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House of Cards (2013) [telefilm]

Creato il 30 maggio 2013 da Elgraeco @HellGraeco

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Segnalatami dall’amico Angelo, House of Cards è una serie incentrata sul political drama. Scopro che è un adattamento di una miniserie omonima della BBC, a opera della statunitense Netflix.
Si fa notare subito per un grandissimo nome, nei titoli di testa del primo episodio: David Fincher, che cura la regia.
Protagonista Kevin Spacey, nei panni di Frank Underwood, membro del Congresso impegnato nella sua personale scalata al potere.
Spariamo subito qualche cifra. La prima stagione è stata girata su un set enorme, dove hanno ricostruito tutti gli ambienti che vedremo, di volta in volta, comparire: la stanza ovale, la casa di Underwood, le redazioni dei giornali, etc…
Quando dico enorme intendo che è enorme sul serio: uno scorcio di Washington è stato ricostruito su un’area di circa 28.000 m².
Mentre le sequenze in auto sono tutte frutto di camera verde e CGI.
E lo sforzo produttivo non è l’unica caratteristica notevole.
Massima libertà, infatti, è stata concessa dall’emittente al gruppo di lavoro dietro House of Cards, a partire da David Fincher. Libertà assoluta nella scelta dei temi trattati, e nel modo di presentarceli, nella fattispecie con un cinismo esasperante, per quanto realistico.
Terzo elemento di pregio, la prima stagione è stata trasmessa interamente in streaming dallo Streaming Service Netflix, una scelta in perfetta armonia col presente.

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La serie è attualissima.
Il tema la politica. La politica interna degli Stati Uniti d’America, una volta lo stato più ricco e potente del mondo.
Ora un po’ preoccupato, tra le altre cose, dal debito pubblico.
Politica che, lo sapete, non è tra i miei argomenti preferiti.
E tuttavia non la rifuggo. Solo che la trovo spessissimo trattata in maniera superficiale e, per l’appunto, politicizzata, da questa o da quell’altra fazione.
House of Cards non mi ha dato quest’impressione.
La scelta è stata quella di prediligere il lato democratico della politica americana. Scelta che adoro, perché risulta ancora più incisiva, rispetto alla controparte repubblicana, sulla quale si ama sparare a zero.
E badate, non è un discorso politico, il mio. Ma di narrazione.
Che l’interesse, la sete di potere, l’ambizione, siano l’humus che muove ogni intento politico dietro la cortina di idealismo e populismo non ve lo devo certo spiegare io. Il fatto che Frank Underwood sia un esponente del partito democratico non fa che rendere la messinscena almeno dieci volte più intrigante.

Ma questo è solo il fascino superficiale. Durante le vicissitudini, assistendo alla continua partita a scacchi di un solitario (sempre Underwood) che, deluso per la mancata nomina a Segretario di Stato, decide di lavorare ai fianchi la neo-eletta Presidenza degli Stati Uniti, favorendo o boicottando manovre importantissime, come la riforma dell’istruzione o la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro, per il proprio tornaconto è più che splendido: è sublime. In un senso perverso.

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È la politica come la si conosce dal sentito dire, dalle voci di corridoio, è il volto ufficioso rispetto a quello ufficiale, che sappiamo essere quanto meno manovrato da decine, se non centinaia di esperti di pubbliche relazioni.
Esempio illuminante, la scelta del candidato per la corsa a Governatore. Il Governatore di uno Stato dell’unione. Non importa chi sia, importa l’immagine che si riesce a trasmettere al pubblico. Le debolezze, il fatto che questo candidato sia inadatto, o con un passato oscuro, nemmeno quello importa, perché il passato oscuro, fatto di tossico-dipendenza, diventa un’arma, se dichiarata all’inizio della campagna, la parola magica è: trasparenza.
Da contraltare alla politica, il giornalismo, che l’accarezza, la seduce e da essa si fa sedurre. O abusare. La stampa è ben rappresentata da Kate Mara (sorella maggiore di Rooney), qui Zoe Barnes, reporter d’assalto di uno dei maggiori quotidiani di Washington, che innesca (è il caso di dire) una relazione fatta di scambi col senatore Underwood, divenendo per lui il “braccio armato”, scrivendo in anticipo notizie vitali per la politica e decretandone anzitempo, a seconda del tono dell’articolo, il successo o il fallimento, o quantomeno contribuendone in maniera decisiva.
I personaggi sono veritieri, vividi, reali. Mercanteggiano come fosse la vendita delle indulgenze, in un luogo in cui si prendono decisioni vitali per l’intero pianeta.
Da spettatore, si assiste a ciò che, inutile ingannarsi, si pensa avvenga in certe stanze, quelle dei bottoni, e che non avevamo mai visto. E che lo si faccia con tale gratuità disarmante è stupendo. E al tempo stesso tragico, perché ci ridimensiona.

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Parlando del cast, impossibile non menzionare Robin Wright, nel ruolo di Claire Underwood, moglie di Frank. A dire il vero l’unico personaggio un po’ stereotipato, nell’insieme. Risponde al vecchio detto della grande donna dietro un grande uomo, anche se stavolta entrambi sono dotati di una moralità grigia, che definire opportunistica sarebbe un eufemismo. Stereotipata non tanto nella natura affaristica del suo legame affettivo con Frank, basato sull’assoluta fiducia reciproca e collaborazione, quanto sulla natura di donna negata, a cui è stata sconsigliata la maternità per restare concentrata sulla carriera.
Altra particolarità a cui ci si deve abituare è che Frank/Kevin Spacey si rivolge, in intermezzi che rappresentano il pensiero del protagonista, direttamente al pubblico, ossia vi guarda e comincia a spiegare quello che sta succedendo, a fare calcoli sulla probabilità di chiudere questo o quell’altro affare e via dicendo. Sa di spiegone, atto a sviscerare sfumature politiche che, data la complessità di temi e intreccio, potrebbero far smarrire l’aucience. Oppure no, oppure è solo e soltanto il pensiero di Frank. All’inizio ci si deve fare l’abitudine, poi contribuisce a creare empatia col personaggio.
Trattasi quindi di teatro della politica, continue macchinazioni e speculazioni, cambi di fronte e utilizzo di risorse per secondi fini mai del tutto chiari, almeno all’inizio. Non è un thriller, anche se non ci vengono risparmiate, in nome di quella liberà d’espressione iniziale, certe cattiverie notevoli. E poi, interpreti e realizzatori sono di prim’ordine. Per resa e professionalità.
In lavorazione la seconda stagione.
Consigliatissimo.

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