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Giuseppe Allamano/Ubi humilitas, ibi sapientia/La sfida di sempre

Creato il 15 febbraio 2012 da Marianna06

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Il 29 giugno 1902, festa di S. Pietro e Paolo, viene inaugurata la prima missione de La Consolata in terra d’Africa.

Essa nasce nel Kikuyu, un territorio a circa due giornate di marcia dalla base del monte Kenya, a 2500 metri sul livello del mare.

A segnalare l’avvenimento nel suo diario è p. Filippo Perlo , uno dei primi missionari inviati da Giuseppe Allamano, fondatore, agli inizi del’900, della Congregazione dei missionari della Consolata e, qualche anno più tardi, anche del ramo femminile della stessa.

Inizia così quella meravigliosa avventura umana che, fino ai nostri giorni, continua a vedere coinvolti, uomini e donne, religiosi e laici, tutti impegnati ad offrire aiuto e solidarietà a chi ne ha davvero bisogno alla luce esclusiva degli insegnamenti del Vangelo.

Da allora ad oggi lo spazio geografico delle missioni dei missionari e delle missionarie della Consolata si è enormemente ampliato fino ad includere le Americhe e, ultimissima, l’Asia.

Addirittura la Mongolia, pensate.

 Dopo una prima valida esperienza, anni fa, in Corea del Sud.

Mongolia che sta rispondendo ,a costo di un grande impegno da parte degli attori della missione, giovanissimi anagraficamente per altro ,vuoi per le difficoltà linguistiche oltre che di adattamento all’ambiente, molto  in positivo.

Giuseppe Allamano credeva fortemente nella forza dell’annuncio e quindi della Parola ma anche nell’azione concreta, fatta di gesti,  di fatica,  di sudore,  di capacità di rimboccarsi le maniche e di fare.

E poi amava il silenzio nella misura in cui esso è capace di trascendere l’orizzonte che solitamente riusciamo ad abbracciare con lo sguardo.

Osservare il cielo stellato o una vetta innevata o il sorriso di un bimbo é magnificare nella creazione il creatore.

 

Per di più silenzio per l’Allamano vuol dire soprattutto capacità d’ascolto dell’altro in quanto, secondo lui, siamo prima ascoltatori e poi narratori. E ciò perché, nostro malgrado, siamo “impastati” delle storie vissute e narrate dagli altri.

 

Queste osservazioni egli le faceva di continuo ai suoi seminaristi quando, a Torino, fu per un certo tempo rettore al santuario de La Consolata.

Infatti egli credeva molto nel racconto delle esperienze missionarie inteso proprio come mezzo per formare alla missione. E il racconto, a suo avviso, deve essere solo scarna testimonianza, senza agiografia alcuna di sorta.

A conferma di questo suo modo di pensare basti ricordare anche l’ appoggio da lui dato alla Fondazione di don Alberione, la” buona” stampa, e il fatto d’essere stato più volte interpellato dalla Francia per la nascita del periodico cattolico “La Croix”.

Questa sua attenzione  rivolta ai mezzi di comunicazione del suo tempo, accanto all’impegno nel sociale in Torino( l’Allamano non partì mai per l’Africa, pur desiderandolo ardentemente) e alle notizie continue di problemi urgenti della missione, che gli arrivavano attraverso le lettere dei suoi missionari e missionarie, lo porta, un bel giorno, a decidere della nascita di un periodico dell’istituto, cui dà il nome di “ La Consolata”.

E questo periodico, modesto nel formato e di poche pagine, più bollettino che rivista, diviene subito una forte componente d’identità dell’istituto in Torino e ,in seguito, in tutto il Piemonte.Almeno agli inizi.

 Oggi la rivista ,redatta e stampata a Torino, viene letta sia in Italia che nel resto del mondo, dove raggiunge il lettore per mezzo dell'abbonamento.

Per l’Allamano la funzione del periodico “La Consolata” era ed è quella forma alternativa di annuncio del Vangelo attraverso il racconto di autentiche esperienze di missione da divulgare a chi è lontano ma vuole conoscere, sapere.

 Desidera essere, dunque, in qualche modo coinvolto.

Infatti i missionari e le missionarie avevano ed  hanno l’obbligo, in un certo senso ,di dare testimonianza attraverso degli scritti. La cosa talora era ed è un po’ difficile però  in quanto la vita di missione ha le sue complicazioni.

Lo è oggi. Si può immaginare cosa potesse essere agli inizi del secolo scorso, in Africa, e da lì poi scrivere per far pervenire, con i mezzi di allora, notizie a Torino.

Eppure lo si faceva.

Da quel piccolo periodico, quasi un abbozzo di giornale, attualmente quasi tutte le Regioni dei missionari della Consolata hanno ciascuna una propria rivista, in lingua locale. E, a Torino, mensilmente viene pubblicata la rivista italiana con il titolo di “Missioni Consolata”.

Rivista che, appunto, raccoglie e divulga le diverse testimonianze da ovunque nel mondo operino i missionari o le missionarie della  Consolata.

Ed è, a detta dei lettori ma non solo, un prodotto ben riuscito , accattivante  per la fruibilità dello scritto chiaro ed incisivo  e anche per la ricchezza e bellezza delle immagini , che l’ha da sempre connotata .

 

In missione uno dei grossi odierni problemi, a partire da quelli che sono stati gli insegnamenti del Vaticano II, autentica rivoluzione copernicana della Chiesa ,sempre però nel solco della tradizione millenaria del cristianesimo, è quello dell’inculturazione.

Ovvero il sapersi calare ed essere capaci di calare a sua volta gli insegnamenti del Vangelo in una cultura “altra”.Senza indebite sovrapposizioni di tipo occidentali,dettate dalla propria cultura di provenienza.

 Nel rispetto quindi della cultura e delle tradizioni, cui fa inevitabilmente riferimento la Chiesa locale ospitante, se c’è già  o è da impiantare, che può essere africana, latino-americana o asiatica. Con tutta l’enorme complessità che ciò significa.

Questo vuol dire che il missionario italiano deve avere ottime doti di formatore, accanto ad una profonda conoscenza, non libresca soltanto, delle differenti culture in cui si cala.

Ecco allora che oggi il sogno dell’Allamano s’incarna essenzialmente nel principio d’internazionalità ,che l’Istituto dei missionari della Consolata ha fatto proprio.

Nei seminari maggiori oggi è, infatti, possibile e quindi vivere a contatto di gomito europei, africani, latino americani e presto forse anche asiatici.

Infine la sfida più grande e la più importante in assoluto che l’Allamano proponeva ai suoi figli, uomini e donne, che sceglievano la “missione” è quella, di oggi e di sempre, di “fare bene il bene”.

Ossia dell’essere capaci di correre tutti insieme sulla pista della perfezione per fare il mondo migliore, perché è importante essere prima “santi” e poi missionari.

Questa è verità che si fa vita e vale la pena d’essere vissuta.

 

   Marianna Micheluzzi

 


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