Magazine Cinema

I film migliori di stasera (merc. 2 apr. 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 02 aprile 2014 da Luigilocatelli

Il petroliere di Paul Thomas Anderson, Italia 1, ore 0,45.

il regsita Paul Thomas Anderson con Daniel Day-Lewis sul set

il regsita Paul Thomas Anderson con Daniel Day-Lewis sul set

Forse il film più ambizioso di Paul Thomas Anderson, il regista di Magnolia, uno degli autori più dotati sulla piazza. Affresco dell’America vitalistica e sgomitante per un posto al sole di fine Ottocento, vista attraverso la paradigmatica figura di un magnate del petrolio, dagli inizi fino alla maturità e alla ricchezza. Daniel cerca l’argento nel West della Frontiera, trova inaspettatamente il petrolio e capisce che da lì può venire qualcosa di grande. Ma l’improvvisa ricchezza cambia lui, la sua famiglia, il villaggio cui appartiene. Il petrolio sconvolge gli equilibri economici e relazionali, tutto si sporca, si degrada, si infetta. Daniel entra in un delirio di onnipotenza, qualcosa che ricorda la hybris degli smisurati personaggi di Orson Welles. Film epico che non nasconde di voler essere parabola del sogno americano e della nascita della stessa potenza americana. Forse Anderson lo carica troppo, di troppi significati, si dà troppi bersagli da colpire, e qua e là perde di vista la narrazione. Ma Anderson è uno che pensa in greande e fa film grandi e fuori misura, sempre (come ha poi confermato nel formidabile e malcompreso The Master). Daniel Day-Lewis monumentale, in un personaggio bigger than life. Anche troppo. Oscar, naturalmente.

Les amants
di Louis Malle, Rai Movie, ore 0,40.

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Ogni stagione, ogni epoca, ha il suo film-scandalo. Oggi tocca (ci tocca) Nymphomaniac 1 e 2, cut e soprattutto uncut, alla fine degli anni Cinquanta fu il turno di questo Les Amants, che già il titolo sembrò provocazione e peccato. Le cronache riferiscono di un certo scandalo suscitato dalla sua proiezione al Venezia Festival 1958, dove alla fine però le ragioni diciamo così dell’arte prevalsero e a Les amants fu assegnato il premio speciale della giuria: in una di quelle kulturkrieg che da tempo immemorabili oppongono a casa nostra (presunti) baciapile a (presunti) laico-progressisti. Dove il progresso si misura a quantità di scopate e nudità mostrate, mah. Vale la pena rivderlo oggi, stanotte, per capire se il caso fosse giustificato o no. Certo, c’è quella scena notturna dei due amanti nudi sotto le stelle, ma signora mia niente a paragone del giorno d’oggi. Forse a disturbare di più fu la storia, quella di una donna che attraverso il letto non coinugale cercava il piacere e la felicità e, chissà fors’anche un po’ di autodeterminazione e emancipazione. Jeanne è sposata a un editore di Digione che la trascura, vorrebbe tradirlo con un giocatore di polo (e già questo), ma ne è dissuasa dalla sua vanità. Proverà finalmente amour et passion e ogni possibile fremito corporale e battito del cuore per un archeologo ragazzo, più giovane di lei, conosciuto per caso. Storia abbastanza convenzionale, tuttosommato, che però Louis Malle mette in cinema con il suo gusto così moderno, con una macchina da presa nervosa e libera come in una jazz session. Poi c’è Jeanne Moreau, faccia e corpo della modernità femminile, che risucchia dentro di sè il film, lo inncorpora, gli dà (la propria) forma. Alain Cuny è il marito noioso, Jean-Marc Bory il giovane amante. Quanto poi Malle fosse Nouvelle Vague o no, ancora gli studiosi di cinema si accapigliano.

Grindhouse – A prova di morte
di Quentin Tarantino, Iris, ore 21,06.
Il film di Quentin Tarantino che doveva inizialmente uscire, in una riedizione del glorioso double bill dei cinema popolari di una volta, in abbinata con il Grindhouse – Planet Terrror del sodale Robert Rodriguez (proiettato da Iris subito dopo, vedi sotto). Finì che uscì prima quello di Quentin, ovvio, a fare da apripista nei festival vari e al botteghino. Ma l’operazione non funzionò lo stesso. Tre ragazze toste inseguite da un maniaco, che poi è Kurt Russell, che si eccita uccidendo ragazze nella sua adorata macchina-feticcio. Tutto il repertorio grondante violenza, sangue e quant’altro dei B-movie anni Settanta ricreato filologicamente da Tarantino. Ma il manierismo dell’operazione risulta eccessivo anche per i cultori più appassionati del regista di Pulp Fiction.

Grindhouse - Planet Terror di Robert Rodriguez, Iris, ore 23,08.
Il secondo film del dittico Grindhouse che nelle intenzioni originarie doveva essere proiettato insieme nelle sale, in una riedizione del glorioso double bill dei cinema popolari di una volta. L’operazione  (anno 2007) comprende il primo Grindhouse-A prova di morte, diretto da Quentin Tarantino, quindi il secondo, questo Grindhouse-Planet Terror, del sodale Robert Rodriguez. Ma i due film, anche per la non buonissima accoglienza ottenuta nelle preview, furono distribuiti in tempi diversi, prima Tarantino a fare da apripista, poi Rodriguez, ma il risultato non fu all’altezza dele aspettativer. Ennesimo omaggio al cinema-bis anni Settanta, questo Planet Terror rifà manieristicamente e secondo lo stile fumettistico-grandguignolesco-fracassone del regista statunitense-messicano, gli zombie-movies d’epoca. La storia, quella di una ragazza cui ne succedono di ogni, conta poco, contano invece gli effetti e gli effettacci. Io non sono un fan di Rodriguez, però la produzione e la supervisione di Tarantino sono una garanzia.

Anamorph di Henry Miller, Rai 4, ore 21,13.
Eccentrico serial killer-movie, apparentabile solo superficialmente ai fondativi (del genere) Seven e Il silenzio degli innocenti. Perché qui a contare è soprattutto la mesinscena del delitto da parte dell’oscuro assassino (o più assassini). Messinscene che ambiscono a farsi arte e a mimare certe installazioni e performance da Biennale o Documenta o Tate Modern. Il delitto come una delle belle arti, secondo la definizione dell’oppiomane ottocentesco Thomas de Quincey. Dunque, l’agente Stan Aubrey è riuscito a bloccare e far arrestare un killer chianato zio Eddie, uno che con le sue vittime allestiva delle composizioni secondo il principio dell’anarmorfismo, di quelle che solo in apparenza si presentano come un assemblaggio caorico, ma che, se scopri il giusto punto di osservazione, rivelano ordine, senso e armonia. E un disegno. Eppure, nonostante Eddie sia in gabbia, i delitti riprendono secondo le sue tecniche e, diciamo così, la sua arte. Ricomincia per Stan la ricerca, e naturalmente ci saranno twist e giravolte inaspettate. Un po’ freddo, cerebrale, bloccato nella sua trovata concettuale, forse troppo spudoratamente autoriale. Però Anamorph – regia di Henry Miller, nome un po’ pesante da portarsi addosso – merita la visione per la sua non medietà. E poi, c’è Willem Dafoe.

Il mio grosso grasso matrimonio greco con Nia Vardalos, Rai Movie, ore 21,15.
Uno dei più grandi successi commerciali del cinema indie americano, oltre 200 milioni incassati in patria, qualcosa di irripetibile. Prodotto dalla moglie di Tom Hanks, Rita Wilson, è una commedia etnica che diventò il caso cinematografico del 2002. Una goffa trentenne americana di famiglia greca si innamora di un fichissimo ragazzo wasp e se lo vuole sposare (giustamente, vista la fortuna che le è capitata), contravvenendo così alle regole rigidamente endogamiche della comunità che la vorrebbero all’altare solo con un greco come lei. Conflitti, malintesi, gag, liti e risate, insomma tutto il repertorio abbastanza prevedibile ma sempre divertente dei piccoli incontri-scontri tra diverse civiltà. Diciamolo, anche istruttivo, di questi tempi di ossessivo rifiuto dell’altro. En plein di Nia Vardalos, che scrive e interpreta (ma non dirige) il film della vita. Non riuscirà più a rifare il botto.

Lady Killer di Roy Del Ruth, Rete Capri, ore 21,00.
Il piccolo gangster Dan si mette nei guai a New York. Meglio cambiare aria, così insieme alla sua ragazza se ne va a Los Angeles. Gli offrono di fare poco più che la comparsa in un film a pochi dollari al giono, lui accetta, sarà l’inizio di una irresistibile ascesa che lo porterà a essere una star. Ma i vecchi compagni della gang si rifanno vivi. Commedia in noir del remoto 1933 (il sonoro era agli inizi) con il duro James Cagney che dimostra di non saper solo sparare e tirar di pugni. Raro.

Vai e vivrai di Radu Mihaileanu, Iris, ore 1,08.
Un film del 2005 passato sotto silenzio. Eppure il regista non è uno qualsiasi, ma quel Radu Mihaileanu che già aveva colto un grande successo con Train de vie, film beffardo e molto balcanico su un villaggio ebraico che riesce con l’astuzia a sfuggire ai nazisti. Mihaileanu, ebreo rumeno che ormai lavora perlopiù in Europa occidentale, ha poi realizzato Il concerto, altro ottimo successo nel circuito art house di mezzo mondo. L’ultimo suo lavoro, La source des femmes, racconto alla Lisitrata di una rivolta delle donne in un villaggio arabo contemporaneo, è invece una gran delusione, zeppo com’è di stereotipi e buonismi politically correct.
Vale la pena comunque prestare un po’ di attenzione a questo suo Vai e vivrai, che Mihaileanu ha realizzato in Israele e che proprio una storia israeliana racconta. Si parte dall’Operazione Salomone, organizzata nel 1984 per salvare i Falasha, l’antichissima comunità ebraica etiopica che, minacciata dalla carestia e dalla guerra in atto nel paese, si era rifugiata nel vicino Sudan scontrandosi però con l’ostilità dei musulmani locali. In Israele si decise allora un’azione spettacolare: con un ponte aereo i falasha furono prelevati e portati in una realtà completamente diversa come quella israeliana. Un trapianto che non fu indolore, perché l’ebraismo ossificato e rimasto separato per secoli della comunità etiope non coincideva del tutto con quello dell’ortodossia rabbinica.
Il film parla di un bambino, Shlomo, che non è ebreo ma che i genitori etiopi fanno passare per tale perché possa essere soccorso nell’Operazione Salomone e salvato dalla fame. Adottato in Israele da una famiglia di ebrei sefarditi, incomincia la sua nuova vita. Che, per lui non ebreo tra gli ebrei, sarà sotto il segno della differenza. Chiaro che attraverso la storia del piccolo Shlomo Mihaileanu allude a quella più vasta del popolo falasha e della sua difficile integrazione in una realtà per molti versi estranea. Film parecchio interessante, non tanto per stile o linguaggio (sono qualità per cui Radu Mihaileanu non ha mai brillato), ma per la realtà pochissimo conosciuta che ci mostra. Uno sguardo partecipe ma non convenzionale su Israele.

Nemico pubblico n. 1 –L’istinto di morte di Jean-François Richet, Rai 4, ore 23,52.
Primo dei due film del 2008 interpretati da Vincent Cassel sul bandito francese anni 60-’70 Jacques Mesrine. Uno che con le sue imprese tenne banco sui media e flirtò anche con le frange rivoluzionarie anti-sistema. Una figura con qualche analogia con il nostro Vallanzasca. Il dittico firmato dal regista Jean-François Richet è un risultato grandissimo, che testimonia di quanto il polar, il crime-movie alla francese, sia in forma smagliante. Occhio, la sceneggiatura più vera del vero è del franco-algerino Abdel Raouf Dafri, autore anche dello script di quel capolavoro che è Un prophète di Jacques Audiard. Vincent Cassel è semplicemente monumentale, in una perfomance di virtuosismo mimetico che richiama quelle di Volontè. Con lui Cécile De France e Gérard Depardieu.

Autismo: il musical, la effe, ore 22,25.
La effe, il canale della Feltrinelli in colaborazione con la7, si sta via via configurando come una realtà parecchio interessante del digitale terrestre, con una sua identità riconoscibile. Film di fiction e doc dalla library della casa, quasi sempre improntati all’impegno, come il dna feltrinelliano esige. Molti i pregiati doc di produzione Hbo che stanno passando. Come questo Autismo: il musical, dove si mostra l’autismo seguendo con la cinepresa cinque ragazzini (e relativi insegnanti e genitori) immersi in uno workshop teatrale volto alla messinscena di un piccolo musical. Il teatro e la musica come terapia. Un modo non piagnone di avvicinarci a questa sindrome non-comunicativa ancora in parte misteriosa.

José e Pilar di Miguel Gonçalves Mendes, La Effe, ore 0,00.
Mai uscito nei cinema italiani ma solo in dvd, questo documentario del 2010 che cerca di catturare il quotidiano di José Saramago, lo scrittore portoghese premiato con il Nobel nel 1998. Il regista Miguel Gonçalves Mendes pedina lui e la moglie Pilar del Rio mentre passano da un paese all’altro, da una presentazione all’altra in giro per il mondo, e mentre Saramago mette a punto il suo Il viaggio dell’elefante. Uno sguardo oltre la facciata e l’ufficialità che è anche il resoconto di una tenace, immarcescibile unione di coppia. Frase che resterà (detta da Saramago): “C’è sempre un altro modo di dire le cose”. Il documentario lo segue tra il 2006 e il 2008. Lo scrittore morirà nel 2010. Prodotto (anche) da fratelli Almodóvar.


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