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Guardian Labs: cosa succede se il giornalismo aperto sposa la comunicazione corporate?

Creato il 19 marzo 2014 da Pedroelrey

Il Guar­dian è il gior­nale delle scelte corag­giose. Almeno lo è per i molti che, guar­dando a que­sto periodo di tran­si­zione del gior­na­li­smo, vedono nel quo­ti­diano e nelle sue poli­ti­che sul web aperto il sim­bolo di chi sta inno­vando senza troppi ten­ten­na­menti e con coe­renza sulle scelte fatte. È il digi­tal first che fa volare le reve­nue da digi­tale in pochi anni a oltre 80 milioni di euro, è il no deciso a qual­siasi tipo di pay­wall è la tra­spa­renza e l’interazione con il let­tore assunta ad asse por­tante delle pro­prie poli­ti­che editoriali.

Del “modello Guar­dian” si parla giu­sta­mente molto ormai da anni, soprat­tutto della sua reale soste­ni­bi­lità (nono­stante la signi­fi­ca­tiva cre­scita degli utili da digi­tale il bilan­cio com­ples­sivo del gruppo è ancora in rosso). Su que­sto tema tra le cose pub­bli­cate più di recente con­si­glio di leg­gere The new­so­no­mics of The Guardian’s new “Known” stra­tegy e The Guardian’s digi­tal boom. A que­sto pro­po­sito è inte­res­sante far notare come a ini­zio feb­braio Guar­dian News and Media abbia annun­ciato il varo defi­ni­tivo di Guar­dian Labs il dipar­ti­mento appo­si­ta­mente creato per curare la comu­ni­ca­zione cor­po­rate dei clienti e allac­ciare nuove e inno­va­tive part­ner­ship con grandi “brand”.

Comu­ni­ca­zione cor­po­rate che sarà carat­te­riz­zata, dicono i respon­sa­bili del nuovo pro­getto, da ele­menti che sono il tratto distin­tivo del lavoro del Guar­dian in que­sti anni: forte enga­ge­ment con i let­tori, con­te­nuti cross-mediali, stra­te­gie digi­tal first. Primo cliente annun­ciato: la mul­ti­na­zio­nale Uni­le­ver, con la quale saranno rea­liz­zata una cam­pa­gna di con­tent mar­ke­ting attorno ad un’unica tema­tica: la sostenibilità.

Una stra­te­gia che ha lasciato per­plessi alcuni osser­va­tori. C’è infatti, chi di fronte alla noti­zia ha avuto subito dei mal di pan­cia ad esem­pio il blog­ger Andrew Sul­li­van che sul suo The Dish è andato già duro ed ha così com­men­tato il comu­ni­cato uffi­ciale (che pre­sen­tava l’iniziativa sot­to­li­nean­done l’elemento inno­va­tivo e la coe­renza con tutto il pro­getto sull’open web): «Que­ste si chia­mano pub­bli­che rela­zioni, ragazzi. Non c’è nulla di nuovo o inno­va­tivo. Quello che c’è di nuovo è il deli­be­rato ten­ta­tivo di fon­dere que­sto set­tore con il gior­na­li­smo stesso al fine di masche­rarne la dif­fe­renza dalle stronzate».

Gior­na­li­smo o pub­bli­che relazioni?

Dun­que una sorta di tra­di­mento dop­pio per chi vede nei con­te­nuti spon­so­riz­zati il male asso­luto e niente altro che una ripro­po­si­zione aggior­nata (e magari ancora più scal­tra e fur­betta) dei vec­chi reda­zio­nali. Il tutto, per di più, rea­liz­zato da uno dei ves­sil­li­feri dell’”open jour­na­lism”! Di native adver­ti­sing e in gene­rale delle nuove forme di col­la­bo­ra­zione tra testate e aziende si sta par­lando molto e, giu­sta­mente, se ne par­lerà ancora per­ché que­ste col­la­bo­ra­zioni – non c’è biso­gno di essere grandi esperti per capirlo – saranno sem­pre più impor­tanti nelle stra­te­gie dei gruppi edi­to­riali alla dispe­rata ricerca di solu­zioni alter­na­tive alla ven­dita di pub­bli­cità tabel­lare. E infatti l’obiettivo dichia­rato di Guar­dian Labs è pro­prio quello di «lavo­rare con le aziende per creare cam­pa­gne di mar­ke­ting che vadano oltre l’acquisto di spazi pub­bli­ci­tari online o sul gior­nale». Chiaro no?

Ma l’accordo stretto Guar­dian con uno dei colossi dell’industria ali­men­tare (e non solo) è da seguire con atten­zione e sin­ce­ra­mente non lo liqui­de­rei sem­pli­ce­mente con qual­che bat­tuta sar­ca­stica, comun­que la si pensi. Primo per­ché stiamo par­lando di un accordo eco­no­mi­ca­mente rile­vante (nelle inter­vi­ste la diret­trice di Guar­dian Labs Anna Wat­kins molto abbot­to­nata sull’esatta entità eco­no­mica ha par­lato di un con­tratto a sette cifre, un inve­sti­mento supe­riore al milione di ster­line quindi). Secondo per­ché il signi­fi­ca­tivo dispie­ga­mento di forze impe­gnato in “GLabs”, 133 pro­fes­sio­ni­sti tra desi­gner, pro­dut­tori video, edi­tor ed esperti di stra­te­gie fa pre­sa­gire che sarà uno stru­menti più impor­tanti per aumen­tare gli utili del gruppo e ren­dere quindi più soste­ni­bile un modello di gior­na­li­smo che potrebbe, anche per quanto riguarda que­ste par­ti­co­lari scelte edi­to­riali, fare scuola nell’immediato futuro. Che ci piac­cia o meno.

Una scelta obbligata?

Una stra­te­gia a ben pen­sarci neces­sa­ria in par­ti­co­lare per un gior­nale come il Guar­dian che ha rinun­ciato, pro­prio in nome delle sue poli­ti­che open web, alle reve­nue pro­ve­nienti diret­ta­mente dai let­tori tra­mite pay­wall (full-access, mete­red o reverse che siano) e con­te­nuti pre­mium. A que­sto pro­po­sito ha valore ricor­dare che il New York Times sta aumen­tando sem­pre più il “peso” eco­no­mico dei let­tori: 150 milioni di dol­lari ogni anno che si pre­vede nel 2015 rag­giun­ge­ranno i 200 milioni (e la per­cen­tuale sul fat­tu­rato del “Times” è già oggi pari al 56% supe­riore quindi alla quota parte deri­vante dai grandi investitori).

Il Guar­dian dal canto suo sta aumen­tando le pro­prie entrate da digi­tale al ritmo del 25% ogni anno, se con­ti­nuasse così dice l’analista Ryan Chit­tum nel 2015 potrebbe addi­rit­tura effet­tuare in que­sto campo uno sto­rico sor­passo ai danni dello stesso New York Times. Far cre­scere le entrate dalle atti­vità sul digi­tale del 25% ogni anno però è molto com­pli­cato anche se ti chiami Guardian.

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la cre­scita (in per­cen­tuale) delle reve­nue da digi­tale a con­fronto tra New York Times e Guar­dian (via Colum­bia Jour­na­lism Review)

Le stra­te­gie edi­to­riali “digi­tal first” con i decisi tagli alle edi­zioni su carta alleg­ge­ri­scono i bilanci di molti costi, ma dall’altra pos­sono limi­tare l’arrivo di grandi inve­sti­tori “dif­fi­cil­mente il Guar­dian in que­ste con­di­zioni tro­verà chi sarà dispo­sto a inve­stire cifre supe­riori al milione di ster­line” hanno sen­ten­ziato alcuni ana­li­sti, e altri sosten­gono con deci­sione che il Guar­dian in un modo o nell’altro “dovrà inven­tarsi qual­cosa per fare ricavi diret­ta­mente dai pro­pri let­tori”. Ma pro­porre nuovi (e remu­ne­ra­tive) col­la­bo­ra­zioni a lungo ter­mine alle aziende potrebbe essere una buona solu­zione alter­na­tiva. Insomma se non “mone­tizzi” diret­ta­mente dai let­tori devi farlo sem­pre più con i grandi investitori.

Ai piani alti di Guar­dian Media certo non deve essere sfug­gito che la divi­sione che si occupa delle “brand spon­sor­ship” in que­sti anni sia stata quella con la cre­scita mag­giore in ter­mini di reve­nue gene­rate: 10 milioni di ster­line nel 2013 e 15 milioni nel 2014 (fonte: Guar­dian Labs looks beyond ads to enga­ging con­tent). La scelta quindi è stata quella di fare un ulte­riore passo avanti in que­sta dire­zione rior­ga­niz­zando le unità che se ne occu­pa­vano creando una vera e pro­pria agen­zia interna dedi­cata al brand jour­na­lism per rispon­dere a nuove esi­genze delle aziende.

Tra­spa­renza, fidu­cia e sostenibilità

Un tra­di­mento dei loro prin­cipi? Può anche essere (ma que­sto potremmo giu­di­carlo dalla effet­tiva qua­lità con la quale saranno rea­liz­zati que­sti nuovi pro­getti e sulla reale indi­pen­denza della reda­zione gior­na­li­stica), dif­fi­cile però vedere molte altre alter­na­tive per ten­tare di man­te­nere que­sti ritmi di cre­scita nel digi­tale e ren­dere quindi più soste­ni­bile tutto il pro­getto editoriale.

Un altro aspetto che ha valore sot­to­li­neare è che l’accordo pre­vede in par­ti­co­lare l’uso di con­te­nuti mul­ti­me­diali ad alto con­te­nuto inno­va­tivo. Il Guar­dian da alcuni anni è il punto di rife­ri­mento per molti nuovi gior­na­li­smi – dal data journ­laism (il suo Data­Blog ne è uno degli esempi più ammi­rati) al repor­tage mul­ti­me­diale (con lavori come NSA:File Deco­ded già diven­tato una pie­tra miliare). Una delle domande che cir­co­lano su que­sta ope­ra­zione è se anche que­sti tipo di for­mati (che tra l’altro hanno il pre­gio di avere tempi di per­ma­nenza e livelli di enga­ge­ment molto alti) saranno uti­liz­zati per creare con­te­nuti “branded”.

Se così fosse l’aver pun­tato su for­mati nar­ra­tivi inno­va­tivi sulle pro­prie testate potrebbe rive­larsi non certo un mero eser­ci­zio di stile (come paven­tato da qual­cuno) ma una scelta lun­gi­mi­rante anche in que­sta dire­zione per dare valore aggiunto alle aziende che cer­cano di diver­si­fi­care i pro­pri contenuti.

Credo che su que­sti temi fare le ver­gi­nelle pour cause non serva a molto, ma nem­meno pen­sare che in nome del prag­ma­ti­smo i gior­nali pos­sano essere terra di con­qui­sta da parte di chiun­que. Vale pro­ba­bil­mente su tutto una frase di Wein­ber­ger (uno degli autori del Clue­train mani­fe­sto) “la tra­spa­renza è la nuova obiet­ti­vità”: su que­sti prin­cipi si gio­cherà molto del rap­porto di fidu­cia tra let­tori e gior­nali e la loro con­se­guente brand aware­ness (sulla quale il Guar­dian sta costruen­dosi un pub­blico a livello glo­bale). Soprat­tutto da que­sto dipen­derà la reale soste­ni­bi­lità dei gior­nali. Com­preso quelli che stanno facendo le scelte più coraggiose.

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