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Giuochi

Creato il 17 aprile 2010 da Renzomazzetti

GIUOCHICome la caccia ebbe fine, i servitori distesero un gran tappeto all’ombra delle betulle, e tutta la compagnia vi si sedette in circolo. Gavrila il maggiordomo, pestata attorno a se l’erba verde e tenera, si dette a strofinare i piatti, poi trasse da una cassetta mucchi di prugne e di pesche avvoltolate in fogli di carta. Il sole risplendeva attraverso i rami delle giovani betulle, gettando sui disegni del tappeto, sulle mie gambe e persino sulla testa calva e sudata di Gavrila grossi marenghi che luccicavano e ondeggiavano al vento. Il quale, leggero com’era, volando dalle foglie degli alberi ai miei capelli e al mio volto sudato, mi rinfrescava dolcemente. Come ci furono serviti i gelati e le frutta, noi ragazzi non avevamo più nulla da fare sul tappeto, e allora, nonostante i raggi ardenti del sole, ci alzammo per andare a giuocare. Che giuochi vogliamo fare? Domandò Volodja, buttandosi pigramente sull’erba e masticando delle foglie. Sempre l’eterno Robinson? Se proprio volete giuocare, costruiamo una pergola. Era evidente che Volodja stava dandosi delle arie. Forse questa superbia nasceva dal fatto ch’egli era venuto alla caccia cavalcando un cavallo, e per questo fingeva d’essere molto stanco. Forse anche, mentre egli possedeva una forte intelligenza, aveva invece troppo poca forza di fantasia per godere veramente a giuocare a Robinson. Questo giuoco consisteva nel rappresentare delle scene del Robinson suisse, che noi avevamo letto non molto tempo prima. Via, su… perché non vuoi farci questo piacere? Insistettero le ragazze. Tu sarai Carlo, o Ernesto, o il padre, come più ti piace, aggiunse la piccola Katenka, sforzandosi di tirarlo su da terra per una manica. Sul serio, non ho voglia: mi annoio, ripeté Volodja, sempre più allungandosi sull’erba, e sorridendo soddisfatto. Allora era meglio rimanere a casa, se nessuno vuol giuocare… singhiozzò Ljubocka attraverso i lacrimoni. Ljubocka piangeva con una facilità straordinaria. A quel pianto Volodja disse: Bene, andiamo; solo smetti di piangere, ti prego: non posso soffrire le lacrime. La condiscendenza di Volodja non ci procurò molto piacere; al contrario, quel suo volto annoiato e quel suo modo pigro di camminare guastavano tutto l’incanto del giuoco. Quando ci sedemmo a terra cominciammo a vogare, facendo finta di andare alla pesca. Ma quell’antipatico di Volodja restò con le braccia incrociate, in un atteggiamento che non era certo quello di un pescatore. Io allora glielo feci notare; ma lui mi rispose con arroganza che, muovesse o no le braccia, noi non saremmo andati lontani, né avremmo guadagnato o perduto nulla. Dentro di me, pur contro voglia, dovetti dargli ragione. Più tardi, quando io entrai nel bosco con un bastone sulla spalla, fingendo di andare a caccia, Volodja si buttò a terra, sdraiandosi sulla schiena con le mani sotto la testa, e dicendomi che anche lui stava fingendo di andare a caccia. Questo modo di fare, assieme con le sue parole, che gettarono un gelo nel giuoco, furono molto sgraditi, tanto più che dentro di noi tacitamente riconoscevamo che egli aveva ragione. Anch’io so che con il bastone, non soltanto è impossibile uccidere degli uccelli, ma non si può nemmeno sparare. Ma è un giuoco. Se si doveva ragionare come ragionava Volodja, non era possibile neppure viaggiare sulle sedie. Tuttavia Volodja doveva ricordarsi come nelle lunghe sere d’inverno noi coprivamo il divano con dei fazzoletti per trasformarlo in carrozza, e uno si sedeva come cocchiere, l’altro come servitore, e le bambine nel mezzo, e tre sedie facevano da cavalli, e così viaggiavamo. O ci sembrava di viaggiare davvero. E quante avventure, una diversa dall’altra, ci capitavano durante il viaggio, e come passavano presto e allegramente le lunghe serate d’inverno! A voler giudicare secondo la realtà, nessun giuoco esiste più. E se al mondo non ci saranno più giuochi, che cosa mai resterà?

-LEONI TOLSTOI-

( L’albero del riccio, Antonio Gramsci, Milano-sera editrice, 1949)

 

GIUOCHI

ALBERO

Rumore di foglie

secche

cadute dall’albero

ormai spoglio.

Nudo

al freddo inverno

le sue radici

nasconde nella terra.

Come morto

non sente

né vento né gelo

né le leggiere zampe

di un passerotto

che cerca il fogliame verde.

-Renzo Mazzetti-

( Dal mio cranio dal mio cuore “10”, Pellegrini editore, Cosenza, 1969)


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