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Guerra valutaria: quali sono i veri bersagli dell’embargo petrolifero UE contro l’Iran?

Creato il 13 febbraio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Guerra valutaria: quali sono i veri bersagli dell’embargo petrolifero UE contro l’Iran?

Qual è il vero scopo del cosiddetto “embargo petrolifero all’Iran” imposto dall’Unione Europea? Questa è un’importante domanda geo-strategica. Oltre a rigettare le nuove misure proposte dalla U.E. contro l’Iran come controproducenti, Tehran ha avvisato gli Stati membri dell’Unione Europea che l’embargo petrolifero danneggerà le loro economie più di quella iraniana. Tehran ha detto ai dirigenti dei paesi europei che le nuove sanzioni sono insensate e contrarie ai loro interessi nazionali e di blocco; ma è davvero così? In ultima istanza, chi beneficierà dalla catena di eventi che sono stati messi in moto?

Gli embarghi petroliferi contro l’Iran sono una novità?

La pratica dell’embargo petrolifero contro l’Iran non è una novità. Nel 1951, l’amministrazione iraniana del Primo Ministro Mohammed Mossadegh, con il supporto del Parlamento, nazionalizzò l’industria petrolifera. A seguito del programma di nazionalizzazione del Dr. Mossadegh i Britannici bloccarono militarmente le acque territoriali ed i porti nazionali dell’Iran con la Royal Navy, e impedirono all’Iran di esportare petrolio. Impedirono militarmente anche il commercio iraniano. Londra inoltre congelò i beni iraniani ed iniziò una campagna per isolare il paese attraverso delle sanzioni. Il governo del Dr. Mossadegh era democratico e non poteva essere facilmente denigrato in patria, così i Britannici cominciarono a descrivere il Primo Ministro come una pedina dell’Unione Sovietica che, assieme ai suoi alleati politici marxisti, avrebbe trasformato l’Iran in un paese comunista.

L’illegale embargo navale britannico fu seguito da un cambio di regime a Teheran, grazie ad un colpo di stato organizzato dagli anglo-americani nel 1953. Il colpo del 1953 trasformò lo Shah da figura costituzionale a monarca assoluto e dittatore, come i sovrani di Giordania, Arabia Saudita, Bahrayn e Qatar. L’Iran, dal giorno alla notte, da monarchia costituzionale fu trasformato in una dittatura.

Oggi, un embargo imposto militarmente contro l’Iran non è più possibile. Perciò Londra e Washington usano il linguaggio della correttezza e si nascondono dietro falsi pretesti circa armi nucleari iraniane. Come negli anni ’50, l’embargo petrolifero contro l’Iran è legato al cambio di regime. Eppure, ci sono obiettivi che vanno i confini dell’Iran.

L’Unione Europea e la vendita del petrolio iraniano

Il maggiore acquirente di petrolio iraniano è la Repubblica Popolare Cinese. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), con sede a Parigi, creata dopo l’embargo petrolifero arabo del 1973 come ala strategica dell’Organizzazione della Cooperazione e dello Sviluppo Economico (OCSE) del blocco occidentale, l’Iran esporta 543.000 barili di petrolio al giorno verso la Cina. Gli altri maggiori acquirenti sono l’India, la Turchia, il Giappone e la Corea del Sud. L’India importa 341.000 barili al giorno dall’Iran, la Turchia 370.000, il Giappone 251.000, e la Corea del sud 239.000.

Secondo il Ministero iraniano del Petrolio, l’Unione Europea conto solo per il 18% dell’esportazione petrolifera iraniana, ossia meno d’un quinto delle vendite totali. Solo presa nel suo insieme l’Unione Europea risulta il secondo maggior cliente dell’Iran. Tutte insieme, le nazioni europee importano 510.000 barili al giorno dall’Iran. Il dato collettivo dell’importazione di petrolio da parte dei paesi UE è stato messo in risalto da chi vuole enfatizzare l’efficacia dell’embargo europeo contro l’Iran.

L’Iran può rimpiazzare le vendite di petrolio all’Unione Europea con nuovi compratori o incrementando le vendite a quelli già esistenti, come Cina ed India. Un accordo iraniano con la Cina per incrementare le riserve strategiche cinesi riempirebbe una grossa parte del vuoto lasciato dall’Unione Europea. Quindi, l’embargo petrolifero contro l’Iran avrà effetti diretti minimi sul paese. E’ piuttosto molto probabile che qualsiasi effetto di cui risente l’economia iraniana sarà legato alle ramificazione globali dell’embargo petrolifero.

L’Iran e la valuta di guerra globale

Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), alla fine del 2011 il dollaro statunitense e l’euro costituiscono assieme l’84.4% delle riserve di valuta mondiali. Il dollaro americano, che da solo rappresenta il 61.7% del totale, è il nerbo delle riserve mondiali. La vendita d’energia è una parte importante dell’equazione, perché il dollaro americano è legato al petrolio. Di conseguenza il commercio di petrolio tramite il cosiddetto petrodollaro sta aiutando a sostenere la posizione internazionale del dollaro americano. Paesi di tutto il mondo sono stati praticamente costretti ad usare il dollaro americano per sostentare le loro necessità energetiche e commerciali ed effettuare le loro transazioni.

Per evidenziare l’importanza del commercio internazionale di petrolio per gli U.S.A., si può ricordare che tutti i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) – Arabia Saudita, Bahrayn, Qatar, Kuwait, Oman e Emirati Arabi Uniti – hanno agganciato le loro valute nazionali al dollaro americano e sostengono il petrodollaro commerciando il petrolio in dollari americani. Inoltre, anche le valute di Libano, Giordania, Eritrea, Gibuti, Belize e di molte isole tropicali nel Mare dei Caraibi sono agganciate al dollaro americano. Oltre ai territori oltreoceano degli Stati Uniti, anche El Salvador, Ecuador e Panama usano ufficialmente i dollari americani come loro moneta nazionale.

L’euro d’altra parte è allo stesso tempo un rivale del dollaro americano e una valuta alleata. Le due valute lavorano spesso assieme contro le altre, e sembrano essere controllate da centri di potere finanziario che si compenetrano sempre più. Oltre ai 17 membri dell’Unione Europea, anche il Principato di Monaco, San Marino e lo Stato Vaticano hanno diritti d’emissione, e sia il Montenegro sia la provincia serba a maggioranza albanese del Kosovo usano l’euro come valuta nazionale. Al di fuori dell’eurozona sono agganciate all’euro le valute di Bosnia, Bulgaria, Danimarca, Lituania e Lettonia in Europa; di Capo Verde, Comore, Marocco e Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe, e delle due zone CFA in Africa; e le valute di molte altre dipendenze oltremare dell’Europa occidentale, come la Groenlandia.

Molte zone monetarie sono direttamente legate all’euro. In Oceania, il franco del Comptoirs Français du Pacifique (CFP), chiamato semplicemente il franco pacifico (franc pacifique), usato nelle dipendenze francesi di Polinesia, Nuova Caledonia e Territorio delle Isole Wallis e Futuna, è agganciato all’euro. Come già

I paesi delle due CFA
detto in precedenza, anche le due zone CFA in Africa sono agganciate all’euro. Quindi, sia il franco della Comunità Finanziaria dell’Africa (Communauté financière d’Afrique, CFA), o franco della CFA dell’Africa Occidentale – usato da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo – sia il franco della Cooperazione Finanziaria in Africa Centrale (Coopération financière en Afrique central, CFA) o franco della CFR centroafricana – usato da Cameroon, Repubblica Centroafricana, Ciad, Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville), Guinea Equatoriale, e Gabon – hanno legato il loro destino al valore monetario dell’euro.

L’Iran non sta cercando un confronto militare con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Nonostante il modo deformato in cui è stata presentata la storia, Teheran ha detto che la chiusura dello stretto di Hormuz sarebbe solo un’ultima risorsa. Gli Iraniani hanno anche detto che, come è loro diritto legale, non lasceranno che navi statunitensi o ostili passino per le loro acque territoriali, e che le navi ostili possono navigare attraverso le acque territoriali

Stretto di Hormuz: profondità delle acque
dell’Oman nello stretto di Hormuz. Come nota a margine, tra l’altro, il problema per gli U.S.A. e gli altri avversari dell’Iran è che le acque della parte omanita dello stretto di Hormuz sono troppo basse.

Invece del confronto militare, Tehran sta controbattendo economicamente in vari modi. Il primo passo, che è iniziato prima del 2012, è stata la diversificazione valutaria per le transazioni commerciali e di vendita del petrolio. Ciò fa parte di una mossa calcolata dall’Iran per smettere di usare il dollaro americano, proprio come aveva fatto Saddam Hussein nel 2000 per combattere le sanzioni imposte all’Iraq. In questo contesto, l’Iran ha creato una Borsa internazionale dell’energia, che compete col New York Mercantile Exchange (NYMEX) e il International Petroleum Exchange di Londra (IPE), che usano entrambi il dollaro americano per le transazioni. Questo mercato energetico, chiamato Borsa del Petrolio di Kish, é stato ufficialmente aperto nell’agosto 2011 sull’isola omonima nel Golfo Persico. Le sua prime transazioni furono effettuate usando l’euro e il dirhem degli Emirati.

Nel contesto delle rivalità tra euro e dollaro americano, gli Iraniani volevano originariamente passare all’euro ad un sistema di petro-euro, sperando che la competizione tra le due valute rendesse l’Unione Europea un alleato dell’Iran e la slegasse dagli Stati Uniti. Quando si sono innalzate le tensioni politiche con la UE, il petro-euro è diventato sempre meno attraente per Tehran. L’Iran ha compreso che l’Unione Europea è sottomessa agli interessi degli U.S.A., a causa della corruzione dei suoi dirigenti. Quindi, in misura minore, l’Iran ha tentato di allontanarsi anche dall’euro.

Inoltre, l’Iran ha allargato a politica delle relazioni commerciali bilaterali quella di smettere di usare il dollaro americano e l’euro. L’Iran e l’India stanno discutendo la possibilità di pagamenti in oro per il petrolio iraniano. Gli scambi tra iraniani e russi sono condotti in rial iraniani e rubli russi, mentre gli scambi iraniani con la Cina e altri paesi asiatici sono condotti usando il renminbi cinese, il rial iraniano, lo yen giapponese e altre valute diverse da dollaro e euro.

Sebbene l’euro avrebbe potuto essere uno dei grande vincitori in un sistema di petro-euro, le azioni dell’Unione Europea hanno lavorato per scongiurare quest’eventualità. L’embargo petrolifero europeo contro l’Iran è stata solo la botta finale. Globalmente emerge la matrice del commercio e delle transazioni eurasiatiche e internazionali al di fuori dell’ombrello del dollaro americano e dell’euro, che sta indebolendo entrambe le valute. Il Parlamento iraniano sta approvando una legge per tagliare le esportazioni di petrolio verso i membri dell’Unione Europea che prenderanno parte alle sanzioni finché queste ultime non saranno sospese. La mossa iraniana sarà un duro colpo per l’euro, specialmente perché l’Unione Europea non avrà tempo di prepararsi per i tagli energetici dell’Iran.

Vi sono diverse possibilità che potrebbero emergere. Una di esse è che ciò possa rientrare nei desideri di Washington, che lo userà contro l’Unione Europea. Un’altra è che gli USA e specifici membri dell’Unione Europea stiano lavorando assieme contro rivali economici strategici ed altri mercati.

Cui prodest? Il bersaglio economico non è l’Iran…

La fine delle esportazioni petrolifere iraniane verso l’Unione Europea ed il declino dell’euro beneficieranno direttamente gli Stati Uniti ed il dollaro. Ciò che sta facendo l’Unione Europea è solo indebolirsi e avvantaggiare il dollaro contro l’euro. Inoltre, se l’euro crollasse, il dollaro americano riempirebbe velocemente il vuoto creatosi. Malgrado la Russia beneficierà dagli aumenti del prezzo del petrolio e dalla leva accresciuta sulla sicurezza energetica della U.E. come fornitore, il Cremlino ha avvertito l’Unione Europea che sta lavorando contro i propri interessi e subordinandosi a Washington.

Si devono porre molte domande importanti sulle conseguenze economiche della crescita dei prezzi del petrolio. L’Unione Europea sarà in grado di resistere alla tempesta economica o ad un crollo monetario? La conseguenza dell’embargo UE contro l’Iran sarà di destabilizzare l’euro e, a valanga, colpire nel mondo danneggiando le economie extra-europee. In questo senso Tehran ha denunciato l’intenzione statunitense di danneggiare le economie rivali attraverso l’adozione delle sanzioni petrolifere europee contro l’Iran. Ponendosi in questa linea di pensiero, si capirebbe la ragione per cui gli U.S.A. stiano cercando di costringere Cina, India, Corea del Sud e Giappone, a ridurre o tagliare le loro importazioni di petrolio iraniano.

All’interno dell’Unione Europea, saranno i membri con le economie più fragili ed in affanno, come Grecia e Spagna, ad essere maggiormente colpite dall’embargo verso l’Iran. Le raffinerie dei paesi dell’Unione Europea che importano petrolio iraniano dovranno trovare nuovi venditori, e saranno comunque costrette a ridimensionare le loro operazioni. Piero De Simone, uno dei dirigenti dell’Unione Petrolifera Italiana, ha avvertito che approssimativamente 70 raffinerie petrolifere nella U.E. potrebbero chiudere, e che i paesi asiatici potrebbero iniziare a vendere petrolio iraniano raffinato all’Unione Europea, a danno delle raffinarie e industrie petrolifere locali. Nonostante le dichiarazioni politiche che sostengono l’embargo contro l’Iran, nemmeno l’Arabia Saudita sarà in grado di riempire il vuoto delle esportazioni petrolifere iraniane verso l’Unione Europea o verso altri mercati. Una carenza nelle forniture di petrolio e i cambi di produzione potrebbero avere un effetto a catena nell’Unione Europea e sul costo della produzione industriale, dei trasporti, e dei prezzi di mercato. La previsione è che la U.E. sia effettivamente approfondendo la crisi dell’eurozona.

Inoltre, l’aumento dei prezzi nei beni di prima necessità, dal cibo ai trasporti, non sarà limitato all’Unione Europea, ma avrà ramificazioni globali. Con l’aumento dei prezzi su scala globale, le economie di America Latina, Caraibi, Africa, Medio Oriente, Asia e paesi del Pacifico subiranno un ulteriore colpo, che il settore finanziario degli U.S.A. e di molti dei loro partner – inclusi membri dell’Unione Europea – potrebbe capitalizzare, acquisendo alcuni settori e mercati. Il FMI e la Banca Mondiale, procuratori brettonwoodsiani di Wall Street, potrebbero buttarsi nella mischia ed imporre più programmi di privatizzazione a beneficio dei settori finanziari degli U.SA. e dei loro maggiori partner. Inoltre, il modo in cui l’Iran deciderà di vendere il 18% del petrolio che smetterà di vendere ai membri della U.E. sarà un altro fattore di mediazione.

Lo spettro dell’embargo petrolifero arabo del 1973: la Libia e l’Agenzia Internazionale per l’Energia

Mentre alcuni paesi dell’Africa o del Pacifico non hanno riserve strategiche di petrolio e saranno alla mercé dell’aumento globale dei prezzi, gli U.S.A. e la U.E. hanno lavorato per proteggersi strategicamente da questo scenario. Ecco dove entra in gioco l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) di Parigi. Le riserve di petrolio libico sono un altro fattore che influisce sulle ostilità e la petropolitica che coinvolge l’Iran.

Simbolo della International Energy Agency
La IEA fu creata dopo l’embargo petrolifero arabo del 1973. Come già detto è una “ala strategica dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) del Blocco Occidentale”. L’OCSE è un club di paesi che include U.S.A., Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Italia, Belgio, Danimarca, Giappone, Canada, Corea del Sud, Turchia, Australia, Israele e Nuova Zelanda. Si basa essenzialmente sul profilo del Blocco Occidentale, che comprende alleati e satelliti dell’America. A parte Israele, Cile, Estonia, Islanda, Slovenia e Messico, tutti i membri dell’OCSE lo sono anche della IEA.

Dalla sua creazione nel 1974, una delle responsabilità della IEA è stata quella di stoccare riserve strategiche di petrolio per i paesi dell’OCSE. Durante la guerra della NATO contro la Libia, la IEA ha usato le sue riserve strategiche di petrolio per compensare il vuoto lasciato dalle mancate esportazioni libiche. Le uniche altre due volte in cui era successo sono state il 1991, quando Washington ha condotto una coalizione militare nella prima guerra contro l’Iraq, e nel 2005, quando l’uragano Katrina ha devastato gli Stati Uniti.

La guerra in Libia aveva molti scopi:

    1) prevenire l’unità africana;
    2) spingere la Cina fuori dall’Africa;
    3) controllare strategicamente importanti riserve energetiche;
    4) controllare gli approvvigionamenti di petrolio in caso di conflitto contro la Siria e l’Iran.

Ciò cui è servita la guerra della NATO in Libia è stato assicurarsi la produzione petrolifera del paese, perché era possibile che la Jamahiriya Araba Libica, sotto il Colonnello Muammar Qaddafi, avrebbe sospeso la vendita di petrolio all’Unione Europea per sostenere la Siria o l’Iran qualora fossero stati in conflitto con gli U.S.A., la NATO o Israele. E’ interessante notare che una delle figure libiche che hanno aiutato a rendere possibile la guerra contro la Libia dall’interno delle Nazioni Unite è stato Sliman Bouchuiguir, il capo della Lega Libica per i Diritti Umani (LLHR) e attuale ambasciatore libico in Svizzera, il quale ha lavorato all’elaborazione d’una strategia che impedisse l’uso del petroliocome arma strategica, per evitare a USA ed alleati che la crisi petrolifera del 1973 si possa ripetere.

Oltre all’Iran, anche la Siria è stata una fonte di petrolio per l’Unione Europea. Come per l’Iran, la UE ha bloccato anche il petrolio siriano attraverso un regime sanzionatorio escogitato dal governo statunitense. Con il petrolio siriano ed iraniano tagliato fuori dall’UE, il valore strategico del petrolio libico sale. A questo riguardo, i racconti circa il dispiegamento di migliaia di truppe statunitensi nei giacimenti libici possono anche essere interpretati come coordinati o legati al crescere delle ostilità di U.S.A. e E.U. verso la Siria e l’Iran. Reindirizzare le spedizioni di petrolio libico, prima destinate alla Cina ,verso la U.E., può essere parte integrante di tale strategia.

La guerra psicologica

In realtà, il regime sanzionatorio elaborato dal governo U.S.A. contro l’Iran si è avventurato fin dove possibile. Tutti i discorsi sull’isolamento iraniano sono spacconerie lontane dalla realtà attuali delle relazioni e del commercio internazionali. Brasile, Russia, Cina, India, Iraq, Kazakistan, Venezuela e molte altre nazioni dell’area post-sovietica, Asia, Africa e America Latina hanno rifiutato di sottoscrivere le sanzioni contro l’economia iraniana.

L’embargo petrolifero della U.E., insieme alle varie sanzioni contro l’Iran, ha un più ampio aspetto psicologico. L’Iran e il suo alleato siriano affrontano entrambi una guerra multidimensionale che ha scopi economici, diplomatici, mediatici e psicologici. La guerra psicologica, che coinvolge i media mainstream come strumento di guerra e politica estera, è un’opzione molto economica per gli U.S.A. grazie ai suoi costi inferiori. E le viene data maggiore enfasi nel contesto dell’attuale situazione economica mondiale.

Tuttavia, la guerra psicologica può essere combattuta su entrambi i fronti. Molto del potere degli U.S.A. è psicologico e legato alla paura. Come la geografia del Golfo Persico, anche il tempo è dalla parte dell’Iran e lavora contro gli USA. Se l’Iran continua col suo comportamento attuale senza farsi scoraggiare dalle sanzioni, aiuterà a oltrepassare una soglia psicologica che scoraggia a livello mondiale le nazioni dall’opporsi agli Stati Uniti. Se molti altri paesi continuera a rifiutare di piegarsi alla richiesta dell’amministrazione Obama d’imporre sanzioni all’Iran, verrà dato un grave colpo al prestigio e al potere degli U.S.A. che si tradurrà anche in termini economici e finanziari.

Inoltre, alla fine l’embargo petrolifero della U.E. danneggerà l’Unione Europea stessa invece dell’Iran. Sul lungo termine potrebbe anche danneggiare gli Stati Uniti. Strutturalmente, gli effetti dell’embargo petrolifero incastoneranno ancor più l’UE nell’orbita degli Stati Uniti, ma questi effetti catalizzeranno una sempre maggiore opposizione sociali a Washington, che finirà col manifestarsi negli agoni economico e politico.

(Traduzione di Valentina Bonvini)


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