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I film dimenticati. “Irréversible”, l’iperrealismo di Gaspar Noé

Creato il 28 novembre 2015 da Fabio Buccolini

Accade spesso che il successo o la popolarità ottenuti da un film siano inversamente proporzionali alle sue qualità oggettive. La partecipazione a un festival prestigioso, la fama degli interpreti, ne sviluppano una sorta di mitizzazione. “Irréversible” non sfugge a questa tipologia. Un’opera in grado di far parlare di sé anche se i temi trattati già sono stati utilizzati più e più volte: il sesso e la violenza.

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Non si può negare che di sesso e di violenza il film ne contenga, ma è ancora più evidente, che al contrario di quello che ci si aspetti da questo tipo di lavori, di questi elementi il film si nutre.
Il film di Noé (grande amante del cinema sperimentale) non è una riflessione sul sesso e sulla violenza; rinuncia ad essa e si concentra sulla narrazione più veritiera possibile dei fatti. E’ una storia vera, di orrore e passione che potrebbe capitare a chiunque, il regista vuole che ti immergi in questa situazione per niente paradossale, e ti fa riflettere su situazioni che fino ad ora potevi vedere solo nei notiziari e alle quali non dai peso più di tanto. Noè vuole che tu prenda consapevolezza della situazione e se ne frega altamente di dare risposte anzi…nemmeno cerca di offrirtele.
Gli interessa costruire un universo distorto e contraddittorio nel quale sezionare minutamente i dettagli. Per far questo Noé utilizza una storia semplice e banale, assolutamente niente di originale; un uomo vuole vendicarsi di colui che ha violentato e picchiato la propria donna, innestando il tutto in una struttura narrativa che procede a ritroso partendo dalla scena finale per concludersi con quella che si trova all’inizio. Nulla di nuovo, la stessa storia e il medesimo procedimento al contrario venne usato in Memento, il capolavoro di Christopher Nolan. Il regista inoltre sceglie la strada del piano-sequenza: lunghissime scene senza stacchi o soluzione di continuità che seguono gli attori nelle loro vicende. Ma il regista si spinge oltre, vuole scardinare la percezione visiva dello spettatore. Noé collega i vari piani-sequenza solo con ottimi movimenti di macchina, non taglia una scena. Questo si può notare soprattutto all’inizio dove le ultime tappe del viaggio alla ricerca dello stupratore ci portano direttamente all’Inferno: un locale per omosessuali (si chiama Rectus) che Noé raffigura con la massima dinamicità possibile, ma accentuando anche la nostra difficoltà di percepire quello che accade (ambienti cupi, pellicola sgranata). Ne viene fuori un tripudio di immagini di difficile definizione, che provocano uno spaesamento a tratti incontrollabile e una raffigurazione che si fa spesso onirica e vagheggiante che frantuma l’illusione di realtà (chiaro omaggio ad “Eyes wide shut di Kubrick).
Grazie ai movimenti di macchina, ai piani-sequenza e alle tante citazioni kubrickine ( la macchina da presa passa e ripassa davanti a un manifesto di 2001: Odissea nello spazio, inoltre la colonna sonora iniziale è sorprendentemente simile alla Marcia funebre che apre Arancia meccanica), “Irréversble” coglie in pieno il suo obbiettivo. Quello di rappresentare efficacemente una realtà e di costruire un universo credibile, tutto con una riproduzione in presa diretta. Il tutto è estremamente realistico; rivela, nasconde, allude e ti sbatte in faccia quello che è…la realtà. In questo senso, è emblematica la scena dello stupro; sconvolge per il suo impatto, volutamente lunga (circa 10 minuti) e cristallizzata in un insopportabile autocompiacimento di maniera teso a provocare la massima repulsione. Noé ci vuole dire: ecco quello che vedete tutti i giorni al telegiornale, non sembrava così atroce, adesso provate a rimanere indifferenti.

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Evito di parlare dell’interpretazione, conosciamo tutti la pochezza della Belluci che, se non fosse per la sua bellezza, non sarebbe mai diventata quella sorta di icona quale è e Vincet Cassel è uno dei migliori attori europei…ho detto tutto.
In conclusione, “Irréversible” sfortunatamente sarà ricordato solo per merito del tanto scalpore suscitato al Festival di Cannes 2002, ma fidatevi recuperate questo piccolo gioiello indipendente duro da digerire, il resto non conta.
I pugni nello stomaco durante la visione sono ben assestati, tirati con lucidità e intelligenza…questo film fa davvero male.

FABIO BUCCOLINI



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