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I lampi gamma rivelano la composizione delle giovani galassie

Creato il 09 novembre 2011 da Stukhtra

Osservati più elementi pesanti del previsto

di Silvia Fracchia

ResearchBlogging.org
Sono i fenomeni più energetici dell’universo. Veri e propri lampi di raggi gamma che appaiono all’improvviso e durano per un tempo molto breve, da pochi millisecondi a decine di minuti. La loro interpretazione ha dato del filo da torcere agli astronomi e molti aspetti della loro natura sono tuttora ben lungi dall’essere chiariti. Ma l’interesse nei confronti dei gamma ray burst (GRB) va oltre il fenomeno stesso. Dal loro studio, infatti, è possibile trarre informazioni sull’ambiente nel quale si sono propagati: galassie vecchie di miliardi di anni, ad esempio.

 

Proprio uno studio di questo tipo è stato condotto da una collaborazione di astrofisici, guidata da Sandra Savaglio, del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Garching, in Germania, principale autrice di un paper di prossima pubblicazione sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”. Uno studio che ha peraltro rivelato delle sorprese. Prima però di entrare nel dettaglio della scoperta, vediamo di rispondere a un paio di domande. Che cosa sono esattamente i gamma ray burst? E in che modo è possibile studiarli e trarre informazioni sulla distanza alla quale si verificano?

La scoperta dei lampi gamma è avvenuta in modo piuttosto bizzarro, verso la fine degli Anni Sessanta, in pieno clima di Guerra Fredda. Gli Stati Uniti, temendo possibili violazioni al divieto di eseguire test di armi nucleari nell’atmosfera da parte dell’Unione Sovietica, avevano predisposto un gruppo di satelliti, noto come Vela, al fine di rivelare eventuali tracce di esplosioni nucleari. Furono proprio due di questi satelliti, nel 1967, a scoprire un misterioso lampo di radiazione gamma non attribuibile in alcun modo a test nucleari.

Il lampo del 1967 fu solo il primo di una lunga serie: i satelliti ne rivelarono molti altri, ma la loro natura continuò a essere un mistero. Nel 1991 fu lanciato il Compton Gamma Ray Observatory, una missione dedicata all’astronomia in banda gamma, rimasto operativo fino al 2000. Tra i suoi strumenti ce n’era uno, il Burst And Transient Source Experiment (BATSE), appositamente dedicato alla ricerca dei lampi gamma. Nei suoi nove anni di attività, BATSE rivelò in media un lampo al giorno e permise di scoprire un paio di interessanti caratteristiche di questi fenomeni. Anzitutto il fatto che sono distribuiti in modo isotropo sulla sfera celeste, indice di una loro provenienza extragalattica. In secondo luogo, una sostanziale differenza nei loro tempi di durata. Si osservò infatti che esistevano due classi di gamma ray burst: i lampi lunghi, con una durata superiore a 2 secondi, e quelli brevi, nel caso opposto. Queste due categorie rappresentano il risultato di due eventi fisici completamente diversi.

Le successive missioni mirate a stanare i lampi gamma sono state pensate con lo scopo di sfruttare l’emissione in altre bande di energia: si ipotizzò infatti che, in seguito all’osservazione del fenomeno in banda gamma, si sarebbe dovuto rivelare, nelle ore e nei giorni successivi, anche il cosiddetto afterglow a lunghezze d’onda maggiori, risultante dall’interazione dei fotoni gamma con il gas interstellare. Agli strumenti gamma, pertanto, sono stati affiancati telescopi X e ottici e missioni come BeppoSAX e Swift (quest’ultima tuttora in attività) hanno visto la luce. Lo studio delle controparti di più bassa energia ha come scopo quello di ottenere una migliore localizzazione dei lampi. Dall’analisi dello spettro visibile è infatti possibile risalire al redshift e quindi alla distanza della sorgente.

Per quanto riguarda la natura fisica dei GRB, ci sono due diverse interpretazioni, a seconda che si considerino i lampi lunghi o quelli brevi. I primi sono spiegabili con una peculiare esplosione di supernova, detta ipernova, nella quale il nucleo della stella collassa rapidamente in un buco nero circondato da un disco di accrescimento. A causa della rapidità del processo, viene accelerato un getto di particelle relativistiche lungo l’asse di rotazione, getto che esce collimato dalla stella producendo raggi gamma. Per quanto riguarda i lampi brevi, invece, l’ipotesi più accreditata è quella della coalescenza di due stelle di neutroni in un sistema binario: nell’impatto tra loro si produce un’onda d’urto che, interagendo con la materia circostante, emette lampi gamma ben collimati.

 

I lampi gamma rivelano la composizione delle giovani galassie

Il Very Large Telescope, sulla sommità del Cerro Paranal, in Cile. (Cortesia: ESO/G.Hüdepohl)

 

Tornando allo studio di Sandra Savaglio e dei suoi colleghi, il lampo in questione, denominato GRB 090323, è stato prima rivelato in banda gamma grazie all’Osservatorio spaziale Fermi della NASA, dopodiché il suo afterglow X è stato monitorato da Swift, e infine ne è stata localizzata la controparte ottica per mezzo del Very Large Telescope (VLT) dello European Southern Observatory (ESO). Dall’analisi delle righe di assorbimento presenti nello spettro dell’afterglow ottico del lampo è stato possibile risalire, oltre che al redshift (indicato con z), anche alla composizione chimica del gas in cui i raggi gamma si sono propagati: nella fattispecie due galassie con z pari a 3,57 circa. E, poiché in astronomia guardare lontano significa guardare indietro nel tempo, ciò significa che si sono osservate queste galassie come erano 12 miliardi di anni fa, quando l’universo era ancora giovane.

Ed ecco la sorpresa: il gas di cui sono composte galassie così giovani dovrebbe contenere una minore percentuale di elementi pesanti (ossia con numero atomico superiore a quello dell’idrogeno e dell’elio) rispetto alle galassie al tempo attuale. Infatti la formazione di questi elementi avviene nel corso dell’evoluzione e della morte di generazioni di stelle, e questi vanno poi ad arricchire il gas interstellare, primordialmente composto in prevalenza da elementi leggeri. Al contrario, le galassie rivelate grazie al lampo gamma mostrano una quantità inaspettatamente cospicua di elementi pesanti, che soltanto ipotizzando la presenza di un’elevatissima attività di formazione stellare è possibile giustificare.

 

I lampi gamma rivelano la composizione delle giovani galassie

Rappresentazione artistica di due galassie nell'universo giovane. A sinistra si vede la brillante esplosione del lampo gamma, la cui radiazione si propaga attraverso le galassie, in direzione della Terra. (Cortesia: ESO/L. Calçada)

 

Una simile conclusione sembra dare credito in primo luogo alla teoria delle ipernovae, che avrebbero origine in regioni con un alto tasso di formazione stellare. In secondo luogo, porta a predire l’esistenza nelle galassie attuali di numerosi oggetti come buchi neri e stelle di neutroni, stati finali dell’evoluzione stellare. In futuro, con strumenti sempre più accurati, sarà possibile avere ulteriori conferme.

S. Savaglio, A. Rau, J. Greiner, T. Krühler, S. McBreen, D. H. Hartmann, A. C. Updike, R. Filgas, S. Klose, P. Afonso, C. Clemens, A. Küpcü Yoldaş, F. Olivares E., V. Sudilovsky, & G. Szokoly (2011). Super-solar Metal Abundances in Two Galaxies at z ~ 3.57 revealed by the GRB 090323 Afterglow Spectrum arXiv arXiv: 1110.4642v1


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