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Granarolo, nuove frontiere dello schiavismo

Creato il 30 giugno 2013 da Albertocapece

coopfacchinaggio“Oggi  siamo qui perché, assieme ai nostri compagni, mandati via per aver osato protestare quando hanno visto calpestati i propri diritti, vogliamo dire basta allo sfruttamento che tutti i lavoratori della logistica sono costretti a subire: lavoriamo dodici ore al giorno e siamo pagati una miseria. Per di più, quando cerchiamo di far valere i nostri diritti, ci cacciano come fossimo animali. Basta, non possiamo più accettarlo”.

Il presidio davanti alla centrale del latte di Bologna è ben deciso a non mollare e a non cedere di fronte alle forze dell’ordine in assetto anti sommossa, come avviene ormai quotidianamente in qualche parte d’Italia contrapponendo alla disperazione della gente il bavabeccarismo di velluto che si sta imponendo un po’ dappertutto. Ma questa non è una vertenza come le altre perché tocca al cuore il modello di non sviluppo intrapreso dal Paese negli ultimi 15 anni, le esternalizzazioni, la precarietà, i ricatti, la complicità dei sindacati e inaugura un nuovo altare per il pantheon dell’aziendalismo e del profitto.

La vicenda è semplice: i lavoratori protestano per impedire che la Sgs, cooperativa che cura la logistica della Granarolo, licenzi 41 facchini rei di aver scioperato contro una riduzione del 35% dei salari. Solo gli ingenui possono ormai sorprendersi del fatto che i sindacati non abbiano fatto resistenza contro questo provvedimento che suona come il nuovo confine dell’illegalità sociale: da quando chi sciopera può essere licenziato? Invece a quando pare si può: la Commissione di Garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici, organismo di cui eviterò definizioni per non impantanarmi nella descrizione di prodotti organici non odorosi, ha infatti decretato che “i prodotti Granarolo sono essenziali per la collettività, quindi lo sciopero nella logistica deve essere regolamentato e, di fatto, i licenziamenti sono giusti”.

Ora anche ammesso e non concesso che latte, yogurt e merendine industriali siano essenziali come prodotti in sé, non lo sono certo quelli di una singola azienda visto che possono essere sostituiti ottimamente dalla concorrenza. E’ assolutamente chiaro che non ci troviamo di fronte a un servizio pubblico, come quello dei trasporti, ad esempio,  che non può essere surrogato o supportato da altri soggetti in tempo reale. Siamo quindi di fronte ad una aberrazione giuridica e intellettuale attuata per licenziare senza far perdere del tutto la faccia ai sindacati e a quel mondo residuale della cooperazione rossa, con relativi partiti e correnti di riferimento ormai peggiori dei padroncini delle ferriere e che in parte è dietro la Granarolo.

Così dopo aver adorato per anni l’immacolata concezione della Concorrenza, madre del figlio di dio Capitale, il santissimo Profitto, scopriamo che essa quando conviene al massacro sociale non esiste: perché ovviamente ai piedi di nostra signora Concorrenza giacciono anche i rapporti di lavoro e la loro gestione. Rimane da capire perché un’azienda che svolge un servizio insostituibile per la collettività non debba però avere alcuna responsabilità sociale riguardo ai salari e all’occupazione.  Questo non possiamo chiederlo alla commissione di garanzia, ai sindacati e  nemmeno agli spezzoni politici che fanno il tifo per i licenziamenti: fa semplicemente parte dell’erratica teologia liberista che ha per suo fine lo smantellamento di qualsiasi diritto del lavoro in nome del profitto, per giungere allo schiavismo, però tanto democratico. E così quando occorre per raggiungere l’eden dei ricchi, un’azienda privata può essere decretata insostituibile, sebbene questa sia una contraddizione e una bestemmia. Ai credenti però non è dato sondare questi misteri: occorre solo avere fede e tanto pelo sullo stomaco.


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