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Homeland, una quarta stagione tra alti e bassi

Creato il 06 gennaio 2015 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Marco Goi

Summary:

Homeland si è distinto da subito per essere una specie di anti 24. Le due serie che meglio hanno affrontato la tematica del terrorismo nell’America post 11 settembre hanno sempre presentato due visioni della tematica agli antipodi. 24 è molto più adrenalinica e giocata sul versante action, con alcuni spunti un po’ inverosimili e un protagonista come Jack Bauer (Kiefer Sutherland) a metà strada tra James Bond e un supereroe. Homeland ha invece un’andatura più lenta, è caratterizzata come la sua colonna sonora da ritmi jazz, capaci di cambi di ritmo improvvisi e inaspettati, e riserva una maggiore attenzione sugli aspetti psicologici dei suoi protagonisti. Con la quarta stagione, da poco terminata negli USA, Homeland ha però virato in una direzione più vicina alla serie “rivale” rispetto al passato. Pur mantenendo intatta la sua personalità, gli episodi più concitati e anche riusciti dell’annata hanno ricordato proprio 24. Il nuovo protagonista maschile Peter Quinn (Rupert Friend) si è reinventato come una specie di erede di Jack Bauer, tanto che a un certo punto si convince di poter sconfiggere da solo il nemico di turno, Haissam Haqqani (Numan Acar).

ATTENZIONE SPOILER
A non convincere del tutto in quest’ultima stagione di Homeland, per quanto a livelli qualitativi sempre parecchio alti, sono proprio stati questi ultimi due personaggi. Haissam Haqqani è apparso un terrorista cattivone un po’ stereotipato, una specie di versione per fiction di Osama bin Laden costruito senza un grosso approfondimento. Quanto a Peter Quinn, il suo compito proibitivo era quello di colmare il vuoto lasciato da Brody (Damian Lewis) e la sua missione può dirsi, almeno per il momento, fallita. Gli autori della serie meritano un applauso per aver avuto il coraggio di far fuori un personaggio centrale della serie e tentare così nuove vie narrative, però allo stesso tempo va notato come sia stato eliminato in maniera troppo prematura, quando ancora aveva molto da offrire. E poi – diciamolo – Homeland è sì la serie di Carrie Mathison (Claire Danes), ma era anche la serie di Brody. I punti più alti sono stati toccati proprio quando i due comparivano insieme in scena, quando le personalità folli di entrambi si incontravano e scontravano, creando una tensione, sessuale e psicologica, notevole. Homeland senza Brody, spiace dirlo, appare invece un po’ come Misfits quando ha perso Nathan (Robert Sheehan). Una serie a cui inevitabilmente manca qualcosa, un elemento fondamentale e insostituibile. Non è un caso allora che il momento più intenso e shockante dell’intera stagione sia arrivato proprio con la breve apparizione di Damian Lewis in scena. Per quanto gli autori abbiano cercato di rendere la figura di Peter Quinn sfaccettata, il suo personaggio non rende allo stesso modo, complice anche lo sguardo perennemente perso nel vuoto di Rupert Friend.

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Con Brody fuori dai giochi e con Peter non ancora entrato del tutto in partita, a tenere in piedi la squadra ci pensa allora lei, la protagonista Carrie Mathison. Rispetto al passato è apparsa un po’ più equilibrata, nonostante come madre non si possa certo definire un modello da seguire. Piuttosto che rimanere a casa ad accudire la piccola, che tra l’altro somiglia a Brody in una maniera persino inquietante, preferisce infatti concentrarsi sulla carriera e spostarsi dall’altra parte del mondo. Se fare la mamma non è la sua priorità numero uno, sul lavoro è sembrata persino troppo razionale e i momenti migliori ce li ha regalati proprio quando le hanno fatto uno scherzo con i suoi medicinali e ha potuto tirare fuori il suo lato folle. Ecco, un altro aspetto di Homeland che nella season 4 è stato tenuto troppo in un angolino è questo. Un paio di episodi, dopo la partenza molto tranquilla, sono stati belli tesi e la stagione ha vissuto un buon crescendo, però oltre a Brody, a Homeland in questa quarta stagione è mancata una sana dose di follia. Quella che in passato, soprattutto nelle prime due insuperabili stagioni, aveva davvero fatto la differenza.

di Marco Goi per Oggialcinema.net


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