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Gli italiani: meno lontani da Mosca o Teheran che da Londra o New York

Creato il 21 gennaio 2011 da Anellidifum0

In una delle mailing list di studiosi della cultura italiana è arrivata la domanda: come mai questa indolenza degli italiani davanti ai comportamenti degli ultimi tempi di Berlusconi?

Ecco la mia risposta:

Scusate, ma secondo me la questione è posta fuori fuoco.

Non dovremmo tanto chiederci il perché di un’atavica indolenza, forse negli ultimi anni diventata un vero amorfismo dell’italiano medio. E’ più interessante cercare di capire come mai per una porzione davvero molto consistente di elettori italiani, e dunque di cittadini italiani, Berlusconi rappresenti invece un modello positivo, da ammirare, difendere e invidiare. Sentivo ieri alla radio che in Russia, il cittadino medio stima molto Berlusconi perché in lui riconosce le caratteristiche del Cesare, dello Zar, del Capo. Mentre a Londra, Parigi o Toronto di Berlusconi si pensa in genere il peggio possibile, nelle società meno evolute dal punto di vista liberale e democratico, lo si ammira e idealizza.

Ecco, io credo che la questione stia tutta qui. L’Italia non è solo geograficamente una nazione che fa da cerniera fra l’Europa occidentale e quella orientale, fra l’Europa e il Medio oriente. Lo è anche da un punto di vista geo-politico e sociale. Roma, Napoli, Milano, Verona sono – con buona pace del nostro sentimento d’orgoglio nazionale, ammesso ce ne sia uno – meno lontane da Teheran o da Mosca che da Londra o New York. E’ un’affermazione che si può sostenere sotto diversi profili: l’atteggiamento verso l’educazione civica, verso la religione, verso lo Stato, la propria famiglia, la globalizzazione, il diverso (ebreo, gay o persona di pelle dal diverso colore) e il prossimo.

L’italiano medio, quello che a votare spesso ci va, ma che magari legge un libro l’anno e non compra giornali, in parte non sa nulla dei comportamenti criminosi o amorali di Berlusconi. Ma quando ne è al corrente, li giudica usualmente grandiosi, encomiabili, li guarda con l’occhio dell’invidia e della stima verso “l’uomo che s’è fatto da sé”, come impone la vulgata di casa Mediaset, Chi? e Tv Sorrisi e Canzoni.

Infine, ma solo infine: il potere di trent’anni di condizionamento da parte della tv commerciale e del resto dell’impero berlusconiano. Un’arma di distrazione di massa portentosa, che fino a oggi si è sempre mostrata in grado di spostare, a ogni campagna elettorale, il voto di un 6-8% del corpo elettorale dall’area del centro o della sinistra o dell’astensione a quella del voto per il partito di Berlusconi. A prescindere da ciò che i suoi governi abbiano fatto o misfatto.

Su quest’ultimo punto posso dirvi che pure il mio caro amico e relatore Pietro Scoppola, prima di morire, aveva cambiato opinione. Nei suoi corsi di storia contemporanea, lungo gli anni Novanta, negava con fermezza che le tv di Berlusconi giocassero un ruolo, e portava in esempio le vittorie dell’Ulivo avvenute in quegli anni. Poi però, a forza di osservare l’andamento delle elezioni politiche che si sono tenute dal 1993 agli anni Zero, ammise che una componente non piccola la giocavano eccome, soprattutto quando la legge sulla par condicio è stata interpretata dai nuovi direttori berlusconiani della Rai al pari di un bavaglio verso le trasmissioni di approfondimento politico.

Come dice Beppe Severgnini, che sul tema ha scritto un libro acuto, prima o poi Berlusconi verrà lasciato solo dai suoi sodali e a quel punto occorrerà difenderlo da chi esigerà di impiccarlo per i piedi, “per farlo vedere a tutta la piazza”. Chissà, può darsi, in effetti è spesso finita così, ma non per tutti coloro che hanno saputo trasformare il proprio cognome in un -ismo.


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