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Humandroid

Creato il 07 aprile 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2015
  • Durata: 120'
  • Distribuzione: Warner Bros Italia
  • Genere: Fantascienza
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Neill Blomkamp
  • Data di uscita: 09-April-2015

Arriva nelle sale italiane dal 9 Aprile Humandroid, l’ultimo film di Neil Blomkamp

Sinossi: Ogni bambino viene al mondo pieno di promesse e Chappie non è da meno: dotato, speciale, un vero prodigio. Come ogni bambino, Chappie verrà influenzato da chi lo circonda – nel bene e nel male – e farà affidamento al suo cuore per trovare il proprio posto nel mondo e diventare l’uomo che ha sempre voluto. Ma c’è una cosa che rende Chappie diverso da tutti gli altri: lui è un robot. Il primo robot capace di pensare e provare sentimenti autonomamente. La sua vita, la sua storia, cambieranno il modo di vedere rispetto ad umani e robot per sempre.

Recensione: Su questo ultima prova registica di Neill Blomkamp si è già molto scritto, e i pareri della critica sono stati abbastanza unanimi nel contestare l’utilizzo massiccio di clichè cinematografici di genere che rendono il film un pasticcio, in cui la narrazione si appiattisce su elementi già ampiamenti metabolizzati dal pubblico amante della fantascienza, soprattutto ascrivibile a un periodo molto prolifico come quello degli anni ottanta.

Osservazioni certamente condivisibili, e il film, in effetti, non cattura eccessivamente l’attenzione per la maggior parte della sua durata, ma per fortuna Blomkamp, che è anche lo sceneggiatore del film, tocca, anche solo alludendovi, delle questioni interessanti, decisive direi, come quella del rapporto creatore – creatura, violando la sacralità dell’afasia da teologia negativa (in teologia si danno solo domande non risposte, o, se preferite, non si può parlare di Dio con Dio……). Qui il creatore, interrogato dalla creatura, parla, tenta di fornire delle spiegazioni, cerca di rendere conto dell’assurdità della morte, quando Chappie, il robot dotato di coscienza, non comprendendo la logica sottesa a un esito così funesto, lo incalza, e la sua ingenua disperazione riesuma in chi osserva un quesito da tempo accantonato, che torna a riproporsi con forza. C’è un osmosi tra creatore e creatura che riequilibra l’asimmetria costitutiva del rapporto, e si vive la sensazione di poter accedere a un sapere da sempre negato; è come se si regredisse allo stato infantile di Chappie, riappropriandosi della velleitaria volontà di comprendere cioè che è avvolto da un alone di mistero impenetrabile. E poi c’è l’altrettanto delicatissima questione della resurrezione, declinata in salsa postmoderna, ove la tecnica (diceva Martin Heidegger: “l’essenza della tecnica non è nulla di tecnico”, nel senso che si tratterebbe di un modo tutto nuovo di essere nel mondo) offre la possibilità del miracolo, che perde la specifica qualità della ‘rarità’, diventando indefinitivamente accessibile. Si tratta non di una resurrezione della ‘carne’, ma di una mutazione, in cui la protesi meccanica dallo stato originario di appendice diviene il corpo ‘glorioso’ su cui trasferire i dati della coscienza: una trasferimento dell’anima che ricorda quello della carne di Cronemberg in The fly. La vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche se impiantata su un corpo meccanico, e la coscienza rimane un flusso, un soffio vitale che dona il movimento agli oggetti inanimati. C’è in gioco una lettura della biopolitica della tecnica che, a scapito dei detrattori che solitamente la stigmatizzano come disumanizzazione, o manipolazione che violerebbe l’essenza della specie, finalmente si mostra nel suo aspetto positivamente progressista, in grado quindi di garantire un processo di immunizzazione comunitario, volto a produrre una secolarizzazione che, invece di schiacciare o limitare l’arbitrio del soggetto, ne consentirebbe la definitiva liberazione.

Un film, dunque, quello di Blomkamp, tutt’altro che non riuscito, anzi forse più ispirato dei precedenti per i temi trattati, e l’utilizzo di un plot per certi versi già visto si rivela funzionale al trattamento della narrazione, che, nei suoi punti salienti, offre allo spettatore degli spunti di riflessione per niente banali.

Insomma, si può vedere.

Luca Biscontini


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