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I migliori film di stasera (merc. 26 marzo 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 26 marzo 2014 da Luigilocatelli

The Terminal, Rai Movie, ore 21,15.

Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones e Steven Spielberg sul set

Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones e Steven Spielberg sul set

Uno Spielberg del 2004 che devia dai suoi soliti percorsi di narratore di favole per adulti ed eterni bambini per raccontare una storia nostra contemporanea e più che mai attuale. Un uomo proveniente da un paese dell’est europeo arriva a New York, ma non sa che un colpo di stato in patria ha nel frattempo reso inutilizzabile il suo passaporto. Naturalmente lo bloccano, non gli fanno passare la dogana, lo costringono a restare in quella terra di nessuno al di fuori di ogni sovranità che si trova tra le piste e il territorio statunitense. Il povero Viktor è costretto dalla burocrazia, questo mostro della nostra era, a vivere tra aerei che decollano e sale d’attesa. La sua terra nuova e non promessa diventa l’anonimo terminal percorso da gente che va e gente che viene, fitto di tabelloni luminosi e voci amplificate da minacciosi altoparlanti, luogo senza identità che incarna l’anonimato e il nulla, uno di quei non luoghi descritti e codificati dall’antropologo Marc Augé in un suo celebre libro. Ad occuparsi, e a innamorarsi del povero migrante senza patria e senza casa è una hostess, interpretata da una stavolta amabile e simpatica Catherine Zeta-Jones. Mentre lui, Viktor, è un Tom Hanks in una delle sue perfomance di strepitoso mimetismo (parla in una lingua immaginaria dell’est europeo, inventata apposta per il film, non potendo la produzione tirare in ballo un vero paese dell’Est Europa e relativa lingua per motivi di opportunità politica). Lo spaesamento dell’apolide, dell’eterno migrante, del senza patria: quella di The Terminal è una storia e una faccenda che ha molto a che fare con il nostro oggi percorso da flussi migratori, ma che ha moltissimo a che fare anche con la figura archetipica dell’ebreo errante. Spielberg, ebreo americano, porta in questo film tutto il senso di sradicamento della sua famiglia e della sua gente provenienti dall’Est Europa, porta dell’ebraismo mitteleuropeo la paura costante della persecuzione, dunque della precarietà della propria vita, e lo fa in chiave di commedia agra, secondo la lezione e la tradizione di due dei grandi nomi dell’ebraismo anni Venti-Trenta approdati a Hollywood, Ernest Lubitsch e Billy Wilder. Film complesso, che merita una visione, e che è meglio tirar fuori da quel limbo della memoria, da quel non luogo in cui è precipitato dal suo apparire.

Signori, in carrozza, Rete Capri, ore 21,00.
Commedia del 1951 solo apparentemente bonaria, in realtà cinica e corrosiva, di un regista come Luigi Zampa con una naturale vocazione verso il gottesco, l’aspro, l’amaro. Vincenzo è un controllore di treni sulla tratta Roma-Parigi, lavoro che gli consente di reggere un doppio ménage, una doppia famiglia, una a Roma, l’altra in Francia. Finché i due mondi sempre tenuti rigorosamente separati si cortocircuiteranno per la solita irruzione del caso, e cominceranno i guai. Forse ispirato, chissà, alla vera storia di Vittorio De Sica sospeso tra due famiglie. Anticipazione, anche, di quanto racconterà Pietro Germi in L’immorale. Qui c’è Aldo Fabrizi, che alza il tasso di bonomia e anche di dolciastro della ricetta alquanto acida confezionata da Zampa. Con Peppino De Filippo quale cognato rompiballe e una Giovanna Ralli ragazzina.

A 007 Licenza di uccidere, Rete Capri, ore 23,00.
Da guardare con il rispetto e perfino la devozione dovuti al film fondativo di uno dei miti più resistenti al cinema, quello di James Bond agente segrreto al servizio di Sua Maestà. Il 31 di questo mese esce Skyfall, avventura numero 23 della saga cominciata nel 1962 con questo Licenza di uccidere, in origine Dr. No, dal nome del villain. Questo a dimostrazione di come, più che sul protagonista Bond, si puntasse sul suo avversario. Nesssuno, nemmeno i produttori (il geniale Albert Broccoli in società con Harry Saltzman), evidentemente si aspettava quel che poi sarebbe successo, incassi stellari e l’atto di nascita di una leggenda. James Bond è tra le palme e le spiagge della Giamaica a caccia del dottor No, capo della potente quanto segreta e pericolosa associazione dal pauroso acronimo di SPECTRE. Molti cocktail, molte belle e bellissime donne e un Sean Connery sornione e ironico, ma pronto a dare le giuste botte all’occorrenza, che si appropria del personaggio e lo riplasma a sua immagine e somiglianza diventando di colpo una superstar. Armi che sconfinano spesso nel gadget fantasioso e improbabile, in scenari assai pop (art), decori e arredi ipercolorati, sgargianti, plasticosi e sintetici come esigeva il culto della modernità e del progresso (anche industriale, anche scientifico) di quegli anni, di quei primi anni Sessanta che videro la massima goduria in Occidente, prima che arrivassero a fine decade le varie rivoluzioni a spegnerne l’allegria e l’escapismo. Il regista Terence Young e il team dei collaboratori vari (e i produttori) mettono già a punto il codice del cinema bondiano, dalla sequenza iniziale sui titoli di testa molto curati con 007 a pistola puntata verso lo spettatore, fino alla colonna sonora. Poi, c’è la mitica, ma per davvero, Ursula Andress che sorge in bikini bianco dalle acque giamaicana, ed è un’apparizione folgorante che farà storia, la prima di tutte le Bond Girl e, fino alla Eva Green del recente Casino Royale, la migliore (però io amo molto anche la Daniela Bianchi di Dalla Russia con amore). Leggendo Casino Royale, il primo libro di Ian Fleming con James Bond rieditato recentemente da Adelphi, ci si rende conto di come lo 007 di Connery sia completamente diverso dal character del romanzo. In Fleming abbiamo un agente segreto che si muove in uno scenario assai cupo di guerra freddissima, che non si concede leggerezze e autoironie, molto più impegnato a sopravvivere che a fare il cazzeggione finto-dandy con Martini, Aston Martin e quant’altro. È il Bond nuovo di Daniel Craig, così duro e implacabile, anche malinconico, a essergli finalmente fedele, a restituirlo al cinema per quello che è davvero, mentre fu quello storico di Connery e dei suoi successori a equivocarlo e tradirne lo spirito.

Ai Weiwei – Never Sorry, La Effe, ore 22,25.
Da vedere eccome questo documentario del 2011 su quello che è il maggiore artista cinese e nello stesso tempo il più deciso (e conosciuto) dissidente del regime. Ai Weiwei è figura trans-mediale che usa l’arte come arma politica, e la politica come fonte di performance e interventi ad alto tasso di creatività. Un vero agitatore, uno sperimentatore del nuovo e di ogni possibile libertà, tanto da aver scatenato contro di lui e i suoi interventi in rete (su blog e social network) le autorità cinesi. Un personaggio bigger than life, un omone irsuto e barbuto che ha trasformato se stesso e il proprio ambiente in una sorta di perenne e vivente installazione. La regista Alyson Klayman l’ha seguito, cercando di restituirne la vitalità e la carica inventivamente demolititrice e ribelle, e anche gli aspetti più giocosi e poppeggianti.

Love, Marilyn – I diari segreti, La Effe, ore 0,10.
Dopo essere stato distribuito nei cinema solo per un paio di giorni, arriva in tv questo documentario (però con parecchie invenzioni, contaminazioni e libertà, come usa adesso) che è qualcosa di più e di differente dalla solita ricostruzione della vita di Marilyn Monroe e di come sia diventata il mito che sappiamo. Love, Marilyn va a rovistare tra le carte private della star di tutte le star, i diari, le lettere, gli appunti, le fotografie, cercando di tracciare un ritratto partendo da quanto la stessa Marilyn scriveva e confessava. Parecchio interessante, perché compone un profilo alquanto diverso dallo stereotipo della bionda ingenua tutta corpo e curve e poco cervello. La signora MM sapeva trattare con gli studios, sapeva di poesia e filosofia, era essere assai più razionale di quanto la sua leggenda non abbia tramandato. Frammenti di cinema, di video, immagini fotografiche si alternano a gente famosa che legge quanto scritto da Marilyn, tra cui Uma Thurman, Lindsay Lohan, Marisa Tomei, Viola Davis. Regia di quella Liz Garbus che qualche anno fa realizzò l’ìinquietante, bellissimo doc Bobby Fischer contro il mondo, un viaggio nella vita e nella psiche contorta del più celebre scacchista di ogni tempo. È anche per la sua firma che vale la pena dare un’occhiata a questo Love, Marilyn.

Banana Joe, Rete 4, ore 21,15.
Uno sganassoni-movie del 1982, giàpiuttosto tardo rispetto ai fasti del genere, con Bud Spencer, ovvio, e il sempre impeccabile Steno alla regia. Il colossale signor Pedersoli ha una piantagione di banane in centro o sud America (ìl geografia è vaga), ma se la dovrà vedere con un boss intenzionato a spazzarlo via. Figurarsi, sarà guerra di sberle e pugni. Film che allora conquistavano i mercati mondiali (Bud Spencer è un mito in Asia, Africa, America Latina, Est Europa) e che il cinema italiano purtroppo non sa più fare.

Il collezionista, Canale 5, ore 0,21.
Da un thriller di James Patterson, un film niente male con Morgan Freeman. Ad Alex Cross scompare la nipote, ma, benché sia psicologo al servizio della polizia, viene escluso dalle indagini. Intanto altre donne vengono rapite da un maniaco, il collezionista del titolo. Sarnno una dottoressa coraggiosa e Alex a risalire allo psicopatico. Del 1997, nella stagione d’oro dei film con serial kiler (Il silenzio degli innocenti, Seven ecc.). Buono, con il giusto grado di tensione. Dirige il non famoso Gary Fleder.

Sniper, Rai 4, ore 1,20.
Il terzo e ultimo noir firmato dal talentuoso Dante Lam trasmesso da Rai 4 nel ciclo Missione: Estremo Oriente dedicato al cinema di genere made in Hong Kong. Di Dante Lam (da non confondere con il suo conterraneo e quasi omonimo Ringo Lam, anche lui regista di action movies, ma della generazione precedente dei John Woo e Johnnie To) avevamo già visto sul canale digital-Rai diretto da Carlo Freccero i notevolissimi Fire of Conscience e Beast Stalker, e ci eravamo fatti l’idea che sia un grande. Idea confermata da questo The Sniper, gran racconto a personaggi plurimi centrato sulla squadra di tiratori scelti della polizia di Hong Kong, con la recluta ambiziosa che vuole battere il record dei bersagli centrati, il poliziotto ambiguo, il campione che ha espiato (un tema ricorrente in DL) per aver ucciso durante un’azione e che, uscito di galera, si vuole vendicare come Montecristo di chi non l’ha coperto. Un’escalation di vilenza e follia. Un miscuglio esplosivo messo in scena con il consueto – per il cinema hongkonghese – virtuosismo tecnico e carica immaginifica (nessuno come gli orientali oggi sa saturare lo schermo di segni visivi iperbolici). In più Lam ci mette quegli inserti mélo – amori tragici, vite devastate – che rendono i suoi film così personali. Tutto immerso in una Hong Kong di tuoni e fulmini e pioggia battente, e architetture translucide e incombenti. Non manca il lato gossip. Il protagonista di The Sniper, il cantante-attore Edison Chen, è stato coinvolto in uno scandalo clamoroso dopo che in rete sono apparse centinaia di sue foto private con donne famose dello spettacolo. Cosa che è costata quasi due anni di fermo al film.


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