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I favolosi anni Ottanta: Club to Catwalk al Victoria and Albert Museum

Creato il 05 febbraio 2014 da Nebbiadilondra @nebbiadilondra
Mai come negli anni Ottanta Londra è stata l’ombelico del mondo. Soprattutto quando si parla di nuove tendenze. E anche se la mia dolce metà inorridisce solo al sentirmelo dire, avrei voluto esserci. O almeno passarci. Erano gli anni in cui David Bowie regnava sovrano - gli anni post Ziggy Stardust e Aladdin Sane, quando personaggi come Boy George e i fratelli Martin e Gary Kemp investiti dal ciclone David Bowie, fondano rispettivamente i Culture Club e gli Spandau Ballet. Erano gli anni di Adam Ant e del suo costume da pirata e di George Michael con le T-shirtst di Katharine Hamnett con scritte provocatorie contro il regime della Thatcher...

Katherine Hamnett T-shirt that says 'stay alive in 85'

T-shirt designed by Katherine Hamnett in 1984. Photograph: Mike Kitcatt/Victoria and Albert Museum, London

E visto che ho vissuto tutto questo solo da lontano, ora non mi resta altro che divertirmi con Club to Catwalk al Victoria and Albert Museum. Mostra che ha per tema la moda a Londra negli anni Ottanta, quando una nuova generazione di stilisti e designers Betty Jackson, Katharine Hamnett, John Galliano, Jasper Conran, Vivienne Westwood, Wendy Dagworthy e Stephen Jones influenzati dalla nova scena musicale  dei club (nel senso di night-club) si danno da fare per reiventare la moda stessa – anche se non necessariamente in modo migliore: chi non  ricorda con  orrore la permanente da barboncino di Kylie Minogue, le maniche a raglan dei maglioni o le "spallone" superimbottite da giocatore di Football Americano delle giacche?

Adam Ant

Adam Ant

Un vero e proprio tuffo nel passato, con tanto di colonna sonora video-musicale che, per gli ex-adolescenti di quel periodo come la sottoscritta, ha lo stesso effetto di una  madeleine di Proust (con tutto il rispetto per il grande francese, ma il paragone rende l'idea) soprattutto quando riportano alla luce dai meandri del dimenticatoio canzoni come questa e questa che rendono impossibile non ballare. Che quelli della mia generazione che per motivi geografici oltre che anagrafici, avevano mancato in un colpo solo la nascita del punk rock (avevo sette anni quando i Clash fecero un concerto a Bologna), non appena raggiunta l’adolescenza cercavano di rifarsi come potevano aggrappandosi disperatamente agli ultimi rigurgiti della New Wave - qualunque cosa fosse (che io all'epoca non l'avevo mica tanto capito...). E la Bologna degli anni Ottanta si ritovò invasa da una folla di adolescenti multicolori che indossavano T-shirts da surfista e il mullet (come si chiamava quel terribile taglio di capelli) o che, volento essere alternativi, giocavano a fare i misteriosi con il Gothic look (che in Italia si chiamava Dark) ispirato a Robert Smith dei Cure. Questi nuovi "looks" in Inghilterra erano documentati  in riviste del settore come The Face e Blitz. E  così ebbe inizio una decade contrassegnata da un modo di vestire al limite della teatralita'. Una moda era senza limiti, liberata, e controcorrente.

I favolosi anni Ottanta: Club to Catwalk al Victoria and Albert Museum

Trojan and Mark at Taboo Derek Ridgers Colour photograph 1986 © Derek Ridgers

 Come ogni adolescente che si rispetti anch’io ero pazza del bellone di turno. Che, nel mio caso (e non solo nel mio), era Simon le Bon il cantante dei Duran Duran. Sognavo che il miracolo accadesse e lui apparisse all’orizzonte per salvarmi da una vita piatta e grigia fatta di mattinate a scuola e di sabati pomeriggio trascorsi con le amiche da Nannucci a spulciare tra dischi che non avrei mai comprato (anche perchè non avevo il giradischi, ma solo un monumentale stereo mangiacassette). Avevo cominciato a studiare ossessivamente l’inglese in caso Simon apparisse al mio orizzonte e in un momento di follia mi ero fatta persino tagliare i capelli come lui con risultati non proprio simili.

Spiky: Simon Le Bon of Duran Duran

Simon Le Bon

Sognavo di sposarlo e mi prese una vera e propria crisi isterica quando la paninara milanese Clizia Gurrado ebbe la mia stessa idea (insieme ad altre migliaia di ragazzine isteriche sparse per il mondo…) e ci scrisse pure un libro, dal titolo (minaccioso) Sposerò Simon Le Bon. Libro che il padre giornalista le fece pubblicare e che (ovviamente) giurai di non leggere mai. E che (ovviamente) mi precipitai a comprare e seppure continuando a negare di averlo fatto. Ironia della sorte, quando eventualmente Simon apparve al mio orizzonte lo fece con dieci anni di ritardo.
Lo vidi per caso proprio a Bologna, intento a firmare autografi all’ingresso del Grand Hotel Baglioni un giorno di Settembre del 1995 quando ormai il mio cuore era tutto preso da Axl Rose e Kurt Kobain. Ma la vita è fatta così: un po’ bastarda…
Fino al 16 febbraioVictoria and Albert Museumwww.vam.ac.uk/

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