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Hear you me

Creato il 29 dicembre 2011 da Prisca

Hear you meNon avrei mai pensato di poter parlare di morte. E’ un tabù assoluto, della morte non si deve parlare, perché non c’è niente da dire. Se se ne parla, lo si fa a mo’ di consolazione o di giustificazione.
Più di una volta, specialmente nell’orrore infantile, ho liquidato notizie tragiche e terribili apprese dal telegiornale, con un “era prevedibile, succede a chi se la va a cercare“. Non mi vergogno di ammettere di essermi rifugiata in questo pensiero più di una volta, soprattutto da bambina, certamente, ma forse, senza volerlo riconoscere, senza riuscire a pronunciare nulla di simile in maniera esplicita, mi sono lasciata proteggere da un’idea in qualche modo simile a questa, anche da grande. Le persone senza coraggio, come io sono, a sentire della morte altrui non possono che pensare alla propria, e non possono non cercare una scusa -che niente ha a che fare con alcuna dimensione morale- per dirsi che a loro non può succedere. Che la morte non è cosa per loro. Credo si tratti di un meccanismo simile a quello dello spettatore di un film, che, di fronte ad una scena di violenza, si sente preso dal disprezzo per la vittima, un disprezzo che somiglia ad una autodifesa, e di cui, però, non riesce a dare ragione. Credo che somigli all’atteggiamento, che pare meno vigliacco -ma vigliacco vuol dire ancora qualcosa, davanti alla morte?- di cercare nelle tragedie un colpevole che non sia, stavolta, la vittima stessa. Crolla una casa e tutti a gridare che è stata costruita male; e se è così, è giusto pensarci, indagare, ma non si deve per ciò credere che si stia riflettendo sulla morte, perché la morte richiede e impone il solo silenzio.
Alla Vigilia di Natale, ho saputo della morte di un ragazzo della mia età, uno finito come tanti altri, ingoiato dalle prime luci del mattino, dopo una notte di divertimento. Era amico di un mio amico, e probabilmente se l’era cercata, ma questa risposta, adesso, non mi bastava più. Perché adesso, quella morte mi toccava da vicino, perché un filo, un groviglio di conoscenze intermedie, collegava la mia vita alla sua vita, e mi lasciava attonita. E’ stato come svegliarsi all’improvviso. Per la prima volta non per il tramite di costruzioni razionali e morali, ma del solo, nudo, sentimento, sapevo che il sistema di difesa che mi ero costruito non funzionava più, che non contava cosa avesse bevuto quel ragazzo, non contava la possibilità che investisse una persona, e invece aveva preso solo un muro, non contava quanto veloce corresse: niente poteva rendere ragione di ciò che era accaduto, niente poteva darmi risposte, l’umanità intera, e la mia stessa umanità, erano state sconfitte quella notte, su quella strada.


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