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I film migliori di stasera (sab. 26 apr. 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 26 aprile 2014 da Luigilocatelli

10 film. Con cose ottime e almeno un paio di guilty pleasure.

I padroni della notte di James Gray, Rai 4, ore 22,41.

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Il profondamente newyorkese James Gray è ormai uno dei grandi registi americani della generazione dei 40, insieme a Paul Thomas Anderson e Darren Aronofsky. Autore di pochi film (5 in una ventina d’anni, una media alla Malick pre-The Tree of Life) e di molto talento. Difficile decidere cosa sia il suo meglio, se il potente esordio Little Odessa, il suo secondo film, The Yards,  il più recente Two Lovers oppure questo I padroni della notte. Che resta uno dei migliori polizieschi degli ultimi dieci anni (è del 2007), capace di sfondare i confini canonici del noir e di entrare nei territori della tragedia classica. Joaquin Phoenix e Mark Wahlberg (già coppia protagonista in The Yards) fratelli diversi e antagonisti, uno poliziotto l’altro implicato nei malaffari della mafia russa. La ragazza è Eva Mendes. James Gray analizza per l’ennesima volta il suo amaro microcosmo di Brooklyn, con le famiglie conflittuali, gli immigrati di seconda e terza generazione e i nuovi, spietati ragazzi arrivati dall’Est europeo. Sì, forse come dicono quelli che non lo amano troppo, gira sempre lo stesso film. Però che film, signori. Tra tutti i suoi, questo è il più ricco e il più epico. Poi a Cannes 2013 (e qualche mese dopo nei cinema italiani) è arrivato il suo nuovo e ovviamente molto atteso film Gray The Immigrant (C’era una volta a New York), il suo primo period movie, e ahinoi è stata una delusione. Il che non intacca la stima per lui e per quanto ha fatto prima, ci mancherebbe.

Di che segno sei? di Sergio Corbucci, Iris, ore 21,05.
Grandissimo, cultistico film a episodi firmato dall’eclettico e sempre assai professionale Sergio Corbucci, qui in una delle sue prove migliori fuori da quell’italian western in cui aveva dato cose prossime al capolavoro (Django, Il grande silenzio). Siamo nel 1975, in un passaggio cruciale del nostra macchina-cinema dai fasti degli anni Sessanta, anche autoriali, ai film ormai dominati dalle figure di derivazione televisiva e alla commedia bassa dei tardi Settanta. Titolo che testimonia come già allora il tormentone zodiacale fosse uno dei più praticati dal linguaggio e dal discorso di massa e che rivela il tessuto connettivo tra i quattro-episodi-quattro, l’appartenenza dei vari protagonisti alle aree oroscopali terra, fuoco, acqua, aria. Film-cerniera tra due epoche, si diceva, come testimonia il cast che vede un gigante della commedia italiana classica, Alberto Sordi, insieme al ‘nuovo’ Paolo Villaggio e ai cabarettistico-televisivi Renato Pozzetto e Massimo Boldi. Più Celentano, che si appresta a diventare il re d’incassi di un cinema nostro già ansimante, anzi intaccato da un morbo letale che lo porterà alla nullificazione dei due decenni successivi. Si riprende la formula del film diviso in più atti, secondo un modello antico, ma che proprio nei meravigliosi Sessanta aveva raggiunto in Italia il picco storico con Boccaccio ’70, Rogopag, I mostri, e lo si piega alla maggiore corrività dei tempi nuovi, i selvaggi e luridi e incontrollati Settanta. Di che segno sei? è visione imperdibile per più motivi, ma soprattutto per l’episodio più riuscito, quello con Mariangela Melato – fantastica, in una delle sue perfomance massime nel cinema popolare – e Adriano Celentano quale coppia partecipante a una gara di ballo in Romagna. Guardare, riguardare, ammirare quella forza immane che era sullo schermo, e promanava dallo schermo, la Melato, e piangere ancora una volta la sua scomparsa. Gli altri pezzi del film stingono al confronto, ma son tutt’altro che trascurabili. Con un Villaggio che, per una diagnosi errata, pensa di essere sul punto di cambiare sesso e già assapora la sua nuova vita come donna e moglie, in una messa in scena che suona già come legittimazione e inclusione della confusività sessuale fino ad allora esclusa e stigmatizzata. Con un Sordi che riprende incredibilmente il personaggio dell’americano a Roma Nando Moriconi, ma con parecchi anni in più e acciacchi in più, in una sorta di impietoso confronto con il se stesso giovane. Con un Renato Pozzetto che compare accanto all’altro derby-cabarettista milanese Massimo Boldi e perde la testa per una meravigliosa, al solito, Giovanna Ralli. Ce n’è abbastanza per non perderselo, e, please, zero snobismi. Questo è cinema. Questo è cinema italiano. Questa è pura antropologia italiana.

Shrek di Andrew Adamson e Vicky Jenson, Italia 1, ore 21,10.
Come già dichiarato più volte in questo blog, non sono un entusiasta dell’orco più brutto e più simpatico (questo lo riconosco senza fatica) del mondo, e in generale non lo sono nemmeno dei prodotti Pixar, che da Up! a Toy Story 3 mi son sembrati sempre belli, anzi eccellenti, straordinariamente ricchi di sottotesti, e però così fanaticamente, quasi religiosamente idolatrati e sopravvalutati, da suscitare in me una immediata presa di distanza. Shrek resta comunque uno dei più clamorosi blockbuster della scorsa decade, uno dei capisaldi del cinema 2.0, quello delle mirabolanti tecnologie e del 3D arrembante (pensare che dopo gli anni Cinquanta per decenni gli occhialini non li voleva più nessuno, mah). Arrivato col fiatone alla puntata numero quattro, Shrek va rivisto invece qui, nel suo episodio primo e fondativo, il più puro e divertente, quello con la carica innovativa più accentuata. Bella la storia della principessa Fiona che si innamora del brutto ma simpatico e buono orco Shrek. Nome che tra l’altro viene dall’yiddish, a sottolineare il retroterra ebraico-eurorientale di questa favola sghemba e strana di vite diverse.

Uomo bianco va’ col tuo dio di Richard C. Sarafian, Rai Movie, ore 23,20.
Uno di quei film americani tra anni Sessanta e Settanta che tentavano, pur in vario modo e secondo progetti narrativi diversi, di revisionare il genere western, già parecchio acciaccato e messo in crisi dall’offensiva di Sergio Leone. In Uomo bianco va’ col tuo Dio si tenta da una parte di giocare la carta egologista (protagonisti e azione annegati nell’immensità degli spazi naturali), dall’altra si contamina il western con un altro genere glorioso, quel del revenge movie. Si incazza difatti, e decide di vendicarsi, il cacciatore di pelli Zachary Bass allorchè, durante un’escursione in territori selvaggi, viene abbandonato dai compagni dopo essere stato aggredito da un orso. Sopravviverà, e il suo obiettivo diventerà quello di rintracciare i fedifraghi e fargliela pagare cara, carissima. Siamo nel Canada di inizio Ottocento, e la macchina da presa usa i panorami come una enorme prigione all’aperto immettendo nel racconto un senso di calustrofobia, di intrappolamento. Richard Harris teso e convincente, nel suo western più famoso e riuscito: insieme, ovvio, a Un uomo chiamato cavallo girato solo un anno prima. Richard Sarafian, il regista, era reduce da un cultissimo come Punto Zero, road movie ribellistico che parve ai ragazzi sessantottardi un inno anarcoide contro il sistema e che dunque fu subito adottato e arruolato tra gli imperdibili generazionali. Insensato titolo italiano: in origine Uomo bianco va’ col tuo Dio faceva Man in the Wilderness.

Lucrezia Borgia di Hans Hinrich, Rete Capri, ore 21,00.
Del 1940, è, se non proprio una riabilitazione, almeno una meno malevola del solito riproposizione della vita e della opere di Lucreazia Borgia, figlia di papa Alessandro VI, passata più o meno meritatamente alla storia quale ineguagliato modello femminile di brama, lussuria, avidità di potere. Qui è già colta nella sua stagione ferrarese, dopo la fine di un matrimonio impostole per convenienza dalla famiglia. Diretto con classe e sobrietà e senza esagerare in drappeggi e stucchi (come scrisse argutamente un critico di allora) da un regista, Hans Hinrich, fuggitivo dalla Germania in quanto ebreo. Interpretato da Isa Pola, attrice dell’epoca che si rifaceva esplicitamente alle dive del muto. Per chi ama il cinema vintage, giovinastri e giovinastre astenersi (ma non c’è bisogno di dirlo, già lo fanno da soli).

Il giovane Toscanini di Franco Zeffirelli, la7d, ore 21,20.
Zeffirelli-movie del 1988 celebre per i fischi, anzi la canea, con cui fu accolto alla sua prima mondiale alla Mostra di Venezia. Figuriamoci, Zeffirelli gettato in pasto alle fauci dei critici nouveaux e non, con quella fama di uomo di destra che si portava appresso. Fu un massacro che sarebbe passato alla storia. Per carità, non che il film fosse un capolavoro, goffo e imbarazzante com’era. Ma insomma, sempre con il touch del suo regista, uno che viene dalla scuola Visconti e i suoi film in costume sa come confezionarli. Certo, siamo nel pompierismo all’italiana, con la glorificazione di un Toscanini giovane che, dopo il no ricevuto dalla Scala come violoncellista per via dei suoi eccessi temperamentali, se ne va sdegnoso in tournée in Sud America. Memorabile per kitsch & camp, la scena in cui lui dirige le onde del mare in tempesta. Con, e vale da sola la visione, Elizabeth Taylor che tornava al cinema dopo dieci anni, nella parte di un soprano. Il povero C. Thomas Howell si rovinò la carriera. Guilty pleasure.

Yves Saint Laurent, l’amour fou di Pierre Thoretton, la7d, ore 1,15.
No, non si tratta del biopic del couturier girato da Jalil Lespert e uscito un mese e mezzo fa nei cinema italiani, né tantomeno dell’Yves Saint Laurent dell’oltraggioso Bertrand Bonello che sarà prossimamente a Cannes. Questo è un documentario firmato Pierre Thoretton del 2010 in cui si ricostruisce un bel pezzo di vita di YSL con il contributo fondamentale e assai attivo di Pierre Bergé – che di lui fu compagno, socio, partner d’affari e, per così dire, braccio armato nel mondo. Qual è l’amour fou di questo volutamente ambiguo titolo? Quello che ha legato Yves Saint Laurent al suo compagno? O quello per la moda, sublimazione estatica ed estetica per YSL di una vita di tormenti? O, ancora, l’amour fou è quello della coppia per il bello, perseguito incessantemente come una missione, una vocazione, e materializzatosi in una collezione d’arte vertiginosa? Il film parte da qui, dalla clamorosa vendita all’asta del 2008 di tutte le opere e gli oggetti che Saint Laurent e Bergé avevano messo insieme in una vita insieme, da quando si conobbero ai funerali di Dior nel 1957 alla morte di YSL il 1° giugno 2008. Il regista Pierre Thoretton riprende gli oggetti, e riprende Bergé che partendo da essi rievoca, illustra, racconta pezzi di sè e del compagno. Certo, si tratta di una storia molto ufficiale, con qualche rischio di agiografia. Ci sono, oltre alla testimonianza-guida di Bergé, quelle di chi a Yves fu professionalmente e amicalmente vicino, da Loulou de la Falaise a Catherine Deneuve. Ci sono documenti, video con lo stesso Sain Laurent. C’è un certo pompierismo assai francese, di quando la Francia celebra e monumentalizza i propri grandi, ma nelle pieghe si possono scoprire molti tratti e fatti di un gigante vero della moda. Il film, senza volerlo intenzionalmente, finisce anche con l’essere un prezioso reperto storico di cos’era l’amore omosessuale prima del rivendicazionismo e dei diritti gay, di quanto allora la moda e in generale i mondi del bello fossero il rifugio e il territorio privilegiato della sua espressione.

Scandalosa Gilda di Gabriele Lavia, Cielo, ore 21,00.
Scatenatissimo erotico con aspirazioni arty e alte della coppia Gabriele Lavia-Monica Guerritore, un culto assoluto per i ragazzacci innamorati persi di quel cinema anni Ottanta sospeso tra il sublime e il trash, con pericolosissimi pencolamenti e sconfinamenti nel secondo. Si può ridere, sorridere, sogghignare nel vedere questo film, ma non si può non restare estasiati di fronte all’evidente sincerità di chi Scandalosa Gilda lo dirige e lo interpreta, e che affronta ogni rischio e si mette in gioco davvero. Siamo lontani dall’erotismo glamourizzato, patinato, anodino e inodore di oggi, qui davvero ci vien comunicato cosa sia lo sregolamento dei sensi. Una donna borghese delusa e in crisi – Guerritore, ovvio – scappa via da casa. Incontrerà in autogrill un fumettaro erotico che, mostrandole le sue tavole, la sedurrà, e sarà sesso selvaggio. Il nostro Nove settimane e mezzo, però meno cinico e perfino più consapevole, e vero. Con tutti gli eccessi e le accensioni del Lavia regista, uno che i mezzitoni e le mezze misure li ha sempre evitati. Prendere o lasciare. Lei somigliantissima alla Ingrid Bergman di Viaggio in Italia.

L’amore per caso di Dominique Farrugia e Arnaud Lemort, la5, ore 23,01.
Romantic comedy alla francese, un genere non proprio popolarissimo dalle nostre parti. Due amici con opposte concezione dell’anore. Uno idealista-romantico, l’altro concreto-scopereccio. Incontreranno due ragazze che metteranno in crisi le loro radicate convinzioni. Con la Virginie Efira vista qualche mese fa in Vent’anni di meno.

Mon bel amour di José Pinheiro, Cielo, ore 1,10.
Un mio personale cult. Grande erotico con idee e pretese dei tardi anni Ottanta, con scene assai hard e sesso esplicito e corpi per niente dissimulati che nella versioni italiana furono alquanto ridotti, per rispuntare poi trionfalmente in dvd. Cinema giocato sull’opposizione tra una lei borghese e un po’ spitinfia e un lui lumpenproletario, malavitoso, e muscolare macchina del sesso. Catherine è attrice di teatro, e per caso la sua strada incrocia quella del torvo Patrick. Il quale perde la testa per quel ninnolo di biscuit, per quella bellezza così sofisticata, e lei, be’, lei scopre a letto parecchie cose che non aveva mai provato con uomini della propria classe. Sarà tempesta passionale. Ma non potrà durare, le convenzioni sociali avranno la meglio, e sarà dramma. Regia di José Pinheiro. A rubare il film è Stéphane Ferrara, clamorosa presenza carnale quale Patrick. Che sarà poi anche in un film di Tinto Brass.


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