Magazine Cinema

Goltzius and the Pelican Company

Creato il 18 gennaio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Data di uscita: 20-January-2015

Anno: 2012

Nazionalità: Regno Unito, Paesi Bassi, Croazia, Francia

Durata:  120′ 

Genere: Costume drama

Regia e Sceneggiatura:  Peter Greenaway

 

Goltzius and the Pelican Company: estatico Greenaway

Probabilmente Peter Greenaway (allo stadio in cui attualmente si trova la sua evoluzione) è il migliore rappresentante di una contemporaneità visiva estetico-critica, di scoperta-rivelazione, di sperimentazione percettiva-sensitiva. Le sue origini e formazione pittoriche, spiegano, ma non esauriscono la straordinaria capacità che lo connota: una mistica, immanente e vorticosa condensazione-rappresentazione, nella quale, compenetrata e dinamica, espansa e compressa, l’immagine naturalmente prepondera-sovrabbonda magnifica e piena in tutta la sua attraenza-eccitazione per l’occhio sovraesposto, messo in gioco continuamente nell’attenzione sempre vigile, perennemente meravigliati-estasiati, sollecitati da un linguaggio plurale e sovrapposto, stratificato, esaltato con la computer grafica e il digitale. Nonostante il pittore-cineasta rimarchi ogni volta (così è stato anche in conferenza stampa di questa edizione), che a lui interessa moltissimo il VISIVO, non un cinema testuale, gli si può felicemente obiettare che anche la parola nel suo cinema ‘eccita’, perché mai passiva, anch’essa foriera di passaggi intellettuali tutt’altro che blandi e scontati. Come i temi da cui lui stesso si lascia sedurre: “Due sono le uniche cose su cui vale la pena di soffermarsi, esplorare: il sesso e la morte”. Peter Greenaway è (tra l’altro) abilissimo ed acutissimo rivelatore di ‘doppiezza’, capace di tradurre in piena evidenza, sia il fascino immortale del SENSO-SENSUALE che il mistero della sua indefinibilità (anche) nel farci intravedere l’abisso delle aberrazioni a cui può condurre. A fil doppio con i temi principali, l’intelletto, sempre sempre sempre gestito manovrato dentro uno scritto-parlato che amplifica l’attraenza, in una non banalità di contenuti, mai schiava della erudizione fine a se stessa, pur richiamando costantemente alti stimoli tematici e simbolici. Il sentire è completo… nel corpo e nella testa.

Con questa sua ultima creatura cinematografica, come lui stesso definisce, attualizza, aggiunge un altro tassello all’esplorazione che sin dall’antichità l’uomo ha compiuto dentro temi esorcizzati (temuti/amati nello scarso controllo che di essi si può avere). E non c’è dubbio che la sessualità (come Peter Greenaway stesso ci ‘insegna’ nella carrellata di dipinti a cui ci sottopone in Goltzius) è stata un tarlo fisso sin dai primordi umani.

Il suo contributo personale (ulteriore, rispetto ai visivi-visionari del passato), da tempo ha un avallo anche tecnologico, (“Utile, sì, ma non risolutore”, ammonisce accorto), attraverso il quale rileggere in chiave moderna un personaggio del XVI secolo realmente esistito, l’olandese Hendrik Goltzius, uno dei primi incisori più esuberanti del tardo Cinquecento, imbastendo un saggio visivo su voyeurismo, incesto, adulterio, pedofilia, prostituzione e necrofilia, i sei tabù sessuali rivisitati alla luce delle più controverse storie dell’Antico Testamento, con una ‘postilla-esondazione’ nei Vangeli.

Hendrik Goltzius, nel suo peregrinare in cerca di finanziatori per le proprie stampe, giunge presso il margravio d’Alsazia (un F. Murray Abraham divertente, debole e pruriginoso, falsamente liberale) con l’intento di farsi finanziare la pubblicazione di due suoi libri illustrati: uno sull’Antico Testamento, l’altro sulle Metamorfosi di Ovidio. Per ingraziarsi il margravio, si offre di allestire davanti a lui e all’intera corte, racconti erotici tratti dalle vicende più subdole del Vecchio Testamento, avvalendosi della sua compagnia teatrale, la PELICAN COMPANY.

1)   Voyeurismo = Adamo ed Eva;

2)   Incesto = Lot e le sue figlie;

3)    Adulterio = Davide e Betsabea;

4)   Pedofilia = moglie di Putifarre e Giuseppe;

5)   Prostituzione = Sansone e Dalila;

6)   Necrofilia = Salomè e Giovanni Battista.

Le messe in scena generano sorpresa, shock e polemiche a corte, specie tra la componente ecclesiastica – un cattolico romano, un calvinista e un rabbino ebreo – coinvolgendo-tentando sessualmente il margravio, la sua famiglia, la stessa corte e la Pelican Company, in un crescendo di immedesimazione-rifiuti culminante nel necessario sacrificio umano e reale a che la stampa vada in porto.

Dentro formati teatrali, bassorilievi umani e di materia mobili ed interagenti, capaci di dinamizzare il dentro e il fuori campo in un movimento che è filmico in un’accezione statico-dinamica lontana anche dalla pura videoarte e dal puro cinema, Goltzius and the Pelican Company è un novus che mescola le carte del linguaggio scritto, verbale e visivo, addensato-ricomposto dentro un risveglio percettivo (per uno sguardo contemporaneo ormai assuefatto, incapace di essere rinnovato, stimolato) che soltanto Greenaway ha la capacità di preparare e sviluppare. Per un occhio, il più delle volte, ‘ignorante’, che ignora. Le sovrabbondanze barocche scenografiche, di costumi, di accadimenti, contemporaneizzate in una location da archeologia industriale, tengono bene il ritmo, acutizzandosi in pori occlusivi (involontari, data la logorrea creativa del cineasa-pittore, ma che Greenaway deve imporsi di trattenere, per evitare una rottura dei margini) di cui avvertiamo il peso-lo stallo tra le giunture che legano il rappresentato alle reazioni-esplosioni della corte, di Goltzius e della sua compagnia attoriale. Il risveglio è pieno, denso, coinvolgente, eccitante. Anche nelle inevitabili riflessioni su come il sesso sia uno dei tabù più spaventosamente esorcizzati dalla religione: “Perché il Cristianesimo e il sesso non possono andare a letto insieme?” ci domanda, sorridendo, Greenaway…

In appendice. Presenza (insolita) attoriale italiana nel cast (Flavio Parenti, Giulio Berruti, Stefano Scherini, Pippo del Bono, Francesco De Vito). Greenaway futuro: lavoro su Sergei Eisenstein, e probabilmente alla Berlinale, un lungometraggio in 3D sugli eroi ed eroine portoghesi, rassicurando tutti (me compresa): il sesso, anche questa volta, non mancherà…

Maria Cera


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