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Her, il film sul futuro che non lo era

Creato il 18 marzo 2014 da Dave @Davide

Her non è un capolavoro, per quanto mi riguarda. Ma il punto vero, ciò che non mi aspettavo, è che non è nemmeno un bel film. C’è la fotografia curata, certo; ci sono la storia d’amore incasinata, eterea, impossibile, gli scorci postmoderni di Shanghai e la celebrata voce calda di Scarlett Johansson. Ma poi? A me pare che il vero problema sia vendere un film del genere (o perlomeno dibatterne in ambito pubblico-mediatico) come prodotto culturale in grado di scavare nei recessi del rapporto tra uomo e bot, o anche soltanto come ritratto verosimile di un’alternativa distopica modellata sull’oggi.

Fate finta che nella storia Samantha non sia un sistema operativo (cosa che non dà alcuna impressione di essere, peraltro, se non per la sparuta lettura di due mail): rimangono due ore di conversazioni tutto sommato banali e intarsiate di cliché - «Sarai uno di quelli che mi scopano e non si fanno più sentire?»; «volevo fare sesso per riempire un po’ quel vuoto che ho dentro», per citare due battute che ricordo – in cui un tizio malvestito e depresso si innamora di un’impiegata di un call center.  Senza ulteriori lumi sulla civiltà automatizzata che fa da sfondo alla Los Angeles/Shanghai del duemilaqualcosa, senza uno spunto brillante che faccia dire “ehi, ma tu pensa, questa età in cui parleremo tutti con algoritmi capaci di amare”, senza un motivo che spinga lo spettatore a non considerare la storia di Theodore e Samantha la riscrittura un po’ paracula di uno schema già visto e letto dozzine di altre volte.

Se parliamo di un film che vuol essere un flashforward su un ipotetico futuro in cui non si distinguerà più tra naturale e artificiale, Her  secondo me ha fallito, perché è soltanto un lungometraggio sulle pene d’amore, e nemmeno troppo originale. In questo senso stavolta ha ragione Christian Raimo a parlare di «un Terrence Malick dei poracci», riferendosi a un compito che doveva essere enorme e si è risolto in lunghe inquadrature sulla città, luoghi comuni e scene in cui Joaquin Phoenix porta a spasso il suo smartphone per dimenticare la moglie. Ma sono quelle le cose che lo rendono una novità assoluta, un’intelligente interpretazione dello Zeitgeist, sento già obiettare qualcuno. No, quelle – unite a tutto il resto – sono le cose che mi fanno sospettare che la sceneggiatura di Her l’abbia scritta Beatrice Borromeo.

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