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Homeless/Street artist al Gazometro. La donna più povera d’Italia.

Creato il 18 marzo 2016 da Stevepop

Sul Tevere, di fronte al Gazometro, c’è una baracca. Non è l’unica, ma più che di disagio, sembra luogo di ispirazione tra canne di bambù e un piccolo orto. Accanto, un murales di 20 metri con foglie, fiori, animali dai tratti delicati e precisi, assai diverso dai graffiti tutt’attorno. Dalla giungla dipinta sul muro spunta l’autrice, Laura Galletti, la più povera d’Italia. Ha fatto voto di non chiedere mai niente a nessuno, tantomeno l’elemosina. Non tocca il denaro per nessun motivo. Non ha una casa. Non riscuote la pensione. Non ha da parte risparmi. Non utilizza i trasporti pubblici. Non usa telefoni o computer. Non possiede nulla di nulla, a parte uno zainetto, un borsone da viaggio e gli abiti che indossa.Una settantenne minuta che si muove con agilità sui gradini sbeccati dell’alta ripa mentre ritocca il dipinto: “Ci vuole un po’ di giallo lì sul guscio della lumaca, per far la luce calda”. Ha un marcato accento veneto e infatti è nata a Verona, ma vive a Roma da 12 anni.

Ha costruito la casetta dopo aver dormito a lungo in scatole di cartone per strada: San Pietro, Termini e la stazione Tiburtina. “Se sopravvivi a Tiburtina, sopravvivi ovunque”, sentenzia la signora pulita, pettinata, con un paio di mocassini lucidi ai piedi. Si definisce “la povera allegra”, ma per 30 anni è stata una grafica pubblicitaria. “Non m’interessavano i soldi, avevo una sola certezza: non volevo certezze”. Mai sposata e sempre vissuta con la madre, alla sua morte, nel 1999, sente di aver perso “lo scopo nella vita”. Al lutto si aggiunge la scoperta di non poter percepire una pensione per un anno di mancati contributi da un’azienda per la quale aveva lavorato. “Ho capito che era arrivato il momento di abbandonare il materiale e darmi a Dio”. Rinuncia persino all’assegno sociale che le spetterebbe: tiene per lei 27 euro, il resto va in beneficenza.

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L’energia non le manca: ha costruito la casa completamente da sola, anche grazie all’esperienza maturata quando lavorava per uno studio di architetti. “La cosa più difficile è stato trovare il modo di rinforzarla dal vento. Lo senti?”. Una folata di tramontana le scompiglia i capelli grigi. “È incredibile, ho sempre trovato tutto quello che mi serviva quasi per caso – accarezza le grosse canne di bambù che rinforzano il capanno – questi sono i resti della scultura all’Ex Mattatoio (il Big Bambù)”. L’interno è accogliente, coibentato. Tiepido, nonostante manchi l’elettricità. Dentro e fuori tantissimi dipinti.

“Ho iniziato quasi per caso, stufa di vedere le scritte dei bombolettari e oggi – dice mentre esce dalla porticina col cartello con una sua foto e la scritta ‘Eremita’ – mi stupisco di me stessa. Non avevo mai dipinto prima. Abbiamo già tutto dentro, basta tirarlo fuori”. Il talento per la pittura è evidente in quei fiori nati dal cemento del Tevere a cui Laura ha dedicato un anno di lavoro e che oggi, oltre al rispetto dei graffitari, strappa un sorriso a chi passa per la pista ciclabile o getta un occhio in giù dal traffico del ponte dell’Industria.

Intervista di Stefano Lorenzetto su ilgiornale.it

Quando ha deciso di vivere così?
«Il 12 aprile 2001. Ma è una storia lunga».

Sono qua apposta.
«Dall’adolescenza in poi ho vivacchiato nell’indifferenza religiosa. Dio lassù, io quaggiù. Da inferma mia madre riceveva l’eucarestia in casa. Per farla contenta, mi sono confessata e ho cominciato a comunicarmi anch’io. Quando se n’è andata, ho sentito che morendo la mamma mi aveva dato per la seconda volta la vita, quella eterna».

Immagine suggestiva.
«Dunque dovevo trasferirmi nella Città eterna, nella culla della cristianità. Andavo alla messa cantata delle 8 nella basilica di San Pietro. Ero catturata dalle omelie di monsignor Alberto Roncoroni. La badessa di un convento delle Clarisse mi indirizzò a un centro per ragazze madri, in via di Bravetta. La superiora mi disse: “Vede l’area qui intorno piena di calcinacci? Me la trasformi in un giardino”. La accontentai. Mesi di sudore. Il martedì alle 19 andavo alla catechesi nella parrocchia di Santa Galla, molto distante. La suora mi cacciò perché tornavo in ritardo. Mi ritrovai a dormire fra alcolisti e drogati nella stazione Tiburtina, dentro i sacchi neri della spazzatura».

Come ha fatto a non diventare una barbona?
«Il degrado è frutto dei comportamenti dell’essere umano. Se non segui delle regole, degradi. Io non vivo nel degrado perché non sono degradata».

Continui.
«Il 12 aprile 2001 vado in pellegrinaggio nel luogo in cui fu decapitato l’apostolo Paolo, alle Tre Fontane, dove in quello stesso giorno di 54 anni prima la Madonna disse al tranviere Bruno Cornacchiola: “Tu mi perseguiti, ora basta!”. A un certo punto i fedeli si mettono a guardare verso l’alto. Istintivamente faccio lo stesso e mi accorgo che posso osservare il sole senza accecarmi. Pulsava come un cuore in un cielo di colore tra il rosso e il rosa magenta. Il fenomeno è durato fino al tramonto. Ho pensato: è un segno divino, come posso ricambiare? Nello slancio emotivo ho risposto: via tutto il denaro e mai più una richiesta. Un minuto dopo la mente s’è resa conto dell’enormità di quella voce dal sen fuggita. Ma era una promessa al Papà e ormai non potevo più convertirla in una novena».

Perché no? Anche Lucia Mondella fu dispensata da un voto irragionevole fatto per sfuggire all’Innominato.
«Non ero stata io a decidere. La relazione con Dio non è come quella con gli uomini. È sincronia totale: io sento e penso quello che il Papà sente e pensa. Sottrarmi sarebbe equivalso a tradire me stessa. Perciò mi misi in cammino».

Verso dove?
«Medjugorje. Ci arrivai da clandestina: ero alle prime armi, mi pareva un peccato veniale. Andai all’imbarco del traghetto Ancona-Spalato. Erano le 9 di sera. Controllori ovunque. Impossibile farla franca. Cinque minuti prima che la nave salpasse, si scatenò a ciel sereno un nubifragio da tregenda. Fuggi fuggi generale. E io riuscii a intrufolarmi a bordo».

Fu l’unico viaggio da clandestina?
«Ne feci solo un altro sul traghetto da Brindisi alla Grecia. Ero decisa ad andare in Palestina. Dissi a Gesù: senti, Papà, se vuoi che arrivi a casa tua, devi farmi da tour operator. Da quel giorno, a piedi verso Istanbul, trovavo dei sacchetti bianchi, senza scritte, lungo il ciglio della strada. Come se qualcuno avesse fatto la spesa per me. Dentro c’era di tutto: pane, latte, cioccolato, una volta persino paste alla panna. Non rimasugli, badi bene: cibo fresco, intatto. Il primo giorno ne tenni un po’ da parte, per paura di restare senza. Alla fine dovevo buttarlo, tanto ne rinvenivo. E chiunque incontrassi, sempre lo stesso ritornello: “No money? No problem”. Il traghetto per Cipro me lo pagò un controllore».

E una volta a Cipro?
«Dalla zona turca non mi facevano passare in quella greca. Chiesi di poter avvertire per telefono l’ambasciata italiana: dormo in una casa diroccata lungo la linea di confine, fra un mese venite a prendere il mio scheletro e rimandatelo in patria. Accorse subito un diplomatico con un biglietto aereo pagato per Tel Aviv. Insistette per darmi 100 dollari di tasca sua: “Lo faccia per me, la prego. Non sopporto che lei vada in giro senza nulla”. A Gerusalemme mi ospitò un frate. Tempo una settimana e mi mandò via perché il mio stile di vita lo angosciava. Tornai da lui dopo 40 giorni a consegnargli la banconota avuta dal funzionario dell’ambasciata. Quasi piangeva: “Non sapevo come pagare un operaio che ha fatto un lavoro nel dormitorio da cui l’ho cacciata. Un conto da 100 dollari esatti. Ed ecco la pazza che trova da mangiare sugli alberi me li ha portati”».

Ma ieri sera, qui a Firenze, che cosa ha mangiato?
«Ho trovato due vaschette di riso alla greca, sigillate, in via dei Servi di Maria. Papà non mi dimentica mai».

E stamattina?
«Un turista straniero in attesa di entrare nel Giardino di Boboli s’è staccato dalla coda e mi ha consegnato un sacchetto bianco con dentro un dolce di riso. Poi è ritornato a far la fila, sorridendomi».

E a Roma?
«Ci sono almeno 60 mense per i poveri».

Chi le procura le medicine?
«Dico a Papà: tu mi hai fatta e tu mi devi aggiustare. Non mi ammalo da anni».

Come riesce a essere così in ordine?
«Alle 9 sono andata nel bagno della Rinascente, quello per disabili, ampio, bellissimo. Un’ora e mezzo di toeletta».

Chi le fornisce il vestiario?
«Nel santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa mi avvicinò una signora, Maria Bordieri, dicendomi: “Le parlo come se fossi sua madre. Una voce mi ha sussurrato: segui quella donna, non abbandonarla».Chiesi: ma lei quanti anni ha? “Quaranta”. Io 54, è la prima volta che una mamma nasce dopo sua figlia. Da tre inverni vivo quattro mesi a casa sua in Sicilia. Ha due figli, è sposata con un camionista. A Natale mi consegnano un pacco dono con dentro tutto ciò che mi serve durante l’anno: abiti, biancheria, scarpe, sapone, dentifricio».

Che ne è della sua pensione?
«Quella di lavoratrice non mi spetta perché per un anno non pagai i contributi. La sociale, 429 euro al mese, finisce a 15 padri del Terzo mondo che così non sono costretti a lasciare la loro famiglia per venire a lavorare in Europa. È un progetto dei carmelitani di Ciampino, si chiama Adotta un papà nella sua terra».

Le capita di fare brutti incontri?
«Mai. Il male ha potere solo se gli diamo potere. Vivo con Colui che il male l’ha sconfitto. La mattina dopo l’elezione, Papa Francesco è andato a pregare nella basilica di Santa Maria Maggiore. Ero lì anch’io, ma ho trovato i cancelli sbarrati. Il pastore dentro e le pecore fuori. Bello, no? Ho saputo da una suora che il Pontefice se n’è lamentato. “È per la sua sicurezza, Santità”, gli hanno spiegato. Ma lui ha replicato: “Non sono indifeso”. Lo dico anch’io: non sono indifesa».

Non pensa che la sua testimonianza sia utopica? Come potrebbe un padre di famiglia crescere i figli e mandarli a scuola senza denaro?
(Attimo di silenzio). «Non lo può fare».

Che cos’è per lei il denaro?
«Liberi si è nell’essere, non nel fare. E quando si è nell’essere, il denaro, che è uno degli strumenti del fare, perde valore».

Col denaro si può ottenere tutto?
«Il denaro può solo provvedere la precarietà. Sa che cosa diceva l’armatore greco Aristotele Onassis, notoriamente assai ricco? Quando un uomo afferma che col denaro si può ottenere tutto, puoi stare certo che non ne ha mai avuto».

Che cosa pensa delle banche?
«Non ne penso. Non fanno parte dei miei pensieri. Affari vostri».

E della crisi economica?
«Mal voluto non è mai troppo. L’uomo è l’unico essere dell’universo che ha bisogno dei soldi. Provi a chiedere a un uccellino perché non ha denaro».

Ai quasi 3 milioni di italiani disoccupati che cosa sente di poter dire?
«Grazie, uomo».

Lei contraddice persino l’Ecclesiaste: «Il vino fa stare allegri, ma il denaro risponde a ogni scopo».
«Papà mi disse: ora chiudi i libri e a noi due, cercami, mettimi alla prova! Per chi si priva dei soldi, la situazione umana diventa quasi tragica. Si viene presi dallo sgomento: che senso ha la vita se non posso più godere di nulla? Ma poi ti accorgi che solo l’assenza di denaro dà la possibilità di rendersi conto della presenza di Dio».

La brama di denaro è davvero alla radice di tutti i mali, come scrive San Paolo a Timoteo?
«No. Il bambino non è meno perfetto dell’adulto e l’uomo non è meno divino di Dio. Solo che…».

Solo che?
«Il troppo avere non ti renda peggiore».

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il video da Repubblica.it



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