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Hoarding e minimalismo in cucina. Ne parliamo con Laura Dossena.

Da Anna Maria Simonini @AMSimo

Oggi parliamo con Laura Dossena, appassionata runner consciuta via Twitter, che ha un blog singolare e ci parlerà di cucina da un punto di vista assolutamente insolito.

Laura, dicci: chi sei? Cosa fai nella vita?

Ciao, faccio la traduttrice dal francese all’inglese all’italiano. Vivo a Valenza e ho due gatti che si chiamano Gilles e Maya.

Se dico minimalismo?

Io rispondo spazio bianco.

Il tuo blog si chiama Minimo Blog. Perché lo hai chiamato cosî?

È nato intorno al tema “decluttering” – clutter in inglese significa confusione, caos, ma anche superfluo. Decluttering significa quindi fare ordine, ma anche togliere il superfluo. È un concetto molto americano, che in Italia non abbiamo.

Come mai ti sei interessata a questo tema?

Leggevo un blog che si chiama Minimal Mac perché uso i Mac per lavoro e perché mi piacciono. Ogni tanto venivano citati blog che hanno a che fare con la semplificazione dello stile di vita. Hanno citato Zen habits –  che è il blog principale in tema di minimalismo a livello mondale, non solo americano, il cui curatore ha scritto anche ebook e ha tenuto seminari su questi tema. A partire da quel blog ho recuperato altri siti ed ho iniziato ad approfondire il tema del decluttering, inteso come dicevo nel senso di liberarsi del superfluo.

Ma hai fatto anche un passo in più, oltre ad informarti…

Si, io e Marco Donati, con cui convivo, abbiamo iniziato a mettere in pratica, ovvero abbiamo iniziato ad analizzare stanza per stanza tutta la casa ed abbiamo tolto il superfluo. Ci siamo pian piano resi conto di quanto superfluo avessimo in casa.

Che cosa intendi per “superfluo”?

Se parliamo di cose e oggetti – in prima battuta ci siamo concentrati su questo –  con superfluo intendo ogni cosa che hai in casa o in ufficio e non usi diciamo da 6 mesi. Quelle senza utilità pratica o che non sono molto belle.

Belle?

Si, se un oggetto non è utile, ma ha una valenza estetica, mi da un plus in ogni caso. Quindi per me non è superfluo.

In quale stanza della casa hai trovato più superfluo?

In cucina. Considera che non sono una appassionata di cucina, anzi. Ho trovato tanto superfluo perché avevamo il triplo di tutto pur essendo in due: tre servizi di piatti, 30 tazze da caffè… accumulati “perché non si sa mai”. Ammennicoli insomma da cucina che non si usavano mai. Anche elettrodomestici.

Cosa hai fatto con il superfluo?

In parte lo abbiamo buttato. In alternativa vendi, regali o lo metti da parte. Inizialmente tanta parte delle cose sono  finite in cantina.

Lo hai ancora giù in cantina, quindi, il superfluo?

Ora no. Il procedimento però di solito è quello: di fronte ad una cosa che ha ancora un valore o se hai speso soldi per vestiti firmati o ancora se certi oggetti ti ricordano persone care, è difficile staccarsi dagli oggetti. C’è gente che non vuole regalare I vestiti vecchi anche se non vanno più bene, se le taglie sono proprio sbagliate. Molta gente non vuole vendere cose usate perché “fa brutto”, sembra di aver bisogno di soldi.

Anche dare le proprie cose gratuitamente non è semplice, non siamo abituati. C’è una resistenza psicologica anche da parte degli amici, delle persone più vicine. Per disfarci di certe cose siamo ricorsi ai negozi dell’usato. Il riscontro economico è ridicolo però ti pagano di fatto per liberarti di qualcosa che a te non serve.

Quanti oggetti hai eliminato dalla cucina?

Nell’ordine di alcune centinaia. Era uno scatolone intero, in pratica c’era dentro una dotazione da cucina con pentole, bicchieri, piatti, tovaglie… nessuno ha voluto il regalo.

Come dicevo, culturalmente non siamo pronti. Lo facciamo solo in determinati ambiti, come ad esempio quando nasce un bambino, per cui ci si passa le cose usate tra amici e parenti.

Il sentire comune è che comprare cose usate significa che non mi posso permettere quelle nuove.

Mi dicevi che hai studiato il fenomeno?

M sono informata cercando su Internet. Ho approfondito il tema dell’hoarding inteso come accumulo di cose. È una vera e propria malattia, una sindrome ossessivo-compulsiva. Consiste nell’incapacità di liberarti di qualsiasi tipo di oggetto. Animali compresi. Certe persone si sentono “salvatori” perché tengono svariate decine (addirittura possono arrivare fino a cento) di animali, da cani a gatti, maiali e capre. Stanno in condizioni impossibili, ma nella mente di queste persone che li amano sono trattate al meglio possibile.

Esiste anche in relazione al cibo questa malattia?

Si. Esiste una forma di hoarding che prende persone che hanno avuto problemi economici ed accumulano quantità enormi enormi di cibo perché ora possono farlo, ma non sanno se potranno rifarlo in futuro. È una malattia mentale, quindi la casa risulta invasa da cibo andato a male. E’ abbastanza raro questo tipo di hoarding. Fa molta impressione vedere il cibo accumulato perché, nonostante le muffe, i malati ritengono che il cibo sia perfettamente commestibile. Non vi dico le condizioni di frigo e congelatore. Indescrivibile.

Ci sono persone che arrivano a camminane sulle cose non avendo più una stanza da letto in cui dormire. Dormono su una sedia. Le loro case sono ad alto rischio di incendio, e quando finiscono lo spazio interno della casa, iniziano ad ammassare cose anche fuori in giardino. I vicini non gradiscono.

Quanti casi si contano in America?

3 milioni di casi accertati ma approssimando molto per difetto. Sono tipicamente persone sole perché si vergognano.

Ma provare vergogna significa essere coscienti della propria malattia

Si, da un lato si rendono conto e si vergognano, dall’altro non riescono a liberarsi dalle cose e quando arriva l’organizer per aiutarli a guarire hanno un crollo psicologico o veri e propri attacchi di panico. La malattia mentale nasce solitamente da traumi pregressi. Queste malattie vengono gestite da uno psichiatra e da un professionista che gestisce l’hoarding della casa.

Se ci pensiamo noi tutti soffriamo un po’ di hoarding in fondo, quando ad esempio non ci stacchiamo da un oggetto per status o affettività o altre motivazioni. Il motivo principale in Italia per cui non si stacca dagli oggetti è una motivazione culturale e di status. Le cose servono per proiettare un’immagine di noi agli altri. Se ce ne liberiamo dobbiamo ricostruire il nostro noi agli occhi degli altri.

L’accumulo nasce dallo stato sociale. Nella nostra testa abbiamo un’immagine di noi e vogliamo dare quella anche a noi stessi. Il messaggio che si vuole dare può essere diverso. Per qualcuno può significare proiettare il concetto che si è bravi cuochi, quindi si fanno vedere la cucina e gli strumenti, anche se poi in realtà non si usano.

Che vantaggio hai tratto dall’eliminazione del superfluo?

Tanto spazio, tempo perché meno oggetti e meno caos significano anche meno pulizie. Poi un vantaggio economico in due ordini di grandezze: uno piccolo derivante dalla vendita delle cose; l’altro grande perché riflettendo in modo minimalista le spese sono calate in modo importante.

Tornando in cucina, ti piace cucinare?

La cucina è il regno di Marco. La mia cucina è sempre stata praticamente inesistente. Però ultimamente sono più attiva per l’autoproduzione: fatto decluttering e ridotte le spese, siamo entrati in contatto con persone e blog che associano il minimalismo alla riduzione dello stile di vita, esperienza anche collegata alla crisi economica. Così non si acquistano più merendine pronte o cibi pronti, ma li si fa in casa.

È un ambito difficile da trattare, di confine. Noi non abbiamo problemi economici, ma ho ricevuto commenti e osservazioni da persone che davvero non arrivano a fine mese.

Come vai avanti ora? Con quali spese?

Semplice: tutte le spese non legate a riempire il frigo e pagare le bollette sono diventate superflue.

Anche le vacanze?

Devo dire che già da prima facevamo viaggi scambiando casa. Ognuno adatta il minimalismo alle proprie  esigenze. Per me viaggiare è una priorità. Preferisco avere un paio di scarpe in meno ma un viaggio in più.

Torniamo a parlare del tuo blog. Minimalismo declinato come?

Tratto di decluttering, small living, downshifting. Insomma semplificazione in tutti gli ambiti.

Anche design minimalista, che nasce anche come vera e propria corrente artistica anche in ambito moda. La scrivania minimalista costa tantissimo. Tutto però dipende dai propri valori.

Ho ricevuto commentati che criticavano il fatto che parlare di Mac, iPhone e scrivania costosa crei confusione. Ripeto, avere problemi economici e non arrivare a fine mese non è il mio caso. La mia è una scelta di vita.

Quando hai aperto il tuo blog e perché?

Il 14 luglio 2010. Avevamo già un altro blog in cui parlavamo di scambio casa e ho scritto un post sul fatto che avevamo troppe cose. Quello è stato il primo post di minimo blog.

Hai ora un progetto particolare personale o per il tuo blog?

Vorremmo vedere casa e trasferirci in una più piccola, ma siamo fermi perché non riusciamo a venderla. Come blog invece volevo spostarmi un po’ più verso gli argomenti della gestione del tempo e delle spese e la realizzazione personale – senza sfociare però nel new age. Ho provato a fare un post basato sullo studio della felicita con base scientifica, ma è stato uno dei post meno commentati. È più difficile rapportarsi a post sulla felicità rispetto a quelli che parlano di svuotare l’armadio.

Già… grazie Laura, buon blog e buona vita.


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