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Gli avvoltoi hanno volato basso

Da Brunougolini
Gli avvoltoi hanno volato basso. I profeti di sventura sono stati smentiti. Il loro implicito invito ad aver paura delle piazze, a rimanere tappati in casa, è stato rispedito al mittente. Non c’è stato un graffio. Roma ha visto sfilare due immensi cortei. Ed è andato in scena, qui si volando alto, un fatto politico enorme: il valore del lavoro, i suoi diritti,  la sua dignità, il suo peso per le sorti, per la ricchezza del Paese.  Il lavoro nei suoi diversi panni:  gli operai con fabbriche traballanti, i cassintegrati, i giovani precari, gli impiegati pubblici, i pensionati, gli studenti.  Una realtà coperta dal silenzio, nascosta da un ottimismo facilone. Ed è un bene per tutti che ci sia un soggetto sociale capace di impedire che la sofferenza del lavoro si traduca in disperazione, in atti inconsulti magari tradotti in puerili lanci di uova. Ecco: quelli che si vedevano sfilare ieri per le strade di Roma, erano facce serene e determinate. Come erano serene, certo, le facce dei lavoratori che qualche giorno fa, convocati da Cisl e Uil, hanno occupato Piazza del Popolo, sempre a Roma, per rivendicare dal governo un fisco equo.  Così ieri la Fiom, la Cgil, - presente non solo per le conclusioni di Guglielmo Epifani  ma anche per il concreto apporto di altre categorie, a cominciare dall’organizzazione dei pensionati e della Funzione Pubblica - non ha espresso solo una presenza organizzativa potente. Tutto questo malgrado le ferite riportate da una campagna di stampa ossessiva, da una politica di accordi separati guidata con tenacia dal governo di centrodestra. La Fiom, nello stesso tempo, ha dato prova d’intelligenza politica, limitando le parole d‘ordine capaci solo di esprimere rancore, sottolineando gli aspetti propositivi, impedendo che la manifestazione fosse snaturata da gruppi esterni. Non è stato facile. La tensione si è manifestata quando è stata data la parola al segretario generale della Confederazione, Guglielmo Epifani, chiamato al suo ultimo discorso in questa veste. Ma i dissensi che qualche volta hanno cercato di interrompere il suo discorso non hanno mutato il senso della giornata. Un senso contenuto anche nelle parole di un ospite importante, Gustavo Zagrebelsky, venuto a ricordare che una società divisa tra chi è tutelato e chi no è una minaccia per la democrazia.  Con chiaro riferimento a diritti sindacali calpestati o inesistenti.  Stanno qui, appunto, i contenuti “sindacali” e quindi politici della manifestazione.  Non nella presenza sia pur nutrita di esponenti del Pd, di Rc, di Sel, di Idv, Pcdi e delle molte bandiere rosse. E’ vero che dal palco si sono sentiti anche accenti populisti e demagogici che si potevano tralasciare. Ma quelle dominanti erano opzioni riferite al sindacato non ad un anti-berlusconismo di maniera. Ora bisognerà tener fede alla volontà espressa. Con la speranza che si lascino perdere le strumentalizzazioni, si tenga conto che è pericoloso e assai difficile isolare davvero una forza così radicata nella società e nei luoghi di lavoro. E’ pericoloso perché così operando davvero si lascia spazio ad aspri fenomeni di disperazione. Il malessere va raccolto e portato a sbocchi positivi di cambiamento. 
E questo lo si potrà fare, credo, se si saprà riunire i nodi intricati di un’unità del mondo del lavoro che qualcuno ha voluto frantumare. Senza per questo abbandonare l’impegno di lotta. Il prossimo appuntamento è la giornata nazionale indetta dalla Confederazione per il 27 novembre. Non è ancora lo sciopero generale, richiesto a gran voce da una piazza ribollente, anche perché questa scelta rappresenta sempre un atto estremo. E perché non è facile, con le aziende che traballano, convincere i lavoratori ad incrociare le braccia. Del resto anche le manifestazioni come quella di ieri, anche se non hanno il sapore catarsico, quasi religioso, dello sciopero generale, in un sabato d’ottobre, può restituire fiducia, incidere nella realtà, ottenere risultati. Ovverosia strappare accordi, come spesso è avvenuto anche negli ultimi mesi, che tengano conto di esigenze produttive, ma che non calpestino diritti che spesso non sono di proprietà nemmeno dei sindacati.

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