A cura di Bruce Wayne
La palla andò a effetto, come quasi sempre accade in queste situazioni.
Ma la traiettoria che disegnò fu piuttosto strana. Perché prese a girare in modo più stretto del solito, come se il suo cammino, nell’aria dell’Olimpico, non cercasse la testa o il piede di qualche compagno di squadra pronto a gonfiare la rete. Era come se quella palla volesse insaccarsi alle spalle del portiere prima ancora di entrare in contatto con qualsiasi altra cosa.
E così fece, in effetti. E per questa ragione, da quel Lazio-Verona in poi, i calci d’angolo dei biancocelesti furono sempre affidati a Juan Sebastian Veron, che di quella magia fu l’artefice.
Ma non era solo questo, quell’argentino col volto da corsaro e l’animo semplice. Perché Veron, a centrocampo, sapeva essere un vero baricentro per l’intera squadra: uno degli artefici dell’intera costruzione del gioco. Era rapido, dotato di una lucida visione del gioco e di un buon senso della squadra, sapeva fare gol su calcio da fermo – anche, come abbiamo detto, dall’angolo – e sapeva creare occasioni che difficilmente il Christian Vieri dell’epoca mandava in bianco.
Insomma, un campione, di quelli che meritatamente vengono ancora oggi ricordati sulla sponda biancoceleste di Roma.