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Ho sognato qualcosa?

Da Pamirilla

 

pennello

foto presa dal web, dal blog di Matilde Franz

Sapete già della mia débâcle come imbianchina a tempo perso e sapete anche che lunedì avevo un forte raffreddore. Nello stesso lunedì sono iniziati i lavori di un imbianchino “vero”, sopraggiunto a riparare i danni fatti da me e rendere plausibile la mia camera da letto.

Quello che potete immaginare è che il lavoro in questo momento sia pressante, le cose da fare almeno un milione quindi non sarebbe proprio il momento giusto per lavori di ristrutturazione ma ormai c’ero in mezzo.

E di certo non sarebbe stato il momento giusto per finire a tappeto con un febbrone da cavallo, ma ormai avevo il raffreddore….pareva brutto sprecarlo con un’aspririna e via!

E così il giorno successivo all’inizio della fine della pace (e della pulizia) casalinga la mia temperatura corporea è schizzata oltre i 39 gradi. Mentre io me ne stavo ammucchiata nel divano incapace di restare sveglia per più di dieci minuti consecutivi Mihai, il pittore, imperversava tra pennelli e bidoni di vernice abbellendo la mia stanza da letto e distruggendo qualunque altra cosa sul suo cammino, impiastrando bagno e corridoio, porte, maniglie e pavimenti più o meno ovunque.

Negli incubi peggiori di quel lungo sonno febbricitante biscotti e torte scoppiavano nei forni come indemoniati mentre negli incubi migliori le spezie erano sparite dalla faccia della terra, il burro tutto misteriosamente liquefatto e le uova trasformate in inutilizzabili pulcini.

Negli sprazzi di lucidità zaffate di vernice.

Il mio stato era tale che sono riuscita a suscitare la compassione di Mihai il quale si è costantemente preoccupato del mio miserando stato di salute ed è stato così gentile da commuovermi. L’ultima volta che ho avuto gli imbianchini in casa volevano picchiarmi perciò capirete la sorpresa.

Purtroppo o per fortuna dopo quarant’otto ore sono tornata in me, seppur in stato confusionale, e il mondo era strano.

Ho aperto la finestra su una giornata bellissima e ho pensato “Peccato, perdere una cosa così bella” mentre guardavo con una punta d’invidia i passanti che gremivano la strada. Il mondo di fuori mi sembrava quello del Playmobil. Mi sono seduta perché avevo le vertigini.

Mihai ha finito che era sera, ci siamo salutati e io mi sono fatta la minestrina perché mi consola sempre quando non sto bene.

Purtroppo l’interruttore pendulo della luce della camera da letto ha finito, come era prevedibile, per perdere un filo e così la stanza è rimasta buia e muta fino al mattino seguente.

Al mattino la stanza ha svelato il suo triste segreto e cioè che ha bisogno di una terza mano. Peccato che oramai non verrà più nessuno e la ditta non risponde al telefono.

Ho considerato varie possibilità tra le quali: fare finta di niente, pulire comunque e rimandare la fine lavori, impugnare io stessa il rullo e finire l’opera e ho cercato rabbiosa di capire come riaggiustare l’interruttore della luce (un delizioso manufatto dei primi del novecento tanto bello quanto misterioso). Altrettanto disturbata ho tentato di strappare dal comò impacchettato nei teli una maglietta ma quando finalmente ci sono riuscita non si richiudeva più il cassetto, non so perché. Ho urlato una specie di rabbia strozzata.

Improvvisamente mi sono sentita così intensamente infelice e sola che mi sono accasciata desolata nella polvere.

Sto ripulendo casa perché ne ha bisogno ma anche perché questa veste appartiene ad un’altra vita. In quella vita colori dei muri e suppellettili li ho scelti insieme a qualcun altro, lo stesso uomo che mi ha confortato e aiutato nelle dispute con gli imbianchini di allora (quelli che mi volevano picchiare). Questa volta l’esperienza non è stata così traumatica ma è traumatico ogni volta rendermi conto che ora sono sola, che i problemi ormai li devo risolvere da me, grandi o piccoli che siano, e soprattutto è traumatico constatare che, per guerriera che io sia, non ho voglia di accettare del tutto questo fatto. Anzi quasi per niente.

Per niente proprio.

Sola.

E ho una vertigine più forte che mai.

Comunque, a pianti terminati, ho cominciato pian piano a pulire, accantonando l’insana idea di fare nuovi danni con il rullo ora che il lavoro è quasi finito (…male?.....beh…quasi finito).

E mentre rimuovevo chili di polvere ho cominciato a pensare che ho proprio tutto quel che serve per essere felice. Persino quello che mi manca serve allo scopo, serve ad avere ancora una furiosa voglia di vita.

Panno dopo panno ho rimosso la polvere, le chiazze di vernice, la stupidità dalla mia faccia rigata da lacrime sporche. E poi ho risposto al telefono che squillava.

Non sempre sentirsi soli corrisponde al vero.

Spero che non mi torni la febbre. E di rimettermi presto in cucina!

Ma soprattutto spero di riuscire presto a scrivere post meno sconclusionati o sarò costretta a cancellare il blog di nuovo……siate pazienti…….ce la posso fare……..credo……..

massì…..

ce la posso fare!

Un caro saluto a Mihai (che si pronuncia tipo Mikail ma con una cosa aspirata nel centro, al posto della kappa e comunque significa Michele). Mihai si è commosso perché gli ho fatto il caffè. Dice che nelle altre case non succede. Peccato che io il caffè lo faccio da schifo. Però lo servo con ottimi biscotti, ci potete credere!


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