Il nome di Luca Ronconi, morto ieri sera a 83 anni al Policlinico di Milano dove era ricoverato da alcuni giorni, è sinonimo di teatro. O meglio sinonimo di regia teatrale, l’arte composita che consiste nel creare spettacoli, istruire gli attori, offrire al pubblico il tesoro della drammaturgia di tutti i tempi. Solo di Giorgio Strehler e di Luigi Squarzina si può dire lo stesso, ma con una differenza: Ronconi oltre che un supremo interprete è stato un formidabile sperimentatore e basterebbe ricordare il torrente di invenzioni “dell’Orlando furioso” per convincersene.
(buongiornolatina.it)
La carriera artistica di Luca Ronconi. La vita di Ronconi – morto ieri sera al Policlinico di Milano, per complicazioni legate probabilmente al virus influenzale – può essere raccontata elencando i cento e più spettacoli, i tanti attori incontrati in palcoscenico, gli allievi che si sono abbeverati alle sue lezioni all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, dove lui stesso aveva studiato anni prima ed anche le schiere di appassionati della sua arte inventiva, che si fregiavano del titolo di “ronconiani”. Dapprima, e per pochi anni, Ronconi si pensava attore; infatti, nato in Tunisia nel 1933, si diploma al corso di recitazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma nel 1953. Esordisce subito dopo in “Tre quarti di luna” di Luigi Squarzina, diretto dallo stesso Squarzina e da Vittorio Gassman. In seguito recita con altri registi importanti, come Orazio Costa, Giorgio De Lullo e Michelangelo Antonioni.
La svolta del 1963, quando Ronconi inizia a lavorare come regista. A trenta anni, la sua carriera sembrava avviata verso un abile mestiere sostenuto da una buona tecnica e da una gradevole presenza scenica. Ma ecco che, quasi per caso – inizia a lavorare come regista nel 1963, con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volonté, e negli anni successivi si fa notare come esponente dell’avanguardia teatrale, fino ad arrivare alla fama nel 1969 con “l’Orlando furioso” di Ariosto, nella versione di Edoardo Sanguineti con scenografia di Uberto Bertacca. Nato come fatto sperimentale nella chiesa di San Nicolò al Festival di Spoleto, lo spettacolo gli regalerà fama nazionale e all’estero. Nel 1974 dirige una versione cinematografica dello stesso dramma, dove fra gli interpreti spiccano attori come Massimo Foschi e Mariangela Melato. La versione televisiva andò in onda per cinque puntate nel 1975 la domenica in prima serata: un episodio pressoché unico in cui il teatro (per giunta d’avanguardia) “invase” la televisione. Dagli anni Settanta in poi collabora con diverse istituzioni teatrali, tra cui la Biennale di Venezia, di cui è direttore della Sezione Teatro dal 1975 al 1977. Nel biennio successivo, (1977 – 1979), fonda e dirige il Laboratorio di progettazione teatrale di Prato. Sono gli anni di spettacoli memorabili, tra cui “Orestea” di Eschilo (1972), “Utopia” da Aristofane (1976), Baccanti di “Euripide” (1977), “La torre” di von Hofmannsthal (1978).
Gli anni ottanta. Tra gli spettacoli da segnalare negli anni Ottanta, “Ignorabimus” di Holz (1986), “Tre sorelle” di Cechov (1989). Al di là delle diverse scelte drammaturgiche, delle occasioni produttive, della ricerca di attori da formare e da lanciare, l’insieme di questi spettacoli si distingue anche per la ricerca o piuttosto l’invenzione di insoliti spazi teatrali: dai cavalli di lamiera che fendevano il pubblico dell’Orlando furioso, alla zattera che faceva da palcoscenico sul lago di Costanza, al labirinto costruito appositamente per “XX” a Parigi. In seguito dirige il Teatro Stabile di Torino (dal 1989 al 1994), dove realizza tra l’altro un imponente allestimento (oltre sessanta attori) de “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus, al Lingotto (1991).
Gli anni novanta e duemila. Nel 1994 dirige a Salisburgo ”I giganti della montagna” di Pirandello. Diventa poi direttore artistico del Teatro di Roma (dal 1994 al 1998), dove nel 1996 dirige ”Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda e l’anno successivo mette in scena uno dei pochi drammi inediti della sua carriera, il ”Davila Roa” di Alessandro Baricco, che viene addirittura fischiato dal pubblico e ”I fratelli Karamazov” di Dostoevskij 1998. Nel 1999 passa al Piccolo Teatro di Milano, dove affianca il direttore Sergio Escobar nel ruolo di direttore artistico. Qui debutta con due pièces: ”La vita è sogno” di Pedro Calderón de la Barca e “Il sogno” di August Strindberg. Al Piccolo, nel 2002 dirige un originale spettacolo, ”Infinities”, tratto da un testo scientifico del cosmologo John David Barrow. Ricco e carismatico anche il capitolo delle regie liriche, per il quale ha firmato gli allestimenti soprattutto di classici italiani (Monteverdi, Bellini, Rossini). Oltre a vari lavori per la Scala, Ronconi ha partecipato più volte al Rossini Opera Festival di Pesaro – Verdi e Puccini) e a messo in scena stranieri contemporanei (per esempio “Il caso Makropulos” di Janacek e “Turn of the Screw” di Britten). Nel 2006 realizza cinque spettacoli collegati tra di loro per i XX Giochi olimpici invernali di Torino. Del 2007 è il progetto “Odissea doppio ritorno”, poi ha firmato le regie di “La compagnia degli uomini”, “La modestia”, “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Pornografia”, “Danza macabra”, rappresentate al festival di Spoleto. Il suo ultimo spettacolo, “Lehman Trilogy”, è in scena al Piccolo fino a metà marzo.
Mercoledì aprirà la lunga notte lo “Speciale Luca Ronconi – Una storia lunga ottanta anni” alle 23 su Rai Storia, una bella intervista col maestro in cui si è creata una sorta di intimità tra intervistato e intervistatore, che restituisce allo spettatore momenti commoventi e soprattutto l’uomo e l’artista assieme e Franco Marcoaldi, che la conduce, spiega: “Ronconi è un monaco di quella particolare forma di religiosità che è il teatro, tanto che ha finito per far coincidere come nessun’altro vita personale con vita professionale”. Giovedì invece alla stessa ora a aprire la lunga maratona sarà “Appunti di lavoro – Ronconi alla prova” a cura di Ariella Beddini che ha seguito il regista al lavoro (“Quando sei con lui devi essere disposto a andare oltre i tuoi limiti”) e ha anche intervistato molti degli attori che hanno lavorato con lui. Tra questi un bell’intervento di Mariangela Melato, rilasciato non molto prima della sua scomparsa. (ANSA)