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Horror Street: Intervista con Jack Ketchum

Creato il 19 aprile 2011 da Alessandro Manzetti @amanzetti
Horror Street: Intervista con Jack Ketchum
Intervista con Jack Ketchum
[Alessandro Manzetti] Hai scelto come pseudonimo, il nome di un celebre bandito, Tom Black Jack Ketchum, re delle rapine ai treni, impiccato nel 1901 a Clayton. Quale è il motivo di questa scelta? Cosa hai in comune con Black Jack Ketchum? Ti consideri anche tu un fuorilegge, almeno nella letteratura?
[Jack Ketchum] I fuorilegge di solito vanno in carcere o finiscono peggio. Quindi no, non mi considero un fuorilegge,  anche se mi hanno messo nella  Outlaw Bible Of American Literature. Una parte della mia narrativa è dura, lo ammetto, ma in realtà ho il cuore tenero. La cosa che mi è piaciuta subito di Black Jack Ketchum è stata il suo nome, che può essere pronunciato prendilo (catch him). Poi ho trovato bellissime la sue ultime parole prima di essere appeso alla forca. Sarò all’inferno prima che finiate la colazione, ragazzi!
[AM] Prima di diventare scrittore a tempo pieno, hai fatto il cantante, l’attore, l’insegnante, il venditore di legname, anche agente letterario alla Scott Meredith. Puoi raccontarci questa esperienza? E’ vero che tra i tuoi clienti c’era anche un certo Henry Miller?
[JK] Sì, sono stato l’agente di Henry per alcuni anni. Un uomo delizioso, una bellissima esperienza. Tutta la storia è raccontata nel mio piccolo libro di memorie, Book of Souls. Ho lavorato come agente per circa tre anni e mezzo, gestendo progetti per grandi artisti del calibro di Henry, Robert Bloch, Nick Tosches e Marion Zimmer Bradley e altre cose per Arthur C. Clark, Norman Mailer, Evan Hunter (Ed McBain), e molti altri. Ma il lavoro all’agenzia  è stato estenuante, spesso estremamente disgustoso. Sono arrivato a chiamarla Agenzia Letteraria Cosmodemonic. Ho imparato tantissime cose, ho incontrato un sacco di editori, abbastanza per far partire la mia carriera; alla fine ho dovuto smettere di fare l’agente, prima di impazzire.

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foto di Steve Thornton


[AM] Il tuo romanzo d’esordio, Off Season (1981) è caratterizzato da un crudo realismo, usi il linguaggio come un rasoio, le scene sono estremamente brutali e sanguinose. Le dinamiche della storia e il tema del cannibalismo ci fanno venire subito in mente The Hills Have Eyes  di Wes Craven. Cosa c’è di diverso in Off Season?
[JK] Ci deve essere stato qualcosa nell’aria all’epoca, qualcosa a che vedere col cannibalismo, perché Craven stava girando il suo film nello stesso periodo in cui io ho iniziato a scrivere Off Season. Credo che il mio libro sia caratterizzato da un maggior realismo, con meno lacune nella trama, e poi non ci sono cani. Ma non fraintendermi, il film di Craven è bello, divertente.
[AM] E’ sempre la realtà la vera protagonista delle tue storie, niente soprannaturale, il fantastico cede il passo all’orrore quotidiano, a una inquietante super-realtà.  Il tuo romanzo The Girl Next Door (1989) è ispirato da una storia vera, quella di Gertrude Baniszewski e le sue torture, bambini e ragazzi coinvolti in violenze e incubi, una storia che sfiora alcuni temi de Il Signore delle Mosche di William Golding.  Cosa ti ha colpito di questa storia per convincerti a scrivere un romanzo e quali differenze ci sono nella tua interpretazione? L’adattamento cinematografico di Gregory Wilson (The Girl Next Door 2007) cosa è riuscito a esprimere in più o in meno rispetto al libro?
[JK] Ci sono parecchie cose da dire su questa storia, molti temi e questioni: Isolamento, segreti, la mentalità da mandria, gli adulti che manipolano gli adolescenti, le donne che odiano le donne, la solitudine, il fascino e la natura della crudeltà, ho speso tutti questi temi includendo la falsità del benessere nei sobborghi americani dopo la guerra, spingendo indietro nel tempo la storia, e, naturalmente, iniettando un elemento di innocenza e di giovane amore. Credo che il film sia estremamente fedele ai personaggi, ai temi e allo spirito del mio romanzo. Ho capito che tutti gli interessati volevano proteggere l'integrità del libro. Una cosa che avviene davvero molto raramente nei film. Il cast, la troupe, gli sceneggiatori, hanno fatto tutti un lavoro fantastico. A causa di problemi di budget hanno dovuto cambiare leggermente il mio finale, ma tutto sommato sono molto orgoglioso di questo lavoro.

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foto di Steve Thornton


[AM] La raccolta Peaceble Kingdom (2002) contiene storie diverse che spaziano tra argomenti e generi, dalla fantascienza al racconto nero, dalla suspence story all’horror. Tra pagine surreali è sempre l’uomo al centro delle tue storie, con tutte le sfumature delle oscurità del suo cuore. Nella raccolta Closing Time And Other Stories (2007) gli obiettivi sembrano gli stessi, con maggiore penetrazione sulla psicologia umana, che riesci a sondare tramite un grande specchio dove si riflettono la violenza, la follia, l’irrazionalità, il lato peggiore di noi stessi. Siamo noi a vederci in quello specchio, in fondo. Puoi scegliere due racconti di queste raccolte e parlarcene?
[JK] I miei due pezzi più popolari di Closing Time And Other Stories sono Returns e Closing Time,  non potrebbero essere più diversi tra loro, quindi credo di dover parlare proprio di questi. Returns è una mia rara storia di fantasmi, racconta di un ragazzo che dopo essere stato rimasto bloccato nel traffico torna  a casa  dalla moglie arrabbiata e alcolizzata, già sul punto di fare qualcosa di terribile al suo amato gatto. Avevo da poco fatto sopprimere un gatto al quale ero molto affezionato, le mie emozioni in quel momento correvano piuttosto profondamente dentro di me. Closing Time è una sorta di pietra miliare per me. Stavo parlando con Peter Straub, un pomeriggio poco dopo il crollo del World Trade Center e abbiamo scoperto di avere lo stesso problema. Non si può pensare di scrivere qualcosa di più terribile di quello a cui aveva appena assistito la nostra città, eravamo completamente bloccati nel nostro lavoro. Closing Time è stata la cosa che dopo qualche mese mi ha consentito di interrompere questo silenzio narrativo. Decisi di scrivere di terrorismo, su piccola scala personale, ambientato la vicenda subito  dopo l’11 settembre, intrecciandola con la storia del mio rapporto concluso con una donna che avevo amato per alcuni anni. Pensavo di scrivere di terrorismo. Ma quando ho letto le mie pagine mi sono reso conto che stavo scrivendo qualcos’altro - stavo scrivendo di perdite.

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foto di Steve Thornton


[AM] Stephen King ha definito il racconto rispetto al romanzo come un bacio veloce di uno sconosciuto nel buio, tu come lo definiresti?
[JK] Una breve relazione, non un matrimonio
[AM] Nel tuo romanzo Lost (2001) il tuo stile sembra diverso rispetto alle altre opere precedenti, la scrittura diventa ipnotizzante, nonostante un incipit davvero potente, esplori i dettagli dei personaggi con un microscopio, rendendo evidenti le più piccole parti. Queste differenze nel tuo linguaggio, nel ritmo e nell’atmosfera, sono dovute al desiderio di sperimentare? Cosa ne pensi di questo romanzo?
[JK] Questo romanzo mi piace, anche se parecchia gente che conosco non lo ha apprezzato granchè. Però nessuno di loro è mai stato in grado di spiegare davvero il perché. Quanto allo stile, beh, io non sono stilista. Non puoi prendere uno dei miei romanzi o dei miei racconti e sentire la stessa voce ogni volta. Io non sono Cormac McCarthy o Hemingway. Adatto lo stile e la struttura della storia ai personaggi e alle situazioni che ci ho messo dentro. Potresti ascoltare qualche eco di McCarthy in Red, per fare un esempio, oppure potrsti trovare qualcosa di Raymond Chandler nella mia novella Sheep Meadow Story. Una volta ho cercato di trovare il suono, la voce di Henry Miller. Non ci sono riuscito

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foto di Steve Thornton



[AM] Come nasce la tua novella The Crossings, un western-horror ambientato in Arizona, dopo la fine della guerra messicana? Pensando al selvaggio west, hai mai pensato di scrivere un romanzo con protagonista il tuo omonimo Black Jack Ketchum?
[JK] La vera storia di Black Jack non era poi così interessante, anche se molto pittoresca. Preferisco lasciarla ai libri di storia. The Crossings è nato come una sceneggiatura, ho scritto circa 15 pagine poi l’ho messa da parte per occuparmi di progetti diversi, qualche libro o altro. Poi ho visto Unforgiven, il film di Clint Eastwood: era così dannatamente bello che ho tirato di nuovo fuori quello che sarebbe diventato The Crossings seguendo un nuova prospettiva, decidendo che doveva nascere in prosa, poi, magari più avanti, sarebbe potuto anche diventare un film.

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foto di Steve Thornton


[AM] Come immagini il tuo futuro in questo momento?
[JK] Innamorato e non intubato
[AM] E ora, le due domande classiche di Horror StreetIn questa rubrica cerchiamo di comprendere i nuovi scenari della letteratura horror, attraverso l’esperienza diretta degli autori. Quali sono le nuove tendenze dell’horror? Puoi segnalarci nuovi autori che stanno portando avanti progetti originali?
[JK] L'unica nuova tendenza oggi percepibile nell’horror è piuttosto scoraggiante: vampiri adolescenti e sexy. Gente che scrive molto bene, che sviluppa cose originali, come Graham Joyce, TM Wright, Tim Lebbon, King e Straub, Ed Lee, Thomas Tessier, Joyce Carol Oates, Ian McEwan, Joe Hill, Stewart O'Nan, Charlie Huston, Ian Banks, Elizabeth Massie (me ne dimentico sicuramente parecchi altri, lo so) non sono certo esordienti o novità, si tratta della vecchia guardia, ad eccezione di Hill. Penso che Sarah Langan stia facendo davvero un buon lavoro, come Youers Rio.

[AM] Lasciamo immaginare al lettore di percorrere una strada oscura e solitaria per tornare a casa, e di dover girare l’angolo. Cosa (o chi) incontrerà?
[JK] Al college ho scritto una breve sceneggiatura chiamata Small Woods Where I Met Myself. Utilizzerei quella idea.
Grazie a Jack (o meglio, Dallas) per essere stato ospite del Il Posto Nero.
Segnalo che domani a Palermo presso il Palab alle ore 20 ci sarà la prima visione nazionale in lingua italiana del film The Lost, con il collegamento dopo la proiezione con Jack Ketchum, il regista Chris Sivertson e l'attore protagonista Marc Senter. Per partecipare è necessario registrarsi per il tesseramento on line di Palab, per info e contatti: 331.273.4118 - 329.787.4001.

 Profilo dell'Autore
Jack Ketchum, pseudonimo di Dallas Mayr (Livingston -New Jersey- 10 novembre 1946). Il suo romanzo d'esordio nel 1981, Off Season, ha gettato le basi per una serie di romanzi e racconti dove il protagonista assoluto è l'uomo, una creatura sorprendentemente ambigua che si dimostra essere la bestia più temuta. Molto spesso i racconti di Ketchum si basano su fatti realmente accaduti: in particolare, il suo romanzo The Girl Next Door che nel 1989 sconvolse l’America è ispirato dal delitto del 1965 di Sylvia Likens, nell'Indiana. Nel corso degli anni, Ketchum ha ricevuto numerosi Bram Stoker Award  per opere come The Box, Closing Time, Peaceable Kingdom e per il racconto Gone. Molte delle sue opere sono diventate dei film, tra cui The Lost, il controverso The Girl Next Door, Red. L'ultimo adattamento cinematografico di un'opera di Ketchum è The Woman, presentato al Sundance Film Festival nel Gennaio 2011. Nel 2011 ha ricevuto il World Horror Convention Grand Master Award per il grande contributo offerto al genere horror Sito dell'autore
Tra i suoi romanzi: Off Season (1980), The Girl Next Door (1989), Offsprings (1991), Red (1995), Ladies’ Night (1997) Right to Life (1998), The Lost (2001), The Crossings (2004), Old Flame (2008), The Woman (2010). Ta i suoi racconti: The Box (1994), The Rifle (1995), Sheep Meadow Story (2001), Gone (2002), Closing Time (2003), Returns (2005),  inseriti nelle antologie Peaceble Kingdom (2002) e Closing Time and Other Stories (2007). Adattamenti cinematografici delle sue opere: The Lost (2006) di Chris Sivertson, The Girl Next Door (2007) di Gregory Wilson, Red (2008) di Lucky McKee, Offsprings (2009) di Andrew Van den Houten. L'adattamento cinematografico di The Woman è stato completato nel 2011, scritto da Jack Ketchum e Lucky McKee.

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Intervista di Alessandro Manzetti
HWA Associate Member
leggi l'intervista in lingua originale

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