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Giuseppe Prezzolini, La Firenze moderna del 1917 – 2/3

Da Paolorossi

Due civiltà di fronte : non soltanto due civiltà di denaro, ma due civiltà di tempo. L'una doveva uccidere l'altra. Firenze soffre appunto di questa lotta. Essa cresce. Ma non cresce abbastanza per i bisogni dei suoi abitatori. Non soltanto perchè, come tutte le grandi città, attira nel suo seno gente di campagna e operai desiderosi d'un salario più forte e attirati dai piaceri a buon mercato delle grandi città ; ma anche perché i nuovi fiorentini, quelli che ora hanno trenta, venticinque anni, e che formano il maggior contingente degli sposi nuovi, hanno idee, bisogni, necessità differenti da quelle dei babbi loro, e hanno voglia di case più piccole e più pulite, con più aria, con più luce. E hanno voglia di stare soli. Non fanno più famiglia col babbo e col nonno. Si sposano e vanno via. Sciamano, senza andare in un'altra città ; vanno in un altro quartiere.

La famigia è nel pensiero di oggi una cosa ridotta. Non è più la famiglia con a capo il maschio più vecchio. È la famiglia in ragione economica e non in ragione d'età. Chi guadagna fa famiglia a parte. Di qui la grande necessità di quartieri piccoli, e il veder sfitti i grandi. Di qui la corsa fuori della cinta della città, e la trasformazione del centro in luogo di ritrovo commerciale, con molte sedi giornaliere di lavoratori, di rappresentanti, di operai, di commercianti, che alla sera vengon respinti con forza propulsiva dal centro ai luoghi donde son venuti la mattina, chi alle belle abitazioni dei quartieri borghesi presso i viali, chi più lontano fuori di porta nelle case sorte per iniziativa di cooperative della piccola borghesia (maestri, ferrovieri ecc.), chi più lontano ancora, con le corse operaie, verso Sesto, verso Ripoli, verso Grassina, su per Settignano o San Domenico, lungo Peretola, e Brozzi fino a Poggio a Cajano.

La città cresce, s'avanza, conquista sulla campagna il terreno ; la calce brucia la vegetazione ; le cisterne e i pozzi si chiudono, e s'allungano i condotti dell'acqua potabile ; i solchi non abbeverano più la terra, ma la pioggia scorre per i rigagnoli; s'affondano i cavi della luce elettrica ; i tubi del gas da luce e da cucina, le derivazioni, gli scarichi, le fogne, tendono, come nuove radici d'una altra vegetazione, le loro ramificazioni. Vibra sotto terra, vibra per l'aria la energia elettrica, passano i suoi richiami telefonici, telegrafici, in alto, per i muri, sotto le fondamenta, animando nuovamente del loro segreto intreccio, lo spazio. Il terreno ostile, curvo, rotto da crepacci, solcato da ruscelli, sassoso e grasso, viene livellato, colmato, coperto, reso scorrevole. Le strade sono più liscie dei campi, e le rotaie più liscie delle strade, e le molle e le gomme soccorrono dove non basta la modificazione del terreno.

Agli sbocchi delle vie, tra una casa e l'altra, nello sfondo d'uno stradone, lungo i viali, come ornamento e complemento, viene concesso al verde, alla campagna di vivere. Il giardinetto della casa borghese, la proda verzicante del viale, gli ontani e i lecci e le acacie degli stradali, sono al loro posto secondario, di scenario e di ricreazione. La domenica o l'ora del riposo piacciono ancora agli occhi del fiorentino (fattosi ormai mezzo uomo moderno), come i pesci che boccheggiano nel vaso di vetro, o i garofani sul davanzale, o il mazzetto di fiori scelti nella terracotta di Signa.

E a tutta questa trasformazione, a questa conquista della città e dei suoi gusti nuovi, ha contribuito il denaro. L' hanno raccolto da tutte le piccole e le medie borse, dai salvadenai dei bimbi, dalle calze delle donne, dai pagliericci dei vecchi, dal cassettino del borghese, dal portafoglio del ricco, le banche che vigilano nel centro ed attirano, con la loro importanza e con il loro lusso, con la loro solidità di marmo e di ferro. Lo hanno raccolto e ora lo respingono, a fare strade, a sgomitolare fili di acciaio, ad accumulare mattoni, a provvedere bacini di calce e di cemento, a sgrossare travi, a stendere lastricati, ad addobbare botteghe e case ; aspettando che rientri, accompagnato da tutto quell'altro che l'operosità e la destrezza conquisteranno, faranno scaturire. Per poi tornare, ingrossato, all'assalto. (1917)

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( Giuseppe Prezzolini, "Firenze moderna" da "Uomini 22 e città 3", pag.309/311 - Vallecchi Editore Firenze, 1920 )

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