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Homo lupi lupus

Da Episteme

Homo lupi lupus

Esemplari di Canis Lupus Italicus


Nella notte tra l'11 ed il 12 luglio 2011, a Sant'Anna di Bellino, in Valle Varaitan, Piemonte, un attacco di tre lupi al gregge del signor Peyrache ha condotto alla morte di 59 capi di bestiame ovino. Un eclatante episodio di un fenomeno che il ripopolamento dell'arco alpino da parte del più famoso e temuto predatore della storia ha reso ormai piuttosto comune.
Una escalation di attacchi, quella degli ultimi anni, che sta minando le basi di una convivenza, quella tra pastori e lupi, mai realmente accettata dai primi, e che si sta deteriorando sempre più rapidamente.
Con il Comunicato n°73 del 14 luglio 2011 l'Assessore all'Agricoltura e Foreste, Caccia e Pesca della Regione Piemonte - nonché Consigliere Comunale della città di Cuneo - Claudio Sacchetto (Lega) ha prontamente chiesto al Governo la possibilità di procedere con abbattimenti selettivi dei lupi.
L’Assessorato, fin dall’inizio, si è schierato con fermezza dalla parte dei pastori e continuerà con convinzione a cercare soluzioni concrete per difendere le loro attività: gli episodi degli ultimi tempi - 82 capi coinvolti in pochi giorni - dimostrano che la presa di posizione della Regione non è fine a sé stessa, ma dettata da una problematica oggettiva che, per colpa di visioni distorte ad opera di alcune realtà, peggiora di anno in anno mettendo in ginocchio l’ecosistema e le fondamentali attività economiche che garantiscono la tutela del patrimonio montano. Ci vuole buonsenso: il lupo non ha più paura dell’uomo e attacca con frequenza. Basta con componenti ideologiche cieche, continueremo a chiedere al Ministero di autorizzarci ad abbattere i lupi qualora non permettano la sopravvivenza di un ecosistema equilibrato: è ora di intervenire, lo chiede la montagna esasperata da agguati e aggressioni. Nonostante le opposizioni, cercheremo con tenacia di porre rimedio alla situazione continuando con il lavoro già avviato con il progetto Propast; la Regione si scontra, purtroppo, non solo con anacronistiche normative internazionali che garantiscono una superprotezione ingiustificata alla specie lupina, ma anche con una particolare insensibilità delle strutture Ministeriali ai problemi degli allevatori e dei pastori. A differenza di altri paesi dove, a fronte della constatazione di gravi danni per gli allevamenti si attivano abbattimenti selettivi in deroga, in Italia sono state predisposte delle procedure che condizionano le decisioni in materia del Ministero dell’Ambiente a organismi autoreferenziali di matrice ambientalista orientati per motivi ideologici a non concedere alcun abbattimento indipendentemente dalla gravità della situazione. La Regione sta predisponendo una riorganizzazione nell’ambito dei risarcimenti e degli interventi attivi a supporto degli allevatori vittime della predazione lupina: si parla dunque non solo del recupero delle carcasse finite in posizioni di difficile recupero, ma anche del sottovalutato problema degli animali feriti (da individuare, recuperare, curare o eutanasizzare): spesso e volentieri l’attacco del lupo, quando non si traduce nella morte della preda, significa giorni di lunga agonia e sofferenza per l’animale ferito. Anche prendere in considerazione tale aspetto significa tutelare la natura.

Nel frattempo, alla Camera dei Deputati, era in corso dal 29 aprile 2010 l'indagine conoscitiva sulla situazione del sistema agroalimentare, con particolare riferimento ai fenomeni di illegalità che incidono sul suo funzionamento e sul suo sviluppo. Questa lunga indagine si è conclusa nella seduta di martedì 26 luglio 2011, con l'approvazione a voto unanime di un documento che, tra le altre voci, permette l'abbattimento dei lupi per prevenire danni al bestiame.
Che il primo evento, in realtà culmine di una serie di episodi succedutisi a breve distanza l'uno dall'altro, unito alle pressioni della Lega Nord, abbia in qualche modo influito sull'esito della votazione è più di un semplice sospetto. L'unanimità del voto, tuttavia, trascende gli interessi di parte, e assurge a simbolo del modus operandi della classe politica italiana: quella che pare una normale votazione su un tema decisamente lontano dai riflettori dei media è in realtà una spia evidente che consente di capire in che modo pensano e lavorano i politici quando il peso dell'opinione pubblica calamitato dai media non ne dirige le azioni.
Malgrado la lunghezza ed il notevole grado di dettaglio dell'indagine svolta dalla Commissione Agricoltura della Camera, infatti, la votazione ha evidenziato alcuni aspetti della politica italiana, del tutto trasversali agli schieramenti, che paiono riassumere al proprio interno l'eterno complesso di mediocrità dei nostri rappresentanti.
In primo luogo, la mancanza di impegno nella ricerca di soluzioni impegnative e a lungo termine, a favore di semplicismi che possono dare qualche risultato nell'immediato a scapito di maggiori risultati futuri. La consueta miopia italica, che in questo caso sfocia in una dichiarazione di impotente violenza. Aprire la caccia - preventiva - ai lupi significa infatti dichiarare l'impossibilità, o la mancanza di volontà, di instaurare qualsiasi tipologia di convivenza tra due specie predatorie, l'uomo e il lupo. Significa affermare che nell'ambiente, pur rurale e semiselvatico, delle montagne italiane non c'è posto per i lupi. Significa inoltre ritenere che non può esservi sviluppo umano in ambito montano se non attraverso l'esercizio della pastorizia, che l'uomo non è disposto a modificare le proprie attività economiche cercando di utilizzare il lupo come valore aggiunto. Come scrive il WWF Italia in un comunicato stampa relativo ad una lettera aperta inviata dal presidente dell'associazione Leoni alla Commissione Agricoltura della Camera,
è veramente colpa del lupo se la pastorizia è in crisi o se l'allevamento non è più redditizio? È colpa del lupo la crisi profonda della montagna?

La decisione presa dalla classe politica di maggioranza e opposizione denota tutta l'incapacità di pensare a nuove e coraggiose forme di utilizzo dell'ambiente montano e l'incapacità di rovesciare il secolare paradigma del lupo come nemico dell'uomo e dello sviluppo umano.
Il secondo aspetto, comune a tante decisioni del Parlamento, è l'assoluta mancanza di riguardo per le direttive comunitarie. Il lupo è protetto in quanto specie in via di estinzione dalla Convenzione di Berna, che recita, agli articoli 6 e 7:
Article 6
Each Contracting Party shall take appropriate and necessary legislative and administrative measures to ensure the special protection of the wild fauna species specified in Appendix II. The following will in particular be prohibited for these species:
all forms of deliberate capture and keeping and deliberate killing;
the deliberate damage to or destruction of breeding or resting sites;
the deliberate disturbance of wild fauna, particularly during the period of breeding, rearing and hibernation, insofar as disturbance would be significant in relation to the objectives of this Convention;
the deliberate destruction or taking of eggs from the wild or keeping these eggs even if empty;
the possession of and internal trade in these animals, alive or dead, including stuffed animals and any readily recognisable part or derivative thereof, where this would contribute to the effectiveness of the provisions of this article.
Article 7
Each Contracting Party shall take appropriate and necessary legislative and administrative measures to ensure the protection of the wild fauna species specified in Appendix III.
Any exploitation of wild fauna specified in Appendix III shall be regulated in order to keep the populations out of danger, taking into account the requirements of Article 2.
Measures to be taken shall include:
closed seasons and/or other procedures regulating the exploitation;
the temporary or local prohibition of exploitation, as appropriate, in order to restore satisfactory population levels;
the regulation as appropriate of sale, keeping for sale, transport for sale or offering for sale of live and dead wild animals.

Il lupo è naturalmente menzionato nell'Appendice 2. Solo in caso di reale e grave pericolo per l'uomo sono ammesse deroghe a quanto prescritto dalla Convenzione di Berna, e difficilmente la caccia preventiva potrebbe rientrare in questa categoria.
Il terzo elemento è naturalmente il cui prodest. A chi giovano le uccisioni dei lupi? La risposta più semplice sono naturalmente i pastori, le cui greggi, affermano, sono messe a repentaglio da questo predatore. Tuttavia questa risposta è del tutto insufficiente per una decisione politica così sproporzionata. In realtà i lupi, così come gli uccelli rapaci e in una certa misura anche l'orso, sono un fattore determinante per tenere sotto controllo la popolazione di ungulati, in special modo cinghiali e caprioli, il cui numero dopo le massicce reintroduzioni a scopo venatorio è cresciuto a dismisura con notevoli danni per gli agricoltori. A chi giova quindi l'eliminazione di un predatore naturale? Naturalmente ai cacciatori, i veri destinatari, secondo le intenzioni, della votazione.
Un quarto elemento che suscita disappunto è che la decisione, ad esplicita dichiarazione della Commissione Agricoltura, è stata presa senza che siano a disposizione sufficienti dati per quantificare i danni provocati ad agricoltura ed allevamento dalla fauna selvatica. Si potrebbe aggiungere che la decisione è stata presa senza conoscere le reali numeriche demografiche della popolazione lupesca in Italia. Decidere, ad esempio, che i lupi in Piemonte sono troppi tout court è un'azione scriteriata: in realtà, in Piemonte sono stati censiti quattordici branchi, nove nel cuneese e cinque nel torinese, per un totale di circa una settantina di esemplari. Sicuramente troppo pochi per considerare la popolazione al di sopra del rischio di estinzione, e sicuramente pochi per le disponibilità di prede offerte dalla regione. Affermare che sono troppi settanta elementi significa di fatto affermare che è impossibile la convivenza tra le due specie: se è troppa una quantità di lupi al limite della massa critica per scongiurare l'estinzione non è molto diverso dall'autorizzare lo sterminio. La Commissione Agricoltura della Camera, collegando i vari passaggi del ragionamento, ha approvato un documento in cui, ammettendo di non aver dati a sufficienza, si minaccia la sopravvivenza stessa di una specie su buona parte del territorio italiano.
Infine, ma forse è il passaggio più importante in assoluto, la politica ha dimostrato di non aver ancora imparato a convivere con i moderni mezzi di informazione e a misurarsi con i loro fruitori.
Se in passato infatti una votazione su un tema come l'apertura della caccia a questa o quella specie poteva essere un tema in grado di calamitare l'opinione pubblica per il tempo di un servizio al telegiornale, restando poi confinato nella sfera degli ambienti della caccia, del settore primario e delle associazioni ambientaliste, ora il tam tam mediatico consente una diffusione e una condivisione delle notizie molto più rapida e capillare, arrivando a portare lo sdegno per una simile decisione a segmenti di popolazione che difficilmente, solo vent'anni fa, sarebbero stati coinvolti. Si stanno moltiplicando in rete le iniziative contro la decisione della Commissione, a partire da petizioni on-line anche se è naturalmente Facebook a fare la parte del leone con la fondazione di gruppi quali quello di vittimedellacaccia.org.
Vi è tuttavia un aspetto ancora più sottile: gli stessi cacciatori paiono tenere in maggior conto gli impatti mediatici di una simile decisione, arrivando, come evidenziano alcuni commenti su un sito generalmente considerato "estremista" come BigHunter a osteggiarla a causa della cattive luce in cui metterebbe il movimento venatorio.
Si assiste quindi ad un altro, gravissimo esempio di scollamento tra la classe politica e la popolazione del Paese, non tanto per la generale impopolarità di cui soffrirebbe la conversione in legge di un simile documento, quanto per l'incapacità da parte di chi siede in parlamento di cogliere le correnti di opinione che attraversano l'Italia.

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