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I nuovi eroi: senza Padre, contro gli idioti della morale

Creato il 01 ottobre 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

“Gli indignati? Con tutta la comprensione per le buone intenzioni mi ricordano quel ‘fiorire di movimenti di giovani che sembrano aver abbandonato la visione materialistica della vita per accostarsi un pochino di più alla visione spirituale, come nel film Un Sacco bello di Verdone”.

Le parole sono di Simone Regazzoni, nato a Genova nel ’75, filosofo, allievo di Jacques Derrida, che si occupa di filosofia politica e filosofia della cultura di massa e che di recente ha pubblicato con Ponte alle Grazie un libro, dal titolo: Sfortunato il paese che non eroi – etica dell’eroismo. Un lavoro che nasce dal fatto che, per dirla con Clint Eastwood, “ci siamo trasformati in una generazione di femminucce”. Almeno così dice il filosofo.

Cosa  Regazzoni intenda con questa espressione e quali siano in realtà i suoi eroi, lo dirà in questa intervista.

 

I nuovi eroi: senza Padre, contro gli idioti della morale
Perché un libro così?

Questo libro è la risposta a un pesante clima di ritorno all’ordine che si fa sentire oggi nel campo della filosofia e, più in generale, della cultura. Un ritorno all’ordine che, nei vari discorsi attorno alla morale, trova la sua migliore, e più triste, esemplificazione. C’è chi vuole ritornare alla Legge del padre, chi predica i buoni sentimenti, chi vorrebbe rifondare la morale sul Bene e la Verità, chi propugna un realismo ingenuo. Tutte ricette vecchie e pericolose che, mescolando moralismo, politicamente corretto e il nuovo feticcio del Bene comune, rappresentano il ritorno a quella che Nietzsche chiamava “moralità di branco”. Prendiamo i nomi di Vito Mancuso, Roberta De Monticelli, Michela Marzano, Massimo Recalcati, Maurizio Ferraris, e avremo i principali esponenti di questo movimento di ritorno all’ordine. Il mio libro è un tentativo di rompere con il ritorno all’ordine per rispondere in modi non reattivi alla sfida del nostro tempo. Come scriveva Nietzsche: “Noi barcolliamo, ma bisogna non spaventarsene, non cedere magari quanto poco prima abbiamo conquistato. Inoltre non possiamo tornare all’antico, abbiamo bruciato le navi. Non ci resta che essere coraggiosi, qualunque cosa accada. Camminiamo, usciamo dunque dal luogo dove siamo”. L’etica dell’eroismo è un tentativo di fare un passo innanzi nel deserto in cui siamo, portando a compimento il nichilismo come svalutazione dei valori supremi. Al contempo è anche un modo per dire che la generazione cui appartengo deve smettere, pur tra mille difficoltà, di adottare il paradigma della vittima come modello per la propria auto-rappresentazione.

A chi allude?

E’ il caso degli intellettuali TQ che, citando Eastwood, avevo definito “femminucce”. Credo sia necessaria una netta rottura con questi discorsi. Il mio eroe come singolo che non cede sul proprio desiderio assoluto, al di là della Legge, incarna questa rottura.

Rimanendo sulla variazione a Brecht, le chiedo: “Ma è proprio necessario oggi avere degli eroi? A cosa servono?”

Niente di necessario. Da parte mia c’è solo un auspicio: che le questioni etiche comincino a essere declinate, piuttosto che in termini di prediche moralizzanti, come esercizio su di sé del soggetto. Poi ciascuno, se crede, potrà continuare, come sempre accade, a predicare bene per poter razzolare male. I miei eroi non servono a salvare il mondo o la patria o la comunità.

 Ma?

L’eroismo di cui parlo è un’etica come atletica dell’esistenza, come esercizio che ciascun soggetto può fare per diventare ciò che è, per seguire la propria singolare cosa che lo anima.

Secondo lei ci sono modelli di eroi oggi universalizzabili? Non crede, per esempio, che ognuno si faccia il suo eroe, più o meno raggiungibile? E che, per esempio, le donne ne abbiano uno diverso da quello degli uomini?

 Io ho affrontato la questione dell’etica dell’eroismo attraverso alcune figure della cultura di massa, perché in esse c’era l’elaborazione di un’altra idea dell’eroismo al di là all’eroismo classico. Questo, però, non significa che tali figure debbano essere esempi o modelli: per me sono strumenti per il pensiero filosofico. L’eroismo di cui parlo non ha bisogno di grandi esempi, ma di un lavoro su di sé, un lavoro di cura di sé. Come scrive Lacan “In ciascuno uomo c’è la via tracciata per un eroe”. L’etica dell’eroismo è il tentativo di scovare e poi percorrere fino in fondo questa via. Ma essa non avrà nulla di universale, né ambirà all’universalità. E’ ogni volta assolutamente singolare. A ciascuno la sua.

E veniamo ai suoi eroi: eroi postmoderni, che sembrano mossi dall’esterno, senza una Causa per cui combattere, che hanno ucciso il padre, che non concepiscono l’idea di Disciplina, che si muovono fuori dai confini della Legge, ma con l’obiettivo di non inibire il godimento. E’ così?

Diciamo: eroi che hanno attraversato la postmodernità di cui assumono l’eredità (in particolare una certa ironia), ma facendo un passo avanti. A differenza dell’eroe classico o del tentativo di riportarne in auge la figura (è il caso dell’Eroe imperfetto di Wu Ming 4 che combatte per il bene comune, ma è anche politicamente corretto) i miei eroi non combattono per nessuna Causa universale, bensì sono spinti da una Cosa, il godimento, che ha una natura singolare. Non direi che non hanno disciplina.

E cosa allora?

Hanno piuttosto una grande auto-disciplina, che serve loro per non cedere sul proprio desiderio assoluto o godimento. Quando parlo di “eroi del godimento”, prendendo a prestito questa formula dallo psicoanalista Jacques-Alain Miller, non intendo eroi che seguono il principio di piacere: i miei eroi sono al di là del principio di piacere, sono anti-edonisti. Certo, sono anche al di là della Legge, perché la loro etica è un’etica dell’atto e un atto non è semplicemente qualcosa che si compie come mera applicazione di una regola, di una norma, ma ciò che rompe con qualsiasi norma data per produrre qualcosa di nuovo. L’etica dell’eroismo rompe con l’asservimento dell’etica al legale per riappropriarsi della forza creativa dell’etica. Con tutti i rischi che ciò comporta. I miei eroi non sono mossi dall’esterno, ma da qualche Cosa in loro più grande di loro. Quello che Derrida chiama: l’Altro in me più grande di me. Un Altro che è altro rispetto all’orizzonte simbolico.

 Ma cosa intende per godimento e come lo differenzia dal piacere?

 Il piacere necessita sempre di limite e equilibrio: per questo ha bisogno della Legge del padre. Il soggetto che segue il proprio piacere non è un eroe, ma in media è un cinico che guarda solo al proprio tornaconto. Il mio eroe è l’opposto di questo tipo d’uomo. Il godimento che lo guida è la sua ossessione, la Cosa di cui non può liberarsi e che può rivelarsi pericolosa per il suo bene e al limite per la sua vita. L’eroe non persegue il bene, neppure il proprio. Segue la propria ossessione fino in fondo, senza curarsi dell’Altro, e il suo godimento è un piacere nel dispiacere. Possiamo trovare un esempio perfetto di questo eroismo del godimento nella biografia di Andre Agassi, la cui ossessione per il tennis si sintetizza nella formula apparentemente contraddittoria: “Fa che finisca presto. Non sono ancora pronto a smettere”.

Nel suo libro dice che i suoi eroi postmoderni nascono dal fatto che siamo diventati tutti femminucce, perché di fronte a brutture, sappiamo solo indignarci, ma non reagiamo più, non abbiamo più la capacità di proporre, costruire alternative concrete. Non abbiamo più coraggio. Giusto?

Sì, precisamente. Siamo pieni di indignazione, siamo pronti a lamentarci in ogni momento della nostra condizione, firmiamo un appello un giorno sì e l’altro pure per ottime cause, ma manca il coraggio di costruire qualcos’ altro. Gli indignati? Con tutta la comprensione per le buone intenzioni mi ricordano quel “fiorire di movimenti di giovani che sembrano aver abbandonato la visione materialistica della vita per accostarsi un pochino di più alla visione spirituale” di cui parla Don Alfio in Un sacco bello di Verdone. Abbiamo barattato l’etica come pratica dell’atto, che rompe con uno stato di cose, anche a rischio di ferire l’Altro, anche a rischio di produrre conflitto, con il politicamente corretto e la compulsione all’indignazione.

Gli effetti?

I risultati non mi sembrano entusiasmanti.

Ma i suoi eroi si stanno preparando, verranno dopo la fase attuale, che è quella dell’indignazione? Comincia a vederli all’orizzonte?

Se si ha il coraggio di rompere con la cappa della moralina di cui fanno parte indignazione, moralismo, discorsi edificanti, forse c’è la possibilità di fare un passo innanzi. Questo, però, significa oggi esporsi alle critiche indignatissime di chi vuole continuare a compiacersi dello stato in cui siamo proprio mentre sembra criticarlo duramente. Si verrà accusati, di volta in volta, di maschilismo, di fascismo, di machismo, proprio come è accaduto a Clint Eastwood. Si tratta di non curarsi del risentimento per andare avanti. Consapevoli che non si tratta di cercare eroi all’orizzonte, bensì di andare, da eroi, verso l’orizzonte.

Facciamo un esempio concreto: dilaga la corruzione. Il suo eroe cosa dovrebbe fare? Certo, non basta l’indignazione, non basta scendere a compromessi e comportarsi da idiota della morale, ligio alla legge e al dovere. Ma cosa dovrebbe fare? Impugnare una 44 magnum, per richiamare un suo eroe?

Nessun dovere codificato, a priori, in forma di regola, quindi nessuna risposta bella e pronta su ciò che si dovrebbe fare in questo o quel contesto. Nessun manuale tascabile su come comportarsi da eroe. Ciascuno si prenda la responsabilità di ciò che decide. E’ questo il punto: se non vogliamo tornare alla moralina per idioti della morale non ci sono indicazioni che si possano dare su che cosa si debba fare, su quali siano le decisioni giuste. L’unica cosa che si può dire è che l’eroe non cede sul proprio desiderio assoluto, va fino in fondo sulla cosa, segue senza lasciarsi distrarre il proprio cammino. Per usare le parole di Jacques-Alain Miller: “E’ questa la cosa più difficile, l’insurrezione quotidiana, a ogni istante, per avanzare sul proprio cammino, senza lasciarsi distrarre, senza lasciarsi fermare dagli altri, dall’altro, dalla sua indifferenza, dalla sua stupidità, dalla sua goffaggine, dalla sua malafede”. Ecco che cosa deve fare l’eroe.

 L’accusa di essere idioti della morale a chi è rivolta oggi principalmente?

 A coloro che sono sempre disponibilissimi a fare prediche e dare lezioni di morale, di giusto comportamento, di indignazione, di bene comune e che, al fondo, confondono l’etica con una morale da impiegato che segue semplicemente il regolamento.

I suoi eroi hanno humor, hanno la capacità di distaccarsi,  fare dell’ironia, giocano con i pregiudizi, la falsa morale. Ma non hanno la capacità di autodeterminarsi. Non scelgono in modo libero. E in questo senso sono “immuni da qualsiasi retorica propria agli eroi della libertà.” Cosa intende?

 Intendo dire che ogni decisione degna di questo nome che non sia semplicemente l’applicazione di una regola è qualcosa che mi arriva senza che possa dire che sono “io” ad averla presa. Questa decisione mi prende o meglio è un atto così fortemente creativo, che mi produce come soggetto: sarò io a essere figlio di quella decisione, un altro uomo dopo averla presa. Non facciamo forse esperienza di questa strana cosa tutte le volte che prendiamo una decisione particolarmente difficile? Alla fine decidiamo, ma è come se una forza più forte del nostro io ci avesse preso.

E cioè?

In questo senso Derrida può dire che ogni decisione è al fondo inconscia o passiva: la decisione la riceviamo da un Altro in noi, da un’alterità che rompe l’illusione di auto-determinazione sovrana. In questo senso Kierkegaard diceva che l’attimo della decisione è una follia. Ed è qui che si inscrive, nel cuore del mio eroe, la dimensione del femminile come dimensione dell’esposizione del soggetto al tutt’altro che ha in sé fuori di sé. Non si cessa con ciò di essere liberi: si tratta di ripensare la libertà a partire da questa esposizione.

 Ma alla fine che razza di eroi sono questi personaggi e quanto sono tosti?

I nuovi eroi: senza Padre, contro gli idioti della morale

Sono tosti come chiunque, in qualsiasi campo, in qualsiasi momento della vita, sa andare fino in fondo. Sono anche dei “bastardi” o dei “figli di puttana” nel senso molto bello in cui questi “insulti” vengono usati, nei film americani, per fare l’elogio di soggetti che hanno comportamenti nobili, ma che non si adeguano all’idea comune o dominante di comportamento nobile. Non si può dire a questo eroe: sei stato bravissimo, davvero grande! Ma gli si potrà dire, sorridendo: che gran figlio di puttana! Il che non sorprende: i miei eroi, a differenza di Recalcati, non hanno nessuna nostalgia del Padre.

Cosa li rende tosti? Loro alla fine riescono a diventare ciò che sono senza alibi?

Li rende tosti non la capacità di diventare senza alibi ciò che sono, ma il coraggio di provarci, di accettare questa sfida, di non cedere sul desiderio. E questo permette loro di misurarsi con l’impossibile: di tracciare piste nel deserto che ancora non erano nemmeno sulle mappe. Per questo pur non essendo un esempio possono rappresentare la possibilità di una rinascita come possibilità per il soggetto di essere qualcosa di più di un semplice uomo che segue le regole date, il buon senso comune e il politicamente corretto.

Ma questi eroi nascondo dal basso, come si legittimano? Forse si auto- legittimano? 

La legittimazione, quando arriva, arriva a posteriori, perché gli eroi di cui parlo sono sempre disturbanti. Non a caso rischiano di essere fatti fuori. In realtà non c’è mai spazio per questo tipo di eroi: il divenire eroi coincide con il creare uno spazio altro.

I suoi eroi in fin dei conti sono quelli che ci meritiamo o di cui siamo indegni? Dopo l’avvento del suo eroe postmoderno, cosa accadrà?

 Eliminerei l’aspettativa messianica per i miei eroi: è sempre pericolosa. I miei eroi non sono dei messia. E poi sono già qui, in ciascuno di noi. Basta decidere. Ecco cosa significa esserne degni. E saranno le decisioni a fare la differenza per quanto riguarda l’avvenire, che resta aperto. Come diceva Derrida: “Per noi, per il nostro avvenire nobody can tell.”

  

                                                                                                                            Cinzia Ficco


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