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Guest post: Maglia numero 10: simbolo o leva di marketing?

Creato il 22 luglio 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

La maglia numero 10, quella che ogni bambino sceglierebbe tra le infinite a disposizione. Quella che si sogna di indossare dal primo momento in cui si calcia un pallone. Quella che ti fa sentire il più forte.

10, un numero che nel calcio parla da solo, un numero che dice chi sei. Il numero. Quello dei grandi campioni: da Pelè a Ronaldinho, da Maradona a Messi, da Platini a Zidane, da Totti a Del Piero, l’ultimo che si è cancellato quel numero che aveva tatuato sulla schiena da 17 ininterrotti anni.

A prenderne l’eredità è stato da pochi giorni l’argentino Carlitos Tevez, nuovo acquisto della Juventus, proveniente da Manchester, sponda City. Appena sbarcato in Italia, tra il caldissimo entusiasmo dei tifosi che lo hanno accolto fin dall’aeroporto, l’Apache – soprannome in onore del suo “barrio” natale, chiamato “Fuerte Apache” nel film di Paul Newman – ha sventolato dal balcone della sede del club bianconero la maglia con quel numero che per 365 giorni era stata vacante, lasciando un vuoto, sconosciuto ai tifosi juventini.

Un gesto che ha scaldato ancor di più gli animi di quei tifosi che attendevano impazienti che il loro nuovo beniamino si affacciasse per dedicargli i primi calorosi cori, quei cori che allo Juventus Stadium riecheggeranno più forti che mai. Nello stesso momento, però, nonché nelle ore e giorni successivi, altri storcevano il naso. Juventini e non.

“La 10 a Tevez non è rispettoso nei confronti di Alex”, “La 10 è di Del Piero andrebbe ritirata”, “Scusali Alex, non sanno quello che fanno”: questi i commenti più frequenti che hanno caratterizzato e animato -  semmai ce ne fosse bisogno – la giornata del 25 giugno. Ebbene sì, incredibile ma vero, il numero 10 ha diviso la gente diventando argomento di discussione,  come se nel vocabolario calcistico alla voce “dieci” si fosse aggiunto un secondo significato a quello univoco che aveva sempre avuto.

Il fatto se sia stato giusto o meno assegnare quella maglia dipende molto dal lato romantico che, in ogni tifoso, può essere più o meno spiccato: ogni “corrente di pensiero” deve perciò essere rispettata, come è giusto che avvenga per qualsiasi opinione personale.

Ma torniamo un passo indietro: qual è quel secondo significato che si è aggiunto e sta sempre più avvicinandosi al primo?

Se fossi l’autore di un mio “dizionario del calcio” opterei per un secco “2) Efficace strumento di marketing”. In un sport in cui giro il d’affari è indiscutibilmente in crescita esponenziale, le società cercano di utilizzare tutti i mezzi a propria disposizione per fare in modo che facciano leva il più possibile sul merchandising: le magliette sono una fonte di introiti che non può essere trascurata.

Cosa c’è di più attrattivo di un nome “top” abbinato ad un simbolo calcistico come il numero 10? L’entusiasmo del tifoso sfocia anche, e soprattutto, in questo: comprare la maglia del nuovo acquisto è diventato un gesto rituale – forse ancora poco diffuso in Italia, in cui l’abitudine ad assistere ad una partita allo stadio con maglietta, cappellino e bandiera è meno radicata rispetto a paesi come, per esempio, l’Inghilterra. I più abili responsabili di marketing delle società lo sanno: uscire dal negozio con quella maglietta addosso fa riaffiorare quei sogni che ognuno aveva sin da piccino. E le casse societarie ringraziano.

Ah, pare che le magliette di Tevez stiano andando a ruba, registrando vendite incredibili: nelle ore appena successive alla sua presentazione il 70% delle magliette vendute negli store dello Juventus Stadium sono state proprio le sue.

Chissà se avesse avuto un altro numero… 

  Articolo pubblicato con autorizzazione dell'autore Paolo Guicciardi (@paologucc), originariamente apparso sul sito della RTR Sports.

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