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Google Translate cambia pelle ma la strada è ancora lunga

Da Pinobruno

Nella maggior parte dei casi, le traduzioni automatiche di Google da una lingua all’altra lasciano il tempo che trovano. Maccheroniche, spesso prendono fischi per fiaschi. Se si tratta di inglese, francese e spagnolo, aiutano gli studi fatti, le reminiscenze scolastiche, la frequentazione di testi e siti stranieri. Quando si tratta di alfabeti diversi, però, Google Translate è manna caduta dal cielo. Perlomeno fa capire il senso di ciò che si legge. Dall’aiutino alla traduzione impeccabile c’è di mezzo il mare. Quanti anni ci vorranno, per avere macchine che restituiscano risultati che tengano conto delle peculiarità semantiche e idiomatiche? Oggi Google Translate ha cambiato pelle. Mutazione estetica con qualche contenuto in più. E’ un’occasione per conoscere il lavoro quotidiano di Google, sulla scia dei pionieri della linguistica informatica.

Google Translate cambia pelle ma la strada è ancora lunga

Il nuovo look di Google Translate

Come il gesuita Roberto Busa, che in un’intervista di due anni fa, già novantacinquenne, rispondeva che “Un cinese e un italiano grazie al computer potranno un giorno dialogare tra di loro senza conoscere l’uno la lingua dell’altro e neppure l’inglese. In pratica accadrà questo: il cinese invia un testo nella sua lingua al computer, il quale lo traduce e lo trasmette all’italiano; quest’ultimo scrive in italiano e il computer traduce in cinese. Prima che si arrivi a questi risultati gli esperti italiani e cinesi dovranno ovviamente elaborare i necessari programmi, risultato del matrimonio tra la fisica dell’informatica e la microanalisi delle lingue”.

Ecco dunque cosa sta facendo Google Translate, sul solco degli insegnamenti di precursori come padre Brusa. Lo racconta in questo video il linguista informatico Anton Andryeyev:

Un lavoro complesso e affascinante. Quando sarà concluso, finirà anche Babele.

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”.

Genesi (11, 1-9)

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