è di restituire all’altro la sua identità. La stessa poesia è una continua identificazione degli oggetti : io faccio poesia, – sia con i versi che con i pennelli,-   quando qualunque oggetto di cui parlo lo restituisco nella sua totale libertà (acquistare la propria identità significa  acquistare la propria libertà) : se ti restituisco la tua libertà, tu rispondi immediatamente della creazione ricevuta da Dio : la libertà per me non è che nel Signore”.


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