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Goodbye Mr. Holland si svolge in un arco temporale di circa trent'anni, cioè fino all'età adulta di Cole Holland. Questi è figlio dei tardi anni Cinquanta e la sua maturazione equivale a uno dei capitoli più significativi della storia statunitense: si potrebbe dire, anzi, che molti degli episodi che hanno caratterizzato il secondo Novecento americano scorrano davanti agli occhi del ragazzo, che pure sembra non poterne sentire il messaggio. In questo senso, abbiamo qui un problema serio nella realizzazione del film. Senza eufemismi di sorta, direi che i tempi narrativi sono mal gestiti: la lunga carriera scolastica di Holland viene vista solo di scorcio, per episodi slegati tra loro e anche per un certo numero di luoghi comuni evitabilissimi con una regia più accorta e, senz'altro, con una sceneggiatura (opera di Patrick Sheane Duncan) meno prolissa e meno convenzionale. L'impressione d'insieme è quella di una carrellata, per paradosso, poco profonda e per nulla puntuale; ma anche quella di una dispersività di energie e di idee, che fa pensare a uno sfoltimento, o - quanto meno - a una seria messa a punto come necessaria soluzione rispetto a una discreta stanchezza che ingenera il film.
C'è di più: tra padre e figlio, sembra che il primo sia più sordo del secondo. Infatti, è Glenn a mostrare insofferenza rispetto a ciò che Cole ha da dirgli, è lui a non mettersi in ascolto, mentre il ragazzo dimostra una sensibilità comprensibile, ma insperata perfino nei confronti della musica. Gli errori dell'uno e l'amore dell'altro, attraverso la mediazione amorosa di Iris, si proiettano nella situazione lavorativa di Glenn, che vive la sua emotività sempre in modo alterato (diciamo sempre un tono sopra) e la comunica alla realtà circostante. Goodbye Mr. Holland è un film molto intenso, certo, ma incline in più di un caso perfino al patetico, tanto più che non c'è una vera ricercatezza visiva, non c'è una peculiare o memorabile ricerca dell'immagine, tutto sembra svolgersi come su un set. Di contro, la musica - quale medium di riferimento - vi appare come amplificatore di un sentimentalismo qua e là manierato (e bisognerebbe magari fare uno studio sugli effetti dell'allegretto dalla settima sinfonia di Beethoven. che abbiamo già apprezzato in più film, tra i quali Il discorso del re di Tom Hooper) Mi sembra che uno sguardo più distaccato - davvero più "in terza persona" - per lo meno avrebbe potuto tenere meglio le fila del racconto. Ma, va da sé, avrebbe anche reso soprattutto giustizia al valore della musica, di ogni musica, a quello dell'insegnamento e all'importanza insostituibile degli affetti veri e degli impegni morali e spirituali nella vita di una persona.
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