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I raggi di Nancy

Creato il 26 luglio 2010 da Stukhtra

Nel pattume, la bizzarra vicenda di René Blondlot

di Marco Cagnotti

Correva l’anno 1903: un’epoca di grandi scoperte. La fine dell’Ottocento è un momento in cui i fisici si accorgono che ci sono moltissime radiazioni, o raggi, di cui prima nemmeno sospettavano l’esistenza: alfa, beta, gamma, radio, X… Tutti vengono sperimentati anche sulle persone e, senza saperne niente, materiali che li producono vengono inseriti in oggetti di consumo: cibi, abiti, scarpe. C’erano il sapone Radium, la farina Radium, il lucido per scarpe Radium, ma anche i digestivi e le bibite Radon. Inutile dire che tutta quella roba faceva parecchio male alla salute. Però non lo sapeva nessuno. E poi era molto trendy. Ecco, in questo bel contesto scientifico e culturale emerge la vicenda di Prosper-René Blondlot e dei suoi raggi N.

Nel 1903 Blondlot è un fisico francese molto noto e stimato e insegna a Nancy. Mentre studia l’effetto del passaggio dei raggi X in un prisma di vetro, vede con la coda dell’occhio un bagliore luminoso. Ripete la prova e la scintilla riappare. In breve si convince di aver scoperto una nuova radiazione: i raggi N. Li chiama così in onore di Nancy: Blondlot era un po’ sciovinista, come talvolta sanno essere i Francesi. Il fisico pubblica le sue ricerche e tutti si mettono a studiare i raggi N. Si scopre così che vengono deviati dall’alluminio, che attraversano il legno ma non l’acqua, che fanno illuminare uno schermo fosforescente. In poco tempo salta fuori che praticamente tutto emette raggi N: le lampade elettriche, il Sole, i mattoni e i sassi del cortile, anche il corpo umano.

In particolare, l’emissione umana spinge a considerare i raggi N come strumento diagnostico. Qualche medico ritiene che possano essere impiegati per diagnosticare i tumori al cervello, perché i tessuti nervosi ma anche i muscoli in tensione emettono raggi N. Se ti metti dietro uno schermo fosforescente abbastanza grande in una stanza buia e fletti le braccia, Blondlot vedrà sullo schermo il tuo profilo, un po’ più luminoso in corrispondenza dei bicipiti e dell’area di Broca nella tua testa. Ma per vederli Blondlot deve guardarti di sbieco, nell’oscurità totale, dopo aver abituato gli occhi al buio.

Ma si può misurare una roba così? No, non si può. Troppo soggettivo è l’effetto. Però Blondlot insiste e molti colleghi francesi gli vanno dietro: tutti a vedere i raggi N. Gli inglesi e i tedeschi, dal canto loro, sono frustratissimi, perché non vedono niente. Con qualche eccezione. Per esempio l’inglese Stetson Hooker, di Durham, vede raggi N di colore diverso a seconda del carattere: le persone passionali li emettono rossi, quelle ambiziose arancioni, i pensatori blu e gli artisti gialli, gli ansiosi e i depressi grigi, i delinquenti marrone torbido. Lo so: puzza tanto di boiata colossale, al confine con la New Age.

Alla fine ci mette lo zampino un americano: Robert Wood, preside della facoltà di fisica della Johns Hopkins University. Su incarico di un collega tedesco, nel settembre del 1904 Wood va a Nancy a trovare Blondlot, che ben volentieri gli apre il laboratorio e realizza qualche esperimento per lui. E gli mostra i raggi N. Solo che Wood non vede un accidente. E Blondlot: “Si vede che siete nella posizione sbagliata o che il vostro occhio non è ben abituato al buio”. Alla fine i due si mettono allo spettroscopio e Blondlot comincia a descrivere come varia l’intensità dei lampi luminosi dei raggi N. Serissimo e convintissimo. Wood è sempre più scettico. A un certo punto, nel buio, l’americano toglie il prisma dallo spettroscopio. In questo modo Blondlot non dovrebbe vedere più niente. Ma Blondlot, imperterrito, continua a descrivere i raggi N che vede e che misura. Fine dell’esperimento. Wood ringrazia, saluta e se ne va.

Tornato a casa, Wood scrive a “Nature” e smentisce tutta l’illusione dei raggi N. Immediatamente tutti gli altri scienziati si accorgono a propria volta di essersi lasciati autosuggestionare. La vicenda si sgonfia. I raggi N diventano oggetto di barzellette. Ma…

…nel caso di Blondlot entriamo nell’ordine del patologico. Perché lui non smette di crederci. Lui li aveva visti davvero, i raggi N. E muore nel 1930 ancora convinto e, per la verità, anche un po’ fuori di testa. O almeno così si diceva nell’ambiente. Rimane però un mistero: che cos’aveva visto il buon Blondlot, che certo non era un cretino, nel 1903?

Blondlot, secondo un’interpretazione moderna, era stato vittima di un effetto fisiologico. Nel nostro occhio ci sono i coni e i bastoncelli: cellule con scopi diversi. I coni ci fanno vedere a colori e i bastoncelli in bianco e nero. Ma i bastoncelli sono più sensibili: ecco perché di notte vediamo in bianco e nero. Al centro dell’occhio ci sono solo i coni. Sul bordo ci sono entrambi. Allora, nel buio, quando tu osservi direttamente un oggetto non lo vedi bene. Ma se guardi lì accanto, senza puntarlo, ecco che magicamente appare, rivelato dai bastoncelli laterali. Se sposti lo sguardo da una sorgente luminosa, ecco che ti appare più brillante. E’ un trucchetto che spesso usano gli astrofili, quando al telescopio osservano un oggetto molto debole. Si chiama “visione distolta”.

Duplice morale della favola: anzitutto sta’ attento all’autosuggestione, e poi, anche se ti sbagli, cent’anni dopo ci sarà qualcuno pronto a dare una spiegazione razionale, magari imparando qualcosa di nuovo sulla fisiologia umana.


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