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I no di Ratzinger e Scola, la mancanza di coraggio di Martini

Creato il 23 settembre 2012 da Alextog @sandratognarini

E’ umano che i preti di strada a un certo punto si arrendano. Affinché la smettano di essere davvero testimoni del Vangelo, vengono spesso esiliati dai vescovi in paesini di montagna dove vivono solo vecchi. Ne ho conosciuti alcuni.

La vera colpa non è dei “reazionari”, ma piuttosto dei vescovi “progressisti”, o presunti tali, che a un certo punto non arrivano a sporcarsi le mani e stanno zitti quando invece dovrebbero parlare. Continuano a rispettare l’unico centralismo democratico rimasto. Quello della chiesa cattolica. Si è tanto parlato, l’ho fatto anch’io su Facebook e Parole in Piazza, di Martini e della sua eredità morale. Ma in fondo, come tutti gli altri, Martini è stato un pavido che non ha rischiato alcunché quando c’era da rischiare tutto. Se ti sporchi le mani all’Isolotto di Firenze ti possono togliere tutto in qualunque momento perché non conti niente, ma se te le sporchi a qualche decina di metri da piazza del Duomo a Milano l’eco può essere ben diversa e sarebbe molto complicato metterti a tacere. Martini le mani non se le è sporcate, anche se c’è andato molto vicino. Inutile dire che in “Mission”, quel film di parecchi anni fa sulle complicità della chiesa nello sterminio degli amerindi, a me sta più simpatico il gesuita interpretato da Robert De Niro che quello interpretato da Jeremy Irons.

Se Scola dice che la buona politica è finita con l’istituzione del divorzio in Italia significa che il cardinale cerca lo “scontro di civiltà”. E allora io, da cattolica nonostante tutto, a Scola questo scontro di civiltà glielo sbatterei in faccia, visto che non c’è nessun altro della gerarchia che ha il coraggio di farlo. Se in Europa non ci sono più le guerre di religione tra cristiani è perché a un certo punto a Roma hanno capito la lezione protestante. Ma adesso quella lezione non basta più. Ce ne vuole un’altra. Non violenta, ma non di meno implacabile e serrata. Perché i “principi” di cui ciancia Scola sono estranei al Vangelo e codificati nei secoli, concilio dopo concilio: dal celibato dei preti al valore sacramentale del matrimonio di cui, e ci sarebbe da sorridere, molti uomini di chiesa trovano l’istituzione nella partecipazione di Gesù alle nozze di Cana. Dove, per la precisione, più che dissertare di amore eterno e matrimonio indissolubile ci si preoccupava del fatto che era finito il vino. E a Gesù è toccato fare controvoglia il sommellier.

E’ con la sfida sulla competenza che si può risolvere questo snodo della Storia. Non è dicendo che la chiesa è un covo di pedofili, i quali, sempre per inciso, sono una minima parte del totale dei sacerdoti. E’ chiedendo alla chiesa cattolica e a persone come Scola come si attualizza il concetto di carità, al di là dell’interpretazione letterale. Chi sono gli ultimi? Chi sono gli emarginati? Chi sono i poveri? Come si vive la sessualità in un mondo in cui una donna assolda un ultras del Brescia con la scritta X MAS tatuata sul collo e versa l’acido muriatico sull’ex fidanzato? Come si vive la sessualità in un Paese dove i più importanti giornali nazionali ritengono interessante pubblicare foto di Nicole Minetti senza reggiseno a zonzo per Milano? Come risolvere il tema della violenza familiare? Non è di certo tornando agli anni precedenti all’introduzione del divorzio e agli anni delle “dame bianche”. Se Scola lo sostiene o è in malafede o è un ignorante che non coglie i segni dei tempi (cogliere i segni dei tempi costituiva un segno distintivo per gli uomini di chiesa, almeno nei primi secoli, quelli delle persecuzioni romane). Molti sceglieranno la prima ipotesi. Io propendo per la seconda. E che l’arcivescovo di Milano, nonché cardinale, nonché tra i prossimi “papabili” sia un perfetto ignorante la dice lunga sul periodo che sta vivendo la chiesa cattolica.

Scola ai politici cattolici “Non cedere sui matrimoni” – Milano – Repubblica.it.

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