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I 50 anni di El General: da re del reggaetón a Testimone di Geova

Creato il 15 settembre 2014 da Eldorado

Compie cinquanta anni e con lui, è lecito affermare che compie gli anni anche il genere che ha portato di moda, quel reggaetón (o il reguetón per dirla in castigliano cantato) che è carta d’identità e motivo di orgoglio dei latinos del barrio, siano delle periferie assolate dei Caraibi o impiantati negli Usa. Il generale, El General, compie insomma il mezzo secolo. Edgardo Franco, questo il suo vero nome, è nato a Panama il 27 settembre 1964. Alto, dinoccolato, con nonni giamaicani e trinitari, l’accento marcato, passa a Panama tutta la sua gioventù. Cresce nel quartiere di Río Abajo, un nome che è tutto un programma, dove la povertà è di casa e dove le vie hanno i nomi latinizzati della noiosa topografia gringa: Calle 93 Oeste, Calle 91 Oeste e così via. Sono nomi che al momento non dicono niente, ma che diventeranno un marchio di fabbrica per i gruppi di hip hop e di reguetón, sinonimo di provenienza e di appartenenza, dall’ovest di Los Angeles a Santo Domingo, da Porto Rico a Panama.
Edgardo Franco canta, compone canzoni già da piccolo ma il primo contatto con la musica ce l’ha quando comincia a vendere bibite ai concerti. È il massimo a cui può ambire standosene a Panama, un posto dove dove saranno anche nati Rubén Blades e Billy Cobham, ma che rimane sempre un angolo di periferia. Se ne va però a diciannove anni, grazie ad una borsa di studio in amministrazione aziendale e se ne va a New Yok, dove da qualche anno si è trasferita la madre. Un bel salto, per uno che è nato in un barrio povero ed un salto che gli indica una strada noiosa ma sicura, quella dell’aiutante in uno studio di commercialista. Franco, però non pensa alla carriera in giacca e cravatta. Incontra Michael Ellis, panamense come lui, di cinque anni più vecchio e con cui instaura un’amicizia ed un rapporto musicale e commerciale che servirà ad entrambi a diventare ricchi e famosi. Cominciano le prime registrazioni (¨Tu Pum Pum¨, nel 1989) ed Edgardo si presenta in tivù e nei video vestito in giubba militare, con mostrine e medaglie. Con quel nome commercialmente improbabile, per tutti diventa il generale, El General ed inizia a sfornare successi uno dopo l’altro. Lui ed Ellis, con Tony Rodriguéz, mischiano il reggae all’hip hop e forse non lo sanno, ma hanno appena creato un mostro. La musica ispira voglia di ballare, i testi parlano di feste, ragazze formose, machos arrapati, misoginia che cola ad ogni nota, il tutto rafforzato da facili e sfruttati doppi sensi. Uno su tutti, quello del ¨Caramelo¨: ¨a todas las mujeres le gusta el caramelo, lo chupan y lo chupan porque las entretiene¨ gli vale un successo da milioni di copie ed un tormentone che percorre in lungo e in largo il continente americano nella stagione 1992. Intanto, il video di ¨Muévelo muévelo¨ vince il premio come miglior video latino di MTV. Non è solo l’inizio di una carriera, ma di un’epoca. È lo stesso Michael Ellis a battezzare il nuovo genere: deve essere un reagge in grande, dice, quindi bisogna usare un maggiorativo, che termini in –ón. Nasce così il reggaetón che si spande a macchia d’olio per tutti i Caraibi, il Centroamerica e le periferie latine delle città degli Stati Uniti. El General cavalca l’onda e piazza altri successi almeno fino a quando l’età ed il pubblico glielo permettono. Trentadue dischi d’oro, diciassette di platino, una valanga. Anche Celia Cruz lo chiama a cantare con lei. Tempo fugit, però.
Nel 2004, a quaranta anni El General non è più un idolo giovanile. Esibirsi cantando ¨Tienes unas caderas que parecen carreteras¨ diventa difficile senza cadere nel ridicolo. L’allora presidente, anzi la presidenta, Mireya Moscoso gli toglie anche il passaporto diplomatico con cui viaggiava per rappresentare Panama e la sua musica. Degradato sul campo, insomma. La crisi esistenziale è dietro l’angolo e il generale appende definitivamente la divisa nell’armadio dei ricordi. Ritorna civile e come civile cerca un credo e lo trova nei Testimoni di Geova che, naturalmente, lo abbracciano e lo accolgono nella loro fede. Per un po’ se ne perdono le tracce poi, dopo anni, una troupe televisiva lo riprende mentre con altri Testimoni, borsello a tracolla e panama calato in testa, il jipijapa a ripararsi dal forte sole, fa proselitismo. È uno dei tanti che bussano alle porte. Dice di occuparsi di progetti sociali e di avere una fondazione, Niños pobres sin fronteras. Una sorta di espiazione in vita per quanto fatto negli scapigliati anni di gioventù.


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