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I migliori film di stasera (sab. 5 aprile 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 05 aprile 2014 da Luigilocatelli

14 film

Moebius di Kim Ki-duk, Rai 3, ore 1,20.

Moebius-1
A Venezia, dov’era fuori concorso, in centinaia son rimasti fuori e non son riusciti a vederlo. A Milano è uscito per pochi giorni nella più piccola sala in città e subito sparito. Signori, questo nuovo film del regista di Pieta rischia di essere un samizdat. Non bastasse, quelli che a Venezia l’han visto ne hanno parlato e scritto pessimamente. Invece Moebius, pur nella sua truculenza, è assai meglio della sua cattiva fama e perfino avvincente e sagacemente costruito. Certo non bisogna farsi sgomentare dal gioco al massacro di Kim Ki-duk, con peni tagliati, mangiati, maciullati. E incesti. E sangue dappertutto. Un’opera estrema che sta alla filmografia del coreano come Salò-Sade a quella di Pasolini. (recensione estesa)

La vie en rose di Olivier Dahan, Rai Movie, ore 1,05.
Film più famoso che visto, almeno in Italia, e che sarà il caso di afferrare al volo su Rai Movie, almeno un qualche brandello. Come lascia intendere il titolo-canzone, trattasi del biopic (non il primo, e credo non sarà l’ultimo) del 2007 di Edith Piaf, cioè il mito di tutti i miti della chanson française, la cantante francese par excellence, colei che meglio di chiunque seppe intercettare l’anima profonda e popolare della nazione e esprimerla attraverso interpretazioni e titoli che nessuno può dimenticare. Voce roca e come interrotta, strappata, che si fa subito melodramma, Piaf è Piaf, punto. Con una vita, finita a soli 48 anni, che signora mia davvero è un romanzo popolare, così incredibile da sembrare finzione, invece no. Questo film dell’abile Olivier Dahan – con struttura fratturata e non lineare, e continui su e giù temporali – assegna un’importanza centrale all’infanzia, perché è lì che si forgia drammaturgicamente il personaggio Piaf e ha inizio una mirabolante narrazione che affascinerà la Francia per decenni, e ancora continua. La piccola Edith è figlia di una madre cantante di strada e di un papà contorsionista da circo, e già questo è puro feuilleton. Per toglierla dalla strada il padre la affida alla nonna, tenutaria di un bordello, sicchè la piccola cresce tra le signorine e impara la vita. A 18 anni ha una figlia, che però muore subito. Il resto della sua esistenza è altrettanto mélo. Il successo e gli osanna si accompagneranno alle tragedie private, le continue malattie, la morte in un incidente aereo dell’amato Marcel Cerdan, campione di boxe. Fino al matrimonio tardivo con uno sconosciuto ragazzo di origine greca che lei cercherà di lanciare nello spettacolo. Vita pazzesca, cui Olivier Dahan poco aggiunge (non ce n’era bisogno), se non una confezione astutamente ipermoderna, ritmata, colorata ed effettistica, con una Piaf trattata e usata lei stessa come un effetto speciale naturale, umano. Ma il film è la sua interprete, Marion Cotillard, che incredibilmente – non essendo americana – vince addirittura l’Oscar, e che in Piaf si cala con uno di quei processi di immedesimazione che stanno ambiguamente tra l’interpretazione e l’imitazione (vedi anche la Meryl Streep di The Iron Lady). Per Cotillard è una svolta, questo film le apre inaspettatamente una carriera anche americana piena di belle cose (Public Enemies, Nine, soprattutto Inception e Midnight in Paris, e poi il terzo Batman di Nolan e Contagion di Soderbergh) e in patria la trasforma in quella star che prima non era (Piccole bugie tra gli amici, che in Francia ha incassato l’iradiddio). Un film che ha portato in alto anche il suo regista. A Olivier Dahan è stato difatti affidato da Harvey Weinstein Grace, il biopic su Grace di Monaco (però solo su un segmento di vita, il periodo 1962-63) con Nicole Kidman che aprirà Cannes il 14 maggio, e sarà nei cinema italiani dal giorno dopo.

La vita segreta delle parole di Isabel Coixet, La Effe, ore 22,00.
Quando arrivò nei cinema – era il 2005 – sembrò segnare la nascita di un’autrice di rispetto, la catalana Isabel Coixet. Immediatamente immessa nelle liste dei derictors più promettenti, dei cineasti del comani ecc. ecc. Coixet è poi impercettibilmente slittata, se si eccettua per Lezioni d’amore, nel cono d’ombra, e ricordo come l’anno scorso alla Berlinale il suo Another Me non abbia suscitato un grande interesse. Credo che la sua cosa migliore resti questa. Film non dei soliti, già a partire dal bellissimo titolo. Con un qualcosa che ricorda, anche se con più pudore e meno acensioni melodrammatiche e mistiche, Le onde del destino di Lars Von Trier. Hanna è una ragazza croata dall’udito assai compromesso trasferitasi in Inghilterra. Si ritroverà, un po’ per caso un po’ per scelta, ad assistera come infermiera un uomo, Josef, rimasto ustionato durante un incendio su una piattaforma petrolifera nel Mare del Nord (ecco i riferimenti a Von Trier). Lei sordastra, lui quasi cieco. Sarà una comunicazione faticosa di parole e segni corporali che riuscirà però a connettere i due, portandoli a rivelare e dire cose segrete di sé. Niente è come appare, tutto sta celato nel profondo. Sarah Polley, la regista-attrice canadese che con il suo docu Stories We Tell ha avuto recentemente un gran successo americano, è Hanna, Tim Robbins è Josef.

La moglie del vescovo di Henry Koster, Rete Capri, ore 21,00.
Gran commedia americana del 1947 con un formidabile trio d’attori, Cary Grant, David Niven e Loretta Young. Di quel genere un-angelo-tra-noi che ha sempre percorso carsicamente la storia del cinema, riaffiorando anche in tempi abbastanza diversi. Stavolta siamo nella provincia americana, dove un vescovo espiscopale sta dedicando tutte le sue energie al progetto della nuova cattedrale e, soprattutto, al tirar su i fondi necessari. Il fundraising era già allora attività stressante, sicché il nostro vescovo, prostrato dalla fatica, si rivolge in preghiera al cielo chiedendo un aiuto. Ecco palesarsi un angelone nelle fattezze di Cary Grant pronto a dare una mano al prelato (che è poi l’inappuntabile e un po’ inamidato David Niven) anche sul versante spirituale di guida dei fedeli, e pure in casa, dove i rapporti con moglie e figlia son messi a dura prova dal superimpegno del capofamiglia. Naturalmente l’angelo, di nome Dudley (e di cui solo il vescovo conosce l’identità) conquistarà tutti i parrocchiani e risolverà miracolisticamente problemi e problemucci. Dirige Henry Koster. Un incanto, ecco. Una commedia di produzione Samuel Golwyn e dunque con la perfezione del marchio MGM. Tra gli sceneggiatori c’è Billy Wilder, ed è una garanzia. Vedibile ancora oggi con il massimo godimento.

Red Dust di Tom Hooper, la7d, ore 21,20.
Semidimenticato film di cosiddetto impegno civile del 2004, che pure ha alla regia quel Tom Hooper che di lì a qualche anno farà doppio bingo con Il discorso del re e il musical Les Miserables. Con oltretutto, la due volte Oscar Hilary Swank quale protagonista e con Chiwetel Ejiofor, oggi al top per via della sua performance in 12 anni schiavo. Per il resto, siamo nel campo del politicamente correttissimo all’ombra dell’icona gigante di Nelson Mandela. Ci troviamo nel Sud Africa del dopo apartheid, con ancora lacerazioni non sanate e tensioni tra white e black people. Davanti alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione voluta da Mandela per affrontare i casi più controversi, si presenta un poliziotto accusato di torture durante il passato regime. Chiede l’amnistia, ma gli si oppone un parlamentare nero che ai tempi della lotta anti-apartheid fu da lui torturato. Lo rappresenterà una grintosa avvocatessa. La questione posta dal film è parecchio interessante e ricorda l’Italia post-fascista alle prese con l’epurazione (arrivò poi l’amnistia del guardasigilli Togliatti). Punire o dimenticare e puntare sulla pacificazione? I modi son quelli del courtroom-movie innestato sul genere engagé, con gli inevitabili rischi di retorica e benpensantismo. E però, un solido prodotto.
Emperor, Rai Movie, ore 21,15.
Film di due anni fa di scarso impatto sul pubblico, ma con qualche motivo d’interesse. Che sta soprattutto nel passaggio storico in cui la vicenda è calata, quello del Giappone immediatamente successivo alla sconfitta bellica e alle due bombe nucleari, e occupato dai vinciutori americani capitanati dal generale MacArthur. Processare o no l’imperatore Hiro Hito quale responsabile dell’intervento giapponese o soprassedere e tentare una politica di conciliazione? Questo il dilemma cui MacArthur e il suo entorurage si trovano a dover affrontare. Intanto una vicenda privata, la storia tra un collaboratore d’alto rango del genrale in capo e una ragazza giapponese, finire con l’influire considerevolemente sulla Storia e le scelte americane. Con un perfetto Tommy Lee Jones quale brusco e roccioso MacArthur e con Matthew Lost Fox. I rapporti  tra il generale pccupante e Hito Hito sono anche il nucleo narrativo di quello che è a parer mio il più bel film di Sokurov, Il sole, del 2005.

Anamorph di Henry Miller, Rai 4, ore 22,59.
Eccentrico serial killer-movie, apparentabile solo superficialmente ai fondativi (del genere) Seven e Il silenzio degli innocenti. Perché qui a contare è soprattutto la mesinscena del delitto da parte dell’oscuro assassino (o più assassini). Messinscene che ambiscono a farsi arte e a mimare certe installazioni e performance da Biennale o Documenta o Tate Modern. Il delitto come una delle belle arti, secondo la definizione dell’oppiomane ottocentesco Thomas de Quincey. Dunque, l’agente Stan Aubrey è riuscito a bloccare e far arrestare un killer chianato zio Eddie, uno che con le sue vittime allestiva delle composizioni secondo il principio dell’anarmorfismo, di quelle che solo in apparenza si presentano come un assemblaggio caorico, ma che, se scopri il giusto punto di osservazione, rivelano ordine, senso e armonia. E un disegno. Eppure, nonostante Eddie sia in gabbia, i delitti riprendono secondo le sue tecniche e, diciamo così, la sua arte. Ricomincia per Stan la ricerca, e naturalmente ci saranno twist e giravolte inaspettate. Un po’ freddo, cerebrale, bloccato nella sua trovata concettuale, forse troppo spudoratamente autoriale. Però Anamorph – regia di Henry Miller, nome un po’ pesante da portarsi addosso – merita la visione per la sua non medietà. E poi, c’è Willem Dafoe.

Hotel Rwanda di Terry George, Rai Storia, ore 22,07.
Nel 1994, nel Rwanda del grande massacro dei Tutsi a opera degli Hutu, un giusto, uno Schindler africano, riesce a salvare 1200 persone. Un film di produzione Usa che avvince e riporta all’attenzione una delle più grandi tragedie moderne (800mila persone furono uccise a colpi di machete). Paul Rusesabagina (Don Cheadle) è un agiato signore di etnia Hutu sposato a una Tutsi, proprietario nella capitale Kigali di un hotel. Quando incomincia la strage, riuscirà a mettere al riparo nel suo albergo gente di entrambe le etnie. Un film da noi poco visto, ma che all’estero ha avuto un forte impatto. Valanghe di nomination a tutti i premi i premi maggiori, Oscar, Golden Globes e Bafta. Regia di Terry George. Messo in onda stasera da Rai Storia a vent’anni esatti da quel lungo massacro dei machete, incominciato il 6 aprile 1994 e finito 100 giorni dopo, a metà luglio.

Luca il contrabbandiere di Lucio Fulci, Rete Capri, ore 23,00.
Film del 1980 del genere contrabbandieri napoletani vs polizia, con ovvia mitologizzazione dei primi. Ne fu il re Mario Merola, che però qui non c’è. Ma la ragione per vedersi questo scafisti-movie – tutto gira intorno a una lotta di potere e di controllo del territorio nel contrabbando di sigarette mediante motoscafi nel golfo – è che alla regia c’è Lucio Filci, il maestro dello splatter italico, il re del brivido con risvolti truculentissimi-gorey. Difatti qui immette tutta la cupa violenza di cui è capace, con scene di stupro, torture e quant’altro. Sconsigliato alle anime belle, come tutto Fulci. Con Fabio Testi, Ivana Monti e la trans Ajita Wilson.

Autism: il musical, La Effe, ore 0,05.
La effe, il canale della Feltrinelli, si sta via via configurando come una realtà parecchio interessante del digitale terrestre, con una sua identità riconoscibile. Film di fiction e doc dalla library della casa, quasi sempre improntati all’impegno, come il dna feltrinelliano esige. Molti i pregiati doc di produzione Hbo che stanno passando. Come questo Autism: il musical, dove si mostra l’autismo seguendo con la cinepresa cinque ragazzini (e relativi insegnanti e genitori) immersi in uno workshop teatrale volto alla messinscena di un piccolo musical. Il teatro e la musica come terapia. Un modo non piagnone di avvicinarci a questa sindrome non-comunicativa ancora in parte misteriosa.

Miranda di Tinto Brass, Cielo, ore 0,15.
Del 1985, arriva dopo l’incredibile successo, misurato in miliardi e miliardi di lire, di La chiave di Tinto Brass. Il quale cavalca l’onda del softcore, o del sesso quasi esplicito importato in un film mainstream, e si inventa questo assai efficace Miranda: stessa formula, stessi clamorosi incassi del precedente. Lanciato con uno dei claim più sfacciati della storia del nostro cinema: La chiave ha aperto la porta, Miranda la spalanca. Difatti la protagonista, Serena Grandi, nel film della sua vita, mostra il seno esagerato e apre parecchio le cosce di fronte alla cinepresa. Il plot vorebbe essere una rilettura della Locandiera di Goldoni, con Mirandolina che diventa Miranda e si sposta nella bassa padana negli anni Cinquanta. Lei deve mandare avanti un’osteria da sola, dopo che il marito è stato dato per disperso in guerra, e se la deve vedere con parecchi pretendenti, cui si concede e si sottrae, amando per davvero solo il suo garzone di bottega. Il Brass più pop(olare). Con Andrea Occhipinti sex symbol di quegli anni.

Ladyboy: il terzo sesso di Stéphane Rodriguez, Cielo, ore 23,05.
Docu francese, non privo di un certo vioyeurismo, sul fenomeno thailandese delle Katoeys, come lì vengono chiamate le transgender, uomini progressivamente slittati verso il femminile. Alcune di portentosa bellezza, autentiche dive mediatiche. Il regista Stéphane Rodriguez entra con la mdp in questo mondo per niente emarginato e marginale, incontra e filma le donne thai che furono uomini, le Katoeys arrembanti e trionfanti.

Vivere da vigliacchi, morire da eroi di Gordon Douglas, Rai Movie, ore 23,05.
Western americano assai tardivo (siamo nel 1967 e già Sergio Leone e altri italiani hanno conquistato il mercato mondiale del settore), ma non privo di una sua nobiltà, e con quel crepuscolarismo, quel senso di fine imminente e ineludibile che caratterizzano il genere in quegli anni dalle parti di Hollywood. Ci penserà poi Sam Peckinpah a dare una scossa. In un fortino ormai distrutto un ufficiale cerca di capire cosa sia successo interpellando il suo (reticente) prigioniero indiano. Tutto si snoda attraverso flashback, e già questo indica l’anomalia di Chuka (tale il titolo originale). Regia di Gordon Douglas. Con Rod Taylor, Ernest Borgnine e l’italiana Luciana Paluzzi, già Bond-girl in Operazione tuono.

Senza ragione di Silvio Narizzano, top crime, ore 1,10.
Canadese, Silvio Narizzano si è ritagliato un posto nella storia del Free Cinema inglese con il suo Georgy svegliati (Georgy Girl), gran successo del 1966, pure quattro volte nominato all’Oscar. Nel 1973 dirige questo noir di coproduzione italiana e inglese, già in odore di poliziottesco, con tre sgarruppati rapinatori che dopo un colpo (con morto) rivano una machina e scappano. Peccato ci sia dentro un ragazzino. Violentissimo. Con Franco Nero (che fa il gigolo), Telly Savalas e Duilio Del Prete.


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