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Giuseppe Gulotta per 22 anni in carcere. Da innocente

Creato il 29 maggio 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

“Volevo fare il finanziere ed essere una persona normale. Invece, per trentasei anni sono stato un assassino, perché questo conveniva ai giudici. Io, un muratore, scelto come capro espiatorio, per custodire un segreto di Stato. Oggi sono tranquillo”.

Si racconta così Giuseppe Gulotta, 55 anni siciliano, quando lo raggiungo al telefono per parlare del libro scritto con Nicola Biondo, giornalista de L’Unità, dal titolo Alkamar – La mia vita in carcere da innocente”-  Chiarelettere

Tranquillo, mai un sussulto, mai parole di vendetta. Eppure di rabbia ne dovrebbe avere.

Giuseppe Gulotta per 22 anni in carcere. Da innocente
A diciotto anni, Giuseppe, muratore, viene arrestato e costretto a confessare l’omicidio di due carabinieri ad “Alkamar”, una piccola caserma in provincia di Trapani. Il delitto nasconde un mistero indicibile: servizi segreti e uomini dello Stato  che trattano con gruppi neofascisti, traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Lui, una persona semplice e ingenua, è l’ideale.

Gulotta ha vissuto ventidue anni in carcere da innocente e trentasei anni di calvario con la giustizia. Non è mai fuggito, anche se ne ha avuto la possibilità. Ha lottato sempre a testa alta.

Oggi, dopo dieci processi, è un uomo libero. E’ stato assolto, perché non ha  commesso il reato. Vive a Firenze con sua moglie Michela e i suoi quiattro figli.

Giuseppe, ma come ha fatto a resistere? Chi le ha dato la forza per non impazzire e per non suicidarsi?

Ero innocente. Sapevo che un giorno i giudici avrebbero scoperto la verità.

Sì, ma come ha fatto a non uccidere dentro di sé la speranza, vivendo giorni sempre uguali in prigione?

Mi ero prefisso degli obiettivi. Dimostrare che ero innocente. Andavo avanti dritto per raggiungerli. E non pensavo ad altro. In carcere sono sempre stato calmo. Mai un accesso di rabbia. Un giorno decisi di andare in biblioteca e di leggere l’ordinamento giudiziario. Scoprii due cose: che agli ergastolani la pena può essere ridotta e che si può lavorare fuori dal carcere nelle ore diurne. Da quel giorno, ed erano passati due anni, le cose cambiarono. Mi misi a studiare e ad informarmi per un’attività da svolgere fuori dalle sbarre. L’azienda Unibloc di Poggibonsi, che non finirò mai di ringraziare, mi assunse. Se non avessi avuto questa possibilità, sarei impazzito.

Ma cosa faceva in carcere?

Le ripeto, ero tranquillo, come lo sono oggi. Non parlavo né con i detenuti, né con le guardie carcerarie. E questo ha inciso in modo positivo. In cella mi hanno sempre rispettato.

Ha perso 36 anni della sua vita, non ha visto morire i suoi genitori che per la sua storia hanno sofferto molto e non prova rabbia?

Ho avuto quello che volevo. Sono stato riconosciuto innocente. Per alcuni mesi in carcere ho sofferto di depressione e mi sono curato. Poi nient’altro.

Ma ha dovuto aspettare il decimo processo. La prima sentenza di condanna l’ha dipinta come un mostro, un balordo che, quasi per gioco, ha assassinato due carabinieri. Ma non ce l’ha con nessuno?

Sì, provo un po’ di rancore, ma non posso fare niente. Cosa dovrei fare? La vendetta non mi appartiene.

Perché non hai mai tentato la fuga?

Perché volevo ricambiare l’amore di cui mi nutrivo, quello della mia famiglia e perché non sarei stato a posto con la coscienza. Volevo giustizia. Volevo la verità.

La polizia giudiziaria che le ha estorto una confessione falsa, i pm che non hanno mai raccolto prove a suo discarico, i giudici che l’hanno condannata, hanno in qualche modo chiesto scusa per quello che le hanno fatto? 

Forse non mi crederà. Non ho avuto neanche il risarcimento dei danni. Nessuna richiesta di perdono. La cosa strana è che in questo Paese il risarcimento non è automatico. Devi chiederlo tu. E io devo ancora chiederlo tramite i miei avvocati, che aspettano una sentenza della Corte di Cassazione prevista per il 31 maggio.

Dunque, quell’omicidio non ha ancora un responsabile.

Dopo la chiusura avvenuta l’anno scorso del processo di revisione, iniziato nel 2010, la Procura di Trapani ha aperto due inchieste: una per scoprire l’assassinio dei due carabinieri, l’altra per capire qualcosa di più sulla morte del mio peggiore accusatore, Vesco, trovato impiccato in carcere.

Oggi lei è un uomo libero solo per un errore commesso in una trasmissione televisiva, in cui si disse che gli assassini di Alcamo erano stati tutti assolti. E lei si trovava  in carcere.

Sì, se non fosse stato per quella trasmissione, oggi forse non sarei fuori. Ma sarei andato avanti io, avrei letto meglio gli incartamenti, avrei scovato la verità nei palazzi di giustizia. Ce l’avrei fatta. E poi mi fidavo di alcuni giudici.

E ora?

Anche ora. Ci sono giudici che mi hanno messo dentro e giudici che mi hanno liberato.

Cosa chiede?

Maggiore responsabilità da parte dei magistrati. Chiedo anche che nel nostro ordinamento giudiziario siano introdotti il reato di tortura e quello di depistaggio.

Lei come Enzo Tortora.

Sì, anche se io non ho avuto una copertura mediatica. Non ho avuto niente di niente.

Lei un muratore, una persona semplice, all’improvviso agganciata alla struttura paramilitare e segreta Gladio e alla mafia. Come l’ha fatta sentire per anni questa cosa?

Ancora oggi non so perché abbiano scelto proprio me. So solo che hanno parlato di errore giudiziario. Ma nei miei confronti hanno perpetrato una vera e propria frode processuale. In mala fede e con superficialità, i giudici hanno voluto chiudere un caso in un mese e mezzo e hanno scelto persone semplici su cui scaricare un peso enorme. Solo dopo tanti anni ho scoperto che nei verbali c’erano frasi che io non avevo mai detto.

Quale la libertà più grande che sta assaporando oggi?

La sera di capodanno posso finalmente fare tardi. Ora posso dormire serenamente a casa con mia moglie Michela e i miei figli. Sa, il carcere è duro la sera. E’ terribile cenare a casa con la tua famiglia, quando ti danno la possibilità di uscire di giorno,  e poi andare a dormire in un posto squallido come il carcere.

In futuro?

Sto pensando di creare con i miei avvocati un’associazione che dia assistenza legale gratuita a chi è senza voce dietro le sbarre. E poi vorrei aiutare un oratorio, che si è preso cura dei miei figli quando non potevo farlo io.

Ora come vive? Ha paura?

Sono sempre tranquillo. Tutto il male che avrebbero potuto farmi, me l’hanno fatto. Cosa dovrei temere?

Si sentirà un tipo tosto!

Tosto io? Sono una persona normale. Forse un po’ determinata. Ho avuto quello che speravo. Sono ancora vivo e ho imparato a gustarmi la vita in modo pieno. Tutti mi rispettano. E poi credo anche nella giustizia divina. Il paradiso penso proprio di essermelo  già guadagnato.

                                                                                                                          Cinzia Ficco

 


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