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Gravity

Creato il 31 marzo 2014 da Ilcinemacolcuore

Il mito della rinascita e la Fantascienza che vorremmo

L'abilità. Il fare scuola. La tekne, come direbbe Socrate.
Il film di Alfonso Cùaron vive di tecnica e, per una volta meritatamente, questo fatto viene riconosciuto anche dall'Academy che gli fa vincere praticamente tutti i premi nelle categorie tecniche.
Regia. Fotografia. Montaggio. Effetti speciali. Sonoro. Montaggio Sonoro. Colonna Sonora.
Sul premio alla Miglior Regia ho un piccolo appunta da fare, ma lo spiego meglio al fondo di questo articolo.
Però questo "Gravity", a mio parere, meritava una vittoria anche nella categoria principale, quella di Miglior Film. Non perchè sia superiore a pellicole come "12 Anni Schiavo" o "The Wolf of Wall Street", anzi. Forse il second , a conti fatti è anche meglio; non tanto nella realizzazione o nel fascino che i due film hanno durante la visione (completamente diverso, sia ben chiaro, ma ugualmente efficace), ma nelle finalità della produzione: un film con George Clooney e Sandra Bullock non può non avere anche una fortissima spinta verso il lucro. Certo, anche DiCaprio è mainstream, ma la sua scelta ha un senso (se non altro come fantoccio dell'artista Scorsese); scegliere la Bullock, invece, non ha mai senso, tranne quello di voler attirare il suo pubblico.
Quello che però eleva il film è il ritorno a un certo tipo di fantascienza che da anni ormai sembra essere stata abbandonata.
Quella che stupisce, affascina, e cambia le persone. Perchè per fare la guerra basta e avanza la Terra.

Capiamo ciò che abbiamo solo quando lo perdiamo


La dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) è una donna che non ha più niente. Non ha più marito. Non ha più parenti, nè amici. E soprattutto, non ha più la figlia.
Probabilmente accetta di andare in missione per conto della NASA con leggerezza, proprio perchè la domanda che tutti, credo, si pongono quando devono decidere se partire per lo Spazio è: "Cosa c'è Questa domanda la protagonista non se la deve neanche porgere. Non ha niente. Tanto vale fare esperienze.
matt kovalskySi vede da subito però che Ryan non è tipo da Spazio. Dopo sette giorni in orbita ancora sente nausea e mal di testa, e di certo non è reattiva alle difficoltà.
Fortunatamente c'è il personaggio interpretato da Clooney, Matt Kovalsky, astronauta navigato che invece sì, è uno che nello Spazio ci ha vissuto per volontà e natura.
Kovalsky diventa lo psicanalista della protagonista, da quando rimangono soli nell'orbita terrestre, ed è grazie a lui che scopriamo la vera identità di Ryan.
Ma è grazie allo Spazio che Ryan riscopre sè stessa. 
Lo Spazio che è asteroide in collisione, stazioni inutilizzabili, tute perforate. Lo Spazio non è territorio accogliente, anche se affascinante, e questo stesso fascino non è mai rivolto verso l'infinito, ma sempre verso la Terra.
"Dio, Dovresti vedere il Sole su Gange", dice Clooney, via radio, alla Bullock spaurita.
E quindi, proprio come succedeva nella fantastica prima notte di "2001 Nights" di Yokinobu Hoshino, guardando la Terra nella sua estrema bellezza ( la bellezza della sua totalità ) e avendo paura di non poterla più raggiungere, Ryan capisce che nonostante tutto ha ancora un motivo per vivere.
ryan stoneLa protagonista a metà del film, rinasce. Nella stazione Russa, in un momento di tregua, si libera del peso della tuta e si racchiude a uovo, proprio come un feto (un concetto già visto, vedi, per esempio, il famosissimo 2001: Odissea nello Spazio" di Kubrickiana memoria), da cui nell'inquadratura seguente sarà nata una nuova persona, una persona che lotta per la sua vita.
Comincia quindi il disperato ritorno verso casa, verso la gravità del titolo, che poi è quello che più differenzia il nostro pianeta dall'infinito vuoto universale.

Un tòpos che sembrava abbandonato, e che ci piace rivedere


Quella del paragrafo precedente era la bella metafora del film di Cùaron, più che apprezzabile e affascinante. Ma i meriti di questo film trascendono il significato metaforico. Si arriva a qualcosa di più pragmatico, ma che in questo caso è un fattore nobilitante che non può passare inosservato.
Prima di tutto la tecnica del film, perfetto in tutti in suoi comparti. Suono, immagini, regia (i piani sequenza di 24 minuti rimarranno epocali), il 3D. Tutto questo non è fine a se stesso: immagini poetiche e imponenti portano lo spettatore a rimanere a bocca aperta davanti allo schermo, a rimanere affascinato dai colori e dal pianeta su cui sta poggiando i piedi.
Dal silenzio.
Tutto questo dona al film un tono aulico, tono che questo, e tutti gli altri film di fantascienza, dovrebbero avere.
E questo è il secondo, fondamentale punto.
Immaginatevi nello Spazio. Immaginate qualsiasi uomo nello Spazio (non un uomo che pensa allo Spazio, un uomo che ci arriva). Cosa farebbe? Cosa potrebbe mai fare?
Rimanere affascinato, prima. E poi, pensare.
Pensare e basta.
Non farebbe la guerra. Non conquisterebbe pianeti. Penserebbe, e penserebbe a tematiche alte, sublimi, auliche appunto.
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?, direbbe Picasso.
gravity alfonso cùaron
Questa è la fantascienza che vorremmo. Quella filosofica pura, in stile "2001: Odissea nello Spazio", "Solaris", o il più recente "Moon", oppure quella d'azione che però riconduce a temi più alti del semplice sparo di pistola laser"Blade Runner", "Sunshine" e, appunto, questo "Gravity". Il film di fantascienza ritorna ad affascinare e a far pensare, cosa che ultimamente succede di rado.
Questo è il motivo per cui "Gravity" più di "12 Anni Schiavo" meritava la statuetta regina.
by E. N.
ritrovato, perso e ora a metà

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