Magazine Media e Comunicazione
Una giornata di studio dell'OEC su "Nuovi media e nuove relazioni. Dialogo, amicizia e identità cristiana" (Brescia, 17 gennaio 2010) mi fornisce lo spunto per un post in cui tornare a ragionare sul rapporto che pone in relazione oggi i media con i giovani e l'educazione.Lo faccio enunciando tre brevi tesi:1) i media sono un ambiente, sono parte dell'ambiente;2) i media esigono e minacciano la mediazione educativa;3) l'educazione ai media è educazione alla cittadinanza.
1. La natura ambientale dei media si costruisce su tre snodi. Il primo è un'evidenza fenomenologica: i media sono "migrati dentro le nostre vite" (Bell), li indossiamo (Silverstone). Questo dato (secondo snodo) comporta un cambio di paradigma concettuale nella loro comprensione: i media non sono (più) strumenti, ma uno spazio, o meglio, uno scenario di azione sociale (come si può dimostrare attraverso il recupero di una linea di riflessione che da Goffman giunge a Meyrowitz e come io stesso ho provato a far vedere in Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line). Su questo poggia (terzo snodo) la trasformazione del loro ruolo culturale: più che costituire lo spazio della circolazione delle informazioni, i media oggi sono piuttosto uno spazio importante per la costruzione delle rappresentazioni individuali e sociali.
2. Il paesaggio attuale dei media è segnato da almeno due linee di tendenza. La prima è costituita dall'autorialità dei media digitali (dagli applicativi 2.0 al telefonino). Questo comporta una trasformazione del ruolo del consumatore, che diventa consum-attore. In virtù di questo fatto, si assiste anche a una progressiva deprofessionalizzazione della comunicazione: il blogging, il microgiornalismo fanno sempre di più in modo che chiunque, in virtù della semplice possibilità di pubblicare nel Web, si ritrovi a gestire le stesse possibilità e responsabilità nello spazio pubblico che fino a poco tempo fa erano solo delle emittenti e degli editori. Il dato comune a questi fenomeni è rappresentato dalla de-mediazione (o disintermediazione): non servono più gli apparati, non occorrono più i mediatori.
3. Sul piano educativo, come è evidente, la mediazione impatta in maniera consistente. Anzitutto perché essa rafforza l'importanza dell'educazione non formale e della socializzazione a discapito dei compiti della scuola. Inoltre rafforza l'idea di un ritardo proprio della scuola rispetto alle sfide presenti, rilanciando il sospetto sulla sua reale utilità (nella misura in cui, ad esempio, i "nuovi" media sono in sostanza autoalfabetizzanti). Infine, consolida la crisi dell'autorità (o la convinzione che non serva). Ma proprio per questo, credo che rilanci l'esigenza della mediazione educativa: i media la richiedono (per gestirli non bastano skills operativi, servono frame culturali e critici), i giovani stessi la desiderano (come emerge dalle ultime ricerche sui consumi mediali).
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