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Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli: un vento che scuote l’anime

Creato il 16 novembre 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

Glitter-Firma-Howl_RapaCalciferFirmatoRoma, arena estiva, schermo secondario. Ricordo ancora perfettamente la prima volta che ho visto un film di Hayao Miyazaki, quello che tuttora rimane il mio preferito, La città incantata. Sono passati dieci anni da allora e in questi anni non sono certo stata l’unica a scoprire l’assoluta meraviglia delle creazioni del regista d’animazione giapponese.
Miyazaki è per me un maestro assoluto e ho visto quasi tutti i suoi film (no aspetta: penso proprio tutti!) e quando sono stata in Giappone hanno dovuto tenermi a viva forza per impedirmi di attraversare tutta Tokyo per andare in pellegrinaggio allo Studio Ghibli. A Venezia non sono riuscita a vedere il suo ultimo film (in tutti i sensi, visto che ha annunciato il suo ritiro), ma appena avrà una data d’uscita mi precipiterò!
L’Oscar per il miglior film d’animazione assegnato a La città incantata (vedi il trailer) è stato un segnale che nel mondo dell’animazione non poteva più essere ignorato. Lo sguardo rivolto fino ad allora solo ai lungometraggi della Disney e poi della Dreamworks, con il premio del 2003 si è finalmente rivolto all’Estremo Oriente.

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Gli anime (i cartoni) sono passati dal piccolo al grande schermo, seppur ancora limitatamente. Ma nel mare magnum della produzione giapponese, in cui non sempre la quantità corrisponde alla qualità, non è detto che sia un male che da noi ne arrivino pochi.
Quel che conta è che Miyazaki ha dimostrato al mondo – e ci sono voluti vent’anni prima che se ne accorgesse – che l’animazione non ha nulla da invidiare al resto del cinema. Anzi, ha delle potenzialità poetiche ed espressive difficilmente uguagliabili, pur con tutti gli effetti speciali permessi dalle nuove tecnologie.

Logico quindi interrogarsi su cosa renda i film animati di Miyazaki degli autentici capolavori. Curiosamente, nonostante i film della sua casa di produzione stiano finalmente trovando strada nelle nostre sale, sugli scaffali delle librerie sono ancora pochi ad occuparsene. Doppiamente ammirevole quindi l’e-book Jacopo Caneva’s Miyazaki – Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli, un vento che scuote l’anime. Dico doppiamente perché l’autore, che correttamente rivendica fin dal titolo la soggettività della propria analisi, è uno studente liceale. E affrontare una lettura a tutto tondo di opere complesse come quelle del maestro, anzi, del sensei Miyazaki, a quell’età non è affatto banale.

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Caneva lo fa inserendole nel contesto in cui hanno visto la luce, quello dello Studio Ghibli. Una casa di produzione che per qualità e capacità tecniche e organizzative (oltre che per merchandising) può essere paragonata solo alla Pixar, la branca della Disney specializzata nell’animazione 3D.
E questo anche se allo Studio Ghibli l’animazione è strettamente 2D, ancora basata sul disegno quindi, come i classici film Disney: il che non vuol dire che non si usi il computer, ma sostanzialmente è ancora la mano dell’uomo a fare tutto. Invece la Pixar lavora esclusivamente con il 3D, quindi solo con i computer (non a caso nella sua fondazione c’è lo zampino di Steve Jobs…). Certo, alla base ci sono character design e modellini realizzati a mano, ma l’elaborazione è fatta al computer.

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Insomma, niente è più lontano dalla Pixar dell’animazione tradizionale sfoggiata dallo Studio Ghibli, eppure la reciproca ammirazione è nota, tanto da fare persino capolino nei rispettivi film. Nell’ultimo capitolo della saga di Toy Story per esempio, compare un peluche di Totoro, lo spirito dei boschi protagonista di uno dei maggiori successi di Miyazaki, mentre nel già citato La città incantata, una lampada animata fa il verso a quella del logo della Pixar.

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Ma al di là dei suoi ammiratori di razza, lo Studio Ghibli è ormai una garanzia, come dimostrano i tanti film realizzati negli anni. Caneva illustra brevemente le vicende alla base della sua nascita e i diversi interessi coltivati dai suoi fondatori, Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
Ovviamente lo sguardo è puntato soprattutto sul primo, a partire dagli esordi pre-Ghibli con celebri serie televisive come Conan, Anna dai capelli rossi, Heidi e Lupin III. Ma è interessante leggere una volta tanto anche degli altri prodotti dello Studio Ghibli, come quelli firmati da Takahata e dal figlio di Miyazaki, Goro. Così come è giustamente meritato e tutt’altro che scontato, lo spazio dato alle splendide colonne sonore firmate da Joe Hisaishi, addirittura analizzandone la partitura brano per brano, nel caso de La città incantata.

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Caneva si sforza di dare una lettura trasversale dei vari film di Miyazaki che vada oltre la superficie, come richiesto dalla loro stessa natura di opere dagli intrecci molto articolati sul piano spazio-temporale e dalla forte valenza morale. Miyazaki infatti non è soltanto un abile regista, dotato di un tratto suggestivo e di una scrittura dalla profondità invidiabile. É anche un uomo dalla filosofia rigorosa e da saldi valori, come ha ribadito più volte nel corso della sua lunga carriera che ha (purtroppo!) scelto di chiudere con il prossimo Si alza il vento. E i suoi valori, come il pacifismo, il rispetto per la natura e il vagheggiato ritorno ad una più sana convivenza con essa, traspaiono in ogni suo lavoro. Peccato quindi che la giovane età di Caneva emerga in certe ingenuità, se non semplificazioni, dovute il più delle volte ad una non sempre efficace conoscenza della cultura giapponese. Perché, se è vero
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che spesso Miyazaki ambienta i suoi film in un altrove tanto geografico quanto storico, e comunque fantastico, le sue radici giapponesi emergono sempre, più o meno consapevolmente.

La completezza nella trattazione e l’evidente competenza musicale servono tuttavia a controbilanciare certe sbavature e nell’insieme Jacopo Caneva’s Miyazaki è una lettura agile e un’ottima introduzione al mondo del regista giapponese. Come tante delle coraggiose eroine dei suoi film possiamo così iniziare il cammino alla scoperta dei suoi capolavori, certi che cresceremo e ci meraviglieremo con essi, riscoprendo cose che credevamo di aver dimenticato.


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